in “www.comitedelajupe.fr” del 27 gennaio 2013
(traduzione: www.finesettimana.org)
Siamo delle cristiane e dei cristiani, fedeli al
messaggio del vangelo, e viviamo lealmente questo attaccamento all’interno
della Chiesa cattolica. La nostra esperienza professionale, i nostri impegni
associativi e le nostre vite di uomini e di donne ci danno la competenza per
analizzare le evoluzioni dei rapporti tra gli uomini e le donne nelle società
contemporanee, e per discernervi i segni dei tempi.
Abbiamo preso conoscenza delle raccomandazioni del
nostro Santo Padre, papa Benedetto XVI, rivolte al Pontificio Consiglio Cor
Unum, nelle quali esprime la sua opposizione nei confronti di quella che chiama
“la teoria del genere”, mettendola sullo stesso piano delle “ideologie che
esaltavano il culto della nazione, della razza, della classe sociale”.
Riteniamo questa condanna infondata ed infamante. Il rifiuto che l’accompagna
di collaborare con ogni istituzione suscettibile di aderire a questo tipo di
pensiero, è ai nostri occhi un errore grave, tanto dal punto di vista del
percorso intellettuale che della scelta delle azioni intraprese a servizio del
vangelo.
Affermiamo qui, con la massima solennità, che non
possiamo aderirvi.
In primo luogo, è sterilizzante. Infatti, nel campo
del pensiero, rifiutare di prender conoscenza di certe opere, o di affrontare
argomenti con certi partner senza mostrare a priori un atteggiamento benevolo e
disponibile al dibattito non è il modo migliore per progredire in direzione
della verità.
Che cosa sarebbe successo se Tommaso D’Aquino si
fosse astenuto dal leggere Aristotele, con il pretesto che non conosceva il
vero Dio e che le sue opere gli erano state trasmesse da traduttori musulmani?
Del resto, sul campo, sapere se si deve o meno
collaborare con soggetti animati da idee diverse dalle nostre, è una decisione
che può essere presa solo in quel luogo e in quel determinato momento, in
funzione delle forze presenti e dell’urgenza della situazione. Cosa sarebbe
successo, a proposito della lotta contro il nazismo e il fascismo, se i
resistenti cristiani avessero rifiutato di battersi accanto ai comunisti, atei
e solidali di un regime criminale?
Veniamo ora al tema in questione: smettiamola di
lasciare che si dica che la nozione del genere è una macchina da guerra contro
la nostra concezione di umanità. È falso. Essa è frutto di una lotta sociale, e
cioè la lotta per l’uguaglianza tra uomini e donne, che si è sviluppata da
circa un secolo, inizialmente nei paesi sviluppati (Stati Uniti d’America ed Europa),
e di cui i paesi in via di sviluppo cominciano ora a sentire i frutti. Questa
lotta sociale ha stimolato la riflessione di ricercatori in numerose discipline
delle scienze umane; queste ricerche non sono terminate, e non costituiscono
affatto una “teoria” unica, ma un insieme diversificato e sempre in movimento,
che non bisognerebbe ridurre ad alcune sue espressioni più radicali.
Il vero problema non è quindi ciò che si pensa della
nozione di genere, ma ciò che si pensa dell’uguaglianza uomo/donna. E, di
fatto, la lotta per i diritti delle donne rimette in discussione la concezione
tradizionale, patriarcale, opposta all’uguaglianza, dei ruoli attribuiti agli
uomini e alle donne nell’umanità.
Nelle società in via di sviluppo in particolare, la
situazione delle donne è ancora tragicamente lontana dall’uguaglianza.
L’accesso delle donne all’istruzione, alla salute, all’autonomia, al controllo
della loro fecondità si scontra con forti resistenze delle società
tradizionali. Peggio ancora: in certi luoghi è costantemente minacciato perfino
il semplice diritto delle donne alla vita, alla sicurezza e all’integrità
fisica.
Non si può, come fa il papa nei suoi interventi a
questo proposito, pretendere che si accolga come autentico progresso l’accesso
delle donne all’uguaglianza dei diritti, e continuare al contempo a difendere
una concezione di umanità in cui la differenza dei sessi implica una differenza
di natura e di vocazione tra gli uomini e le donne. C’è in questo una
contorsione intellettuale insostenibile.
Come negare infatti che i rapporti uomo/donna siano
oggetto di apprendimenti influenzati dal contesto storico e sociale? Pretendere
di conoscere assolutamente, e col disprezzo di ogni indagine condotta con le
acquisizioni delle scienze sociali, quale parte delle relazioni uomo/donna deve
sfuggire all’analisi sociologica e storica, manifesta un blocco del pensiero
del tutto ingiustificabile.
Dietro questo blocco del pensiero, sospettiamo
un’incapacità a prender posizione nella lotta per i diritti delle donne.
Eppure, questa lotta non è forse quella delle oppresse contro la loro
oppressione, e il ruolo naturale dei cristiani non è forse quello di rovesciare
i potenti dai troni?
Levarsi a priori contro anche solo l’uso della
nozione di genere, significa confondere la difesa del Vangelo con quella di un
sistema particolare. La Chiesa
ha fatto questo errore due secoli e mezzo fa, confondendo difesa della fede e
difesa delle istituzioni monarchiche, e più tardi dei privilegi della
borghesia. Rifacendo un errore analogo, ci condanneremmo ad una emarginazione
ancora maggiore di quella in cui ci troviamo già attualmente. Come non temere
che questa condanna frettolosa sia uno dei tasselli di una crociata
antimodernista mirante a demonizzare un’evoluzione contraria alle posizioni
acquisite dell’istituzione?
Per questo motivo, con viva preoccupazione, ci
appelliamo ai fedeli cattolici, ai preti, ai religiosi e alle religiose, ai
diaconi, ai vescovi, affinché evitino alla nostra chiesa questa situazione di
impasse intellettuale, e perché sappiano riconoscere, dietro a una disputa di
termini, le vere poste in gioco della lotta per i diritti delle donne, e il
giusto posto della loro Chiesa in questa lotta evangelica.
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