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Tutto è relativo e storico nella morale cristiana salvo l'amore?



1.La fede che opera mediante l’amore
Si potrebbe partire da un’idea molto semplice : quello che Dio ci dice sull’uomo essenzialmente è che l’uomo è chiamato a decidersi nella carità per la fede o, che è la stessa cosa, nella fede per la carità; perché i contenuti di queste due virtù fondamentali, fede e carità, sono identici. Vale a dire: la fede è l’atto col quale l’uomo si abbandona a Dio tutt’intero liberamente, secondo la bellissima descrizione data dalla  Dei Verbum; quindi l’atto col quale liberamente l’uomo aderisce al disegno di Dio è l’atto di fede.  
L’uomo è colui che è chiamato ad aderire a un disegno, con un atto di libertà, con un’opzione fondamentale, è chiamato a far suo o a respingere un disegno, una concezione, un progetto di uomo che Dio ha. 
Questo atto col quale totalmente e liberamente l’uomo fa suo il disegno di Dio noi lo chiamiamo atto di fede, che è l’atto salvifico, mentre l’atto di perdizione, il “peccato”, è quello col quale l’uomo, invece di far suo il disegno di Dio, lo respinge. D’altra parte, questo disegno di Dio è un disegno di amore reciproco: cioè Dio ci convoca, ci chiama a costruire una chiesa, cioè una convocazione di persone che si amano. Il progetto che Dio ha sull’uomo consiste nel fatto che l’uomo non deve trovare in sé la ragione del suo esistere, ma fuori di sé, quindi nella carità: la carità è non fermarsi a trovare in sé la ragione del proprio esistere, ma trovarla fuori di sé. Nell’altro, in  pratica, negli altri.
In questa idea consiste l’antropologia rivelata ridotta proprio all’osso. Che cosa è l’uomo? Egli è la creatura chiamata a liberamente decidersi nella fede per la carità. Se decide per il sì, si dà senso, entra nella vita, nell’immortalità; se invece decide per il no, si nega senso e va nella morte, cioè l’inferno (io non so cos’è l’inferno, chiedetelo ai dogmatici). A questo punto noi abbiamo ritrovato un principio etico discriminante del bene e del male che è un principio tipicamente rivelato da Dio. 
Ciò che discrimina il bene dal male è questa decisione dì fondo, questa decisione radicale, questa opzione fon damentale dell’uomo per o contro la carità. Sono buone tutte le condotte esprimenti la carità, e sono cattive (chiamiamole così) tutte le condotte devianti dalla carità. Non è una cosa da poco aver trovato questo principio discriminante: esso è così assoluto e così radicale da costituire un ancoramento sicurissimo del discorso morale.
Tutte le volte che si accusa la morale cristiana, come viene fatto oggi, di essere una morale relativistica, che non ha più principi assoluti immutabili a cui riferirsi, si dimentica che tutta la costruzione morale parte dall’aver individuato questo come un principio assolutamente sicuro e  assolutamente incontestabile perché accolto per fede: dal punto di vista puramente razionale infatti  non è così facile dire che la soluzione buona, profittevole, che mi dà vita, è la soluzione della carità  e non quella del pensare a me stesso. Razionalmente non è tanto facile dimostrare questo principio. 
Cioè accolgo veramente per fede l’affermazione secondo cui il principio morale che mi dà vita come uomo è la scelta della carità, quella di uscire fuori da me, di dare la vita per gli altri, non quella di pensare unicamente a me stesso. Ci vuol fede per accettare un simile discorso che sembrerebbe continuamente contestato e negato dall’esperienza concreta. Sembrerebbe di dover  dire, partendo dall’esperienza individuale, che più una bada a se stesso e meglio è. Invece no, qui  mi si dice che meno bado a me stesso e più agli altri, più mi realizzo come persona: questo è certamente un discorso che non è così facile accettare al di fuori del contesto della parola di Dio che  io accolgo per fede, perché non riesco a elaborarlo con la mia ragione. In base a questo principio si  trova un ancoraggio sicurissimo del discorso morale: l’aver messo questo piolo, questo gancio supremo che serve a discriminare le condotte eticamente costruttive (cioè quelle che mi fanno attuare il progetto di uomo che io sono, che sono quelle di carità) e le condotte eticamente distruttive (che sono quelle che mi allontanano da questo progetto, che sono basate sull’egoismo).

2. Le indicazioni concrete
Continuando il nostro discorso, adesso noi abbiamo l’esigenza intrinseca, imprescindibile di dare corpo, di riempire di contenuto questa opzione fondamentale che è l’opzione per la carità. Noi non viviamo solo in quell’istante in cui ci decidiamo per la carità o per l’egoismo. Noi viviamo una vita intera, fatta da mille scelte quotidiane, se volete più categoriali, più superficiali su su fino alla puntualità momentanea del comportamento morale: si tratta allora di trovare un accordo tra esse e quella decisione di fondo. La mia idea è che proprio nel campo di questi comportamenti specifici,cioè nel campo delle decisioni più concrete e più analitiche di quanto non sia questa decisione estremamente sintetica e omnicomprensiva (“mi decido per la carità”), io devo stabilire inconcreto cos’è la carità.La carità in questo momento è star qui a parlare con voi, o andare a pregare, o mettersi tutti a bere del buon wishky (che comunque non ho), o, che so io, è piantare lì l’Italia e andare in Brasile,o smettere di fare il prete per sposarmi, o continuare a fare il prete rinunciando a sposarmi,cioè la carità, adesso, in concreto, cos’è? Come comportarsi? La proprietà privata è carità o egoismo? Il matrimonio è carità o egoismo? Ecco siamo a questo livello adesso, a livello di scelte più o meno profonde, più o meno superficiali, ma che devono essere giudicate a partire dal principio discriminatore della carità. 
E a questo punto io esprimo un parere, (non so quanto è accettato, comunque io ne sono convinto) che cioè a questo livello la rivelazione di Dio non dice più niente: o meglio, nelle fasi concrete in cui si esprime (compresa la fase biblica) la rivelazione di Dio dice molte cose cioè
contiene norme, imperativi, direttive, che riguardano i singoli settori della vita morale, ma nel dire queste cose non dice nulla che sia imprescindibile, che sia immutabile, che sia perpetuo, che sia eterno, ma assume le strutture culturali che via via la convergente esperienza dell’uomo viene costruendo e che appaiono in quel momento le più capaci di veicolare invece del disvalore dell’egoismo il valore della carità. 
Facciamo un paragone impegnativo. Quello che riguarda il matrimonio. Il matrimonio è una struttura culturale, diciamo così, che la convergente esperienza degli uomini, almeno per quello che  noi conosciamo, è riuscita a costruire (cioè matrimonio nel senso di convivenza, non solo fisica, ma spirituale tra l’uomo e la donna), perché dentro di essa è più facile alla sessualità di esprimersi in termini di carità anziché in termini di egoismo. Se io inserisco l’esercizio della sessualità in questa struttura (definitiva o quasi: si potrà poi discutere se è una definitività totale, una indissolubilità assoluta), insieme sociale e spirituale che è il matrimonio, mi è più facile gestire la sessualità in termini non di egoismo, cioè di attuazione di profitto, di edonismo, di piacere, ecc., ma in termini di  amore, di oblatività, di personalizzazione, di fruttuosità sociale e via dicendo. Questo per dire che anche il matrimonio, che potrebbe apparire come una delle strutture più permanenti che sembra di poter ritrovare ovunque, almeno in certi aspetti fondamentali, è esattamente, una struttura. In altre parole, è Dio che dice: non potete gestire la sessualità completamente se non dentro il matrimonio, ma non come parola esplicita, diretta, immutabile, bensì come traduzione dell’esigenza di carità a livello sessuale in un tipo particolare di esperienza  umana che è la nostra, che è quella che noi abbiamo.
Di fatto l’uomo, mettendoci magari dei millenni ha fatto l’esperienza che se gestisse la sessualità al di fuori di questo contesto, troppo spesso la sessualità diventerebbe tramite di egoismo;  se la gestisse invece in questo contesto più facilmente la sessualità diventerebbe veicolo, tramite,  canale di carità, darebbe la capacità di uscire fuori da sé per integrare la sessualità in un discorso di  carità che è un discorso molto più vasto di quanto non sia il discorso sessuale stesso.
Ma la stessa cosa si può dire di tutto. Non so, prendete ad esempio un altro imperativo molto classico e sacro che è quello del non uccidere. C’è questa struttura culturale che è la tutela della vita fisica. La comunità s’impegna a tutelare la vita fisica e ognuno sente, avverte, s’impegna a tutelare, a difendere, a non oltraggiare, a non sopprimere la vita fisica degli altri. Noi esprimiamo questo tipo di struttura culturale, attraverso un imperativo etico molto categorico che dice: “Tu non ucciderai”. 
Anche questa è una struttura culturale che è il frutto di una esperienza comune degli uomini,questa forse più facile e più elementare che non l’altra, che è il rispetto della vita altrui. La non uccisione dell’altro è un segno autentico di carità, è un modo per veicolare la carità (che poi voi la chiamate carità o in qualche altro modo, come uscire fuori da sé, non importa). Anche questa, che pure è così sacra, ammette, come tutte le strutture culturali, delle eccezioni,
che però sono eccezioni anch’esse strutturate, cioè non sono eccezioni arbitrarie che l’uomo fa: è la stessa convergente esperienza umana che, mentre ha detto «tu non devi uccidere», ha soggiunto,  magari con variazioni a seconda del tempo e dello spazio, «non però, ad esempio, nel caso della legittima difesa, oppure nel caso della guerra, o nel caso della inutilità della vita». Oh, io non dico che tutte queste strutture culturali dobbiamo accoglierle o no, però, di fatto, è interessante notare come, mentre si elabora una struttura normativa, che è la carità, si elaborano anche strutture che rendono la carità stessa praticabile.

3. Morale cristiana e morale laica
Allora è da questo punto di vista che in fondo sempre più noi comprendiamo come la cosiddetta morale speciale (la morale che si occupa delle condotte settoriali, categoriali degli uomini nei singoli ambiti, non so, l’ambito sessuale, politico, sociale, economico, la morale speciale, quella che si studia dopo la cosiddetta morale generale) appare di marca non tipicamente cristiana, cioè non tipicamente rivelata. Essa si presenta piuttosto come una normativa stabilita secondo il tempo e il luogo, da un’esperienza antropologica accettabile, universale in quell’ambiente e in quel tempo. 
Essa avviene attraverso strutture particolari, le quali sono più capaci che non altre di veicolare,tradurre - in quel contesto storico-ambientale - quella esigenza di fondo che è il decidersi per la carità, il decidersi per l’altro. 
Il cristiano, che è sollecitato da quello che chiamavo prima ancoramento, che è sollecitato da questa intuizione sinteticissima sull’uomo: “tu devi deciderti nella fede per la carità”, va alla ricerca criticamente, entro il tempo e luogo in cui vive, di quelle strutture di comportamento speciale (cioè  in ciascuno dei settori della vita e della condotta morale) che più di altre esprimono la sua urgenza  interiore di carità, non fidandosi di sé soltanto, del suo arbitrio, ma affidandosi a questa sapienza  morale, a questa saggezza normativa che la comunità umana sa esprimere da sé in ogni tempo e in ogni luogo. Questo pensiero dà molta sicurezza all’uomo, perché non è solo a decidere, si affida  all’esperienza antropologica, morale, del tempo e del luogo; ma insieme relativizza molto il discorso morale, perché si tratta di strutture sì fondamentali a cui mi devo riferire, ma non così permanenti e immutabili com’è la decisione di fondo che dà senso alla mia vita, quella per la carità. 
Faccio un esempio che mi sembra molto espressivo: in alcune tribù vi è un particolare costume sessuale, che è quello di considerare definitivamente sancito il matrimonio soltanto dal momento in cui la donna resta incinta. Se da questa unione uomo-donna (che noi chiamiamo il matrimonio) a un  certo punto salta fuori il bambino, quel matrimonio è definitivo ed è tutelato con un rispetto, con delle garanzie che sono anche più stringenti di quelle dei nostri matrimoni. Se invece entro un dato periodo, non so, entro due anni, non viene il frutto di questa convivenza uomo/donna, quella convivenza non si considera matrimoniale, e ciascuno è libero di instaurare un altro rapporto in ordine al bene della fecondità. Ora questa evidentemente è una struttura tempo-culturale, però io dico che probabilmente è frutto di una millenaria saggezza la quale ha intuito quanto importante sia il valore della fecondità  in quel contesto, per la sopravvivenza della famiglia, della tribù e di tutti i beni sociali che sono collegati con la fecondità e così via, e ha tutelato l’adempimento, il conseguimento di questo bene immenso che è la fecondità, attraverso questa particolare struttura culturale, questa particolare struttura morale, secondo la quale il matrimonio, o meglio la coabitazione uomo/donna che non ha  possibilità di fecondità non si considera definitiva.
Il problema è posto talvolta da certi missionari: «Ma qui vi è un comportamento contro la morale sessuale, perché questi due vanno insieme sessualmente e non sono ancora sposati in maniera definitiva, anzi è una specie di matrimonio di prova, che se gli va bene, bene; se non gli va bene... Questa è una prassi che noi non possiamo accettare dal punto di vista della morale cristiana». 
Ecco noi dovremmo rispondere: «Ma cosa dice la morale cristiana? Non dice niente su questi problemi. La morale cristiana dice: “Tu devi vivere la sessualità in termini di carità”, cioè in termini  non di comodo personale, ma di servizio degli altri».
Allora in questo particolare contesto storico in cui certi valori sono sentiti come preminenti sugli altri (io non dico che il valore delle fecondità sia più importante di tutti, anzi, un certo tipo di  antropologia sessuale in cui siamo inseriti oggi ci fa capire che la sessualità non è tanto orientata  alla fecondità, quanto piuttosto a tanti altri beni personali che non sono la fecondità), però la fecondità è comunque un bene: perciò entro quel contesto specifico gestire la sessualità in ordine  alla carità vuol dire gestire la sessualità in ordine alla fecondità. Questa è una gestione della sessualità in ordine alla fecondità, tant’è vero che si perpetua in convivenza definitiva, e dunque  educativa, se la fecondità c’è; invece cessa di dar luogo a una convivenza se la fecondità non si  verifica. Allora se ci domandiamo: questo tipo di gestione della sessualità è un diversivo edonistico, egoistico, privatistico, individualistico? No! è una gestione della sessualità in ordine a un bene comune, a un bene sociale, a un bene di tutto il gruppo, avvertito in quel momento come preminente, che è il bene della fecondità.
Perciò il cristiano che viene a contatto con singole strutture culturali, evidentemente è privilegiato rispetto ad altri. Perché? Perché dispone di questo punto di ancoramento di cui abbiamo  parlato, vale a dire della convinzione di dover vivere non per profitto personale, ma nell’esercizio  della carità. Questo accostamento alle strutture gli dà già, direi, un criterio di giudizio su di esse,  che gli consente di discernere quelle che sono conformi al disegno di Dio, perché capaci di tradurlo,  e quelle invece che sono difformi, perché invece di tradurre la carità, traducono l’egoismo.
Quindi al primo posto c’è l’idea rivelata della fede/carità: «l’uomo è chiamato alla fede/carità».
Al di sotto c’è la riflessione antropologica-morale della vita, che si richiede in quel contesto, in quel  tempo, che indica come devo incanalare questa urgenza di fede/carità: quindi io sono guidato anche  da queste strutture culturali, grandi o piccole. Non so, io potrei chiedermi: il codice della strada è  una piccola struttura culturale, qual è il suo significato dal punto di vista cristiano? La risposta è che  esso consiste nella capacità di trasmettere, attraverso queste serie dì regolazioni, a volte persino  troppo analitiche, le esigenze del rispetto altrui, della carità. Al di sotto poi di queste strutture c’è la  libertà del singolo, cioè una certa libertà di gioco.
Queste strutture hanno una permanenza più o meno grande. Per stare nel campo sessuale, Levi  Strauss scrive che la proibizione dell’incesto è una grande struttura culturale in cui si esprime il senso della sessualità. Ovunque noi troviamo che l’incesto è proibito. Va bene. Questa è una struttura più permanente che non, supponiamo, la proibizione dei rapporti prematrimoniali. La proibizione dei rapporti prematrimoniali nel senso inteso da noi è una struttura culturale che noi troviamo molto meno operante, molto meno diffusa, molto meno permanente. Poi possono esserci  delle strutture ancora più provvisorie. Quindi c’è un insieme di strutture culturali delle quali talune  sono più permanenti altre sono più provvisorie; al di sotto di tutto queste, nell’analiticità del comportamento, c’è la decisione personale del singolo, dell’individuo, il quale opta per alcune scelte che gli sembrano più espressive di carità che non altre, e respinge quelle invece che gli  sembrano espressione di egoismo, con una certa libertà personale. Allora di autenticamente cristiano in tutta la morale cosiddetta speciale non c’è che la risposta al disegno di Dio rivelato sull’uomo, in forza della quale l’uomo è chiamato a decidersi nella fede per la carità. È importante   poi che questa decisione dia materia, contenuto, alle singole scelte quotidiane, se no è tutta un’illusione. Ma, mentre dà contenuto, fa fare contemporaneamente l’esperienza che tutta questa  materia di cui riempie la sua scelta fondamentale è indispensabile alla scelta stessa, se non on vive la carità se non a parole e non invece in verità, nei fatti (come dice s. Giovanni). Ma nello stesso tempo ha l’esperienza che queste scelte in cui cerca di trasmettere l’urgenza di vivere la carità sono provvisorie, sono scelte che valgono qui adesso e che potrebbero non essere tali e quali materialmente altrove e in un altro momento. Se vogliamo fare un discorso oggettivo, c’è la parola di Dio che mi invita alla fede/carità: sotto
questa parola di Dio che mi invita alla fede/carità ci sono tutte le strutture culturali che servono (anche alla parola di Dio) per veicolare momento per momento e luogo per luogo la decisione di  fede e carità; più in profondità, ci sono le singole scelte libere e individuali.
A questo discorso oggettivo, estrinseco all’uomo, corrisponde tale e quale il discorso soggettivo  e intrinseco all’uomo. Nell’uomo c’è la scelta fondamentale, l’opzione fondamentale che è quella  trascendente tutti i condizionamenti, con la quale l’uomo si decide per la fede/carità in modo globale, sintetico, onnicomprensivo. Poi ci sono le scelte, le decisioni più analitiche, categoriali, tematiche che riguardano i grandi comportamenti della sua vita che egli assume per dar contenuto  alla sua scelta fondamentale, desumendole, per così dire, da una regolamentazione che viene da  queste strutture culturali. E infine ci sono tutte le altre scelte più analitiche, che egli fa di volta in volta, che sono più puntuali, più superficiali, più lontane dall’opzione fondamentale perché sono più  libere rispetto ad essa.

4. Il compito della Chiesa
Qual è allora il ruolo della Chiesa in campo morale? Se intendiamo per Chiesa il popolo di Dio guidato dai suoi pastori, è da 2000 anni che essa è in mezzo a questi uomini, è da 2000 anni che fa una certa esperienza, che conduce avanti certe vicende antropologiche, fa anch’essa una sua
esperienza di umanità, che è una esperienza, direi, particolarmente qualificata. Essa infatti riconosce con chiarezza, cosa che magari altri non fanno, che ciò che dà senso alla vita è la decisione in favore della carità, mentre ciò che rinnega la vita, la sbriciola, l’annulla, dà la morte, è la decisione per l’egoismo. 
Ora quando io accosto un’esperienza umana culturale di qualsiasi genere a partire da questa convinzione di fondo che ritengo immutabile, io sono avvantaggiato nel giudicare le singole
strutture culturali perché ho un punto di riferimento che magari altri non hanno: io l’ho per fede. Quindi in questo senso, proprio perché ho molto più chiaro di tanti altri il fine a cui tendere, vengo anche di riverbero avvantaggiato nell’illuminare e verificare i mezzi in rapporto al fine. Non però, a mio avviso, perché vi sia una particolare assistenza dello Spirito Santo. A meno di vedere questa assistenza nel fatto che, se tutte queste strutture morali, pur restando momentanee, si solidificano e diventano stabili, ciò non può avvenire se non per una volontà di Dio. È Dio infatti che conduce la storia e fa emergere da queste esperienze di uomini la formulazione ideale di una condotta che è salvifica perché ispirata dalla carità, diversamente da altre che sono perditrici perché espressione di egoismo. Dio è veramente presente in tutto questo grande processo che porta questa piccola umanità  che noi siamo, che è in viaggio su questo piccolo pianeta emarginato nell’universo da milioni di anni, a prendere sempre più coscienza che il progetto di Dio su di noi, come su tutto l’universo, è di instaurare tutte le cose in Gesù Cristo, cioè nella carità.
Con un milione di anni alle nostre spalle, attraverso una serie di vicende storiche, di intuizioni spirituali, profetiche di tante persone, attraverso la particolare vicenda di una Chiesa che da 2000 anni è l’erede di un messaggio particolare, che è quello di Cristo, noi riusciamo a capire sempre meglio qual è il progetto di uomo che ciascuno di noi deve attuare per avere l’immortalità che è la più profonda aspirazione dello spirito umano. Perciò il vero compito della Chiesa è quello di creare quei presupposti per cui un uomo si decide per la carità, non quello di imporgli le strutture da essa elaborate. In altre parole, essa deve aiutarlo a utilizzare quei presupposti che già esistono,scegliendo fra essi quelli che gli permettono di essere più solidamente ancorato sulla carità che non su altro. 
Per esempio, ai missionari si può dire: «Andate molto adagio a distruggere le strutture sessuali  che hanno alle spalle l’esperienza secolare di questi popoli, di queste tribù, con le quali essi hanno saputo esprimere il meglio possibile all’interno di un particolare tipo di civiltà, quelle esigenze permanenti di bene comune che per noi sono esigenze permanenti di carità». È lo stesso discorso che si fa da noi. È come una che si alza al mattino e dice: «Oggi non è più proibito il rapporto prematrimoniale». Un momento, io dico: questa è una struttura che alle spalle ha una sua tradizione, una sua serietà. Siccome è una struttura culturale, non è la parola di Dio. Quindi possiamo anche renderci conto che a un certo punto che va storicizzata e va dunque anche mutata. Però uno non  inventa tutto d’un tratto le nuove strutture dentro le quali è certo di veicolare la carità rispetto ad altre. Ma lo stesso preciso discorso che questi moralisti fanno molto bene qui, per dire «non tocchiamo certe strutture», si guardano bene dal farlo laggiù, perché vanno e dicono: «No quello che fate voi, di andare a letto insieme e di considerare definitiva la vostra unione solo quando c’è di mezzo il bambino, questo è immorale, non va bene, va cambiato!»
È l’identico discorso: può darsi che sia una struttura imperfetta, che deve essere mutata, proprio  perché storica deve essere storicizzata e quindi a un certo punto può benissimo essere cambiata, ma  a patto che ci sia una altra struttura e che sia così bene solidificata da sapere altrettanto bene, anzi  meglio di essa, veicolare i valori della carità e non dell’egoismo. Ora è incredibile vedere come l’estrema fedeltà che molti mostrano di avere verso la tradizione morale del loro ambiente vada di pari passo con l’assoluta infedeltà alla tradizione morale di un ambiente diverso. Questo è un errore  perché il cristiano come del resto ogni uomo, non è da solo, è dentro una comunità, la quale ha sperimentato e sta ancora sperimentando quali sono le condotte che verificano l’uomo, e quali sono  invece quelle che lo distruggono come uomo. Certo si può anche contestare tale esperienza, però  bisogna andarci piano. La cosa incredibile è che moralisti di questo stampo, che rinnegano completamente il profetismo da noi e dicono che «non è possibile che uno si erga sopra la comunità a dire una parola nuova rispetto a quella che dice la comunità», poi altrove ammettono tale profetismo come pane quotidiano.
Quindi è vero, io non ho come cristiano una parola particolare da dire, per esempio sul problema della pillola, o sul problema della pornografia, o sul problema dei rapporti prematrimoniali. Come cristiano non ho altro da portare se non questa affermazione: «sono valide quelle strutture che mi aiutano a realizzarmi nella carità; sono invalide quelle che mi spingono a cadere nell’egoismo». Che certe strutture piuttosto che altre siano espressione di egoismo non mi viene dal giudizio perentorio e inappuntabile della parola di Dio: mi viene dall’esperienza umana vissuta in modo onesto e sincero, se non pretendo di capir tutto subito in un mese, ma mi affido a una valutazione che può comportare anche anni e anni di ripensamento, di riflessione e di studio e di esperienza. In un arco di 20 anni succedono tante cose. Stiamo a vedere cosa succederà, ad esempio, per quanto riguarda problemi quali la regolazione delle nascite e i mezzi di contraccezione.

5. L’infallibilità in campo morale
Nella prospettiva finora delineata, come valutare il ruolo del magistero in campo morale?
Potremmo rispondere in questo modo: «Quanto più io riesco a collegare con l’esplicita parola di Dio un particolare comportamento, tanto più so che è infallibilmente quello buono». Ma siccome questo collegamento è tanto più remoto quanto più i comportamenti in questione sono analitici, il giudizio di infallibilità deve essere sottoposto a verifica perché, se no, corriamo il rischio di «infallibilizzare» tutto.
Cosa vuol dire infallibilizzare una affermazione di morale? Vuol dire attribuirla direttamente a Dio. Perché è infallibile ciò che dice Dio, non ciò che dice l’uomo: ciò che dice l’uomo è sempre fallibile. Ora infallibilizzare un’affermazione di carattere morale vuol dire ritenere che essa provenga da Dio. Ma la dice veramente Dio? Dal punto di vista morale siamo sicurissimi che quello che Dio dice è: devi vivere nella carità, questo sì! ma adesso, è Dio che mi dice di non usare la pillola? o è l’esperienza umana di un particolare ambiente che ti dice «l’uso della pillola è normalmente un mezzo di strumentalizzazione egoistica e non invece un mezzo di apertura nell’amore? Bene! Questa affermazione è infallibile nella misura in cui è infallibile questa esperienza umana, ma l’esperienza umana non è di per se infallibile.
No! Si è tanto più sicuri che c’è l’infallibilità quanto più l’affermazione morale si avvicina al nucleo fondamentale che il cristiano porta innanzi come discorso morale, il principio cioè della carità. Quanto più invece è un’applicazione sempre più ramificata, analitica, dunque attenuata, di questo nucleo, anche l’infallibilità si attenua. Riguardo alle strutture culturali, io partirei dalla
constatazione di fatto che su certi problemi, sia la Chiesa a livello di magistero che le persone che si  riconoscono in essa, sono andate fuori strada, imponendo comportamenti che a volte sono in rottura  con tutta una struttura culturale. Ciò è imputabile al fatto che si sono dogmatizzate e infallibilizzate  delle affermazioni che non erano né dogmatiche né infallibili. Facciamo il caso classico: la ragione  per cui ci si è opposti per un sacco di tempo a ogni apertura al comunismo è stata la difesa a oltranza della proprietà privata, perché la Chiesa riteneva che fosse patrimonio rivelato da Dio, che la proprietà dei beni fosse organizzata privatisticamente e non comunisticamente. Ora, perché i cristiani sono andati fuori strada? Non per fedeltà ma per infedeltà alla parola di Dio. Se fossero stati fedeli alla parola di Dio avrebbero semplicemente trovato in essa che l’assetto economico deve  rispondere alla esigenza di carità, e dunque può essere che l’assetto privatistico sia espressivo di carità, ma può esserlo anche quello comunistico.
Quanto più uno è vincolato al fine, tanto più è svelto nell’accettare la mutabilità dei mezzi. Il ritardo è proprio da imputare quasi sempre al fatto che si è voluto attribuire esplicitamente a una immutabile parola di Dio ciò che invece appartiene puramente e semplicemente a una esperienza culturale entro la quale la parola di Dio è stata interpretata. La cultura in cui vivo è il luogo di risonanza e di interpretazione della parola di Dio, adesso. Qui e adesso la parola di Dio risuona attraverso la cultura, mettiamo, politica, economica, sociale... Perché dobbiamo sostenere il regime democratico? Perché il tipo di cultura socio-politica in cui siamo inseriti ha fatto l’esperienza che qui e adesso, magari non in Africa e non due secoli fa o tra due secoli, l’organizzazione democratica del potere è il meglio che si possa dare per garantire il bene comune e non il profitto individuale (cioè in termini cristiani, per garantire la carità e non l’egoismo).
Perché si è arrivati in ritardo a capire tutto ciò, come purtroppo è capitato alla Chiesa, che ne ha parlato praticamente solo con Pio XII, nel grande radiomessaggio natalizio del 1954? Perché la Bibbia non dice niente del regime democratico, anzi presenta un modello di convivenza sociopolitica che è quello teocratico, oligarchico, con il re e cose simili. Ora, siccome è Dio che mi dice di fare così (anche S. Tommaso d’Aquino nel
De regimine principium è di questo parere), la teocrazia è stata ritenuta come il sistema migliore di governo. Ma non è avvenuta, nel frattempo, una purificazione ermeneutica, per cui n on si è capito che la parola di Dio, quando presenta come modello ideale la monarchia davidica, non fa che assumere un modello culturale, alla stessa maniera che assume una particolare concezione culturale quando dice che il sole gira attorno alla terra.

6. Conclusione
Nel momento stesso in cui una struttura culturale entra in crisi, il comportamento morale del cristiano non è più sicuro. Prendiamo questa piccolissima struttura morale che è, appunto, la proibizione dei rapporti sessuali prematrimoniali: oggi è andata in crisi. Badate, non nel comportamento, cosa che interessa poco, perché può esserlo sempre stata. Ma in crisi nella giustificazione razionale di questo comportamento, cioè nella riflessione sul costume. In altre parole, quello che importa non è tanto che si vada a letto prima di sposarsi, ma che si dica che questo è un bene, e si portino molte ragioni per far capire che non è egoismo ma esperienza di oblatività. In questo momento, se sono coerente e prudente, devo mettermi in questione anch’io.
Oh, questo non vuol dire che sbatto via questa struttura: vuol dire che la faccio oggetto di una nuova riflessione, pronto anche, una volta che esista il vestito nuovo, ad abbandonare quello vecchio perché non è capace di coprirmi adeguatamente. In definitiva, è ancora lo stesso tipo di discorso che veniva fatto prima, in quanto si collegava la bontà o no del comportamento sessuale allo stato di vita in cui uno viveva. Cioè praticamente si diceva: in questo contesto specifico, il comportamento sessuale è buono nel matrimonio ed è cattivo fuori del matrimonio. Ma in un altro contesto culturale potrebbe essere diverso.

(Ambrogio Valsecchi)

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di Andrea Virga Questo articolo, come quello su Don Gallo 1 , non avrebbe reale ragione d’essere. Anche qui, le gravi affermazioni dottrinali del sacerdote in questione non meriterebbero più d’uno sberleffo, vista la loro palese incompatibilità con la retta dottrina. E tuttavia, anche qui è il caso di un prete consacrato – e stavolta tuttora vivente – che attira proseliti, specie fra i giovani, grazie alle sue opinioni estremiste ed ereticali, con il risultato di diffondere in lungo e in largo i suoi errori. Per questo, ritengo che sia il caso di dedicare una mezz’oretta a mettere in guardia i meno provveduti, che magari preferiscono internet ad un buon padre spirituale, rispetto a questo personaggio: Don Curzio Nitoglia. Il paragone con Don Gallo, però, non riesca troppo offensivo al defunto sacerdote genovese, che aveva almeno il merito di essere molto attivo in ambito sociale e di non aver mai lasciato la Chiesa (cosa non troppo difficile, visto il permissivismo dei suoi super

Il noviziato Agesci: tempo e idea tra scoutismo e Chiesa

C’è un momento strano nel cammino scout Agesci ed è quello del noviziato: sì, il nome riprende proprio il linguaggio monastico; sì, l’ispirazione è proprio quella; sì, è un periodo di introduzione e studio.  Si tratta del primo momento nella branca rover e scolte, i più grandi nel nostro scoutismo: dura un anno. Di noviziato in Agesci si parla  –  e si sparla  –  in continuazione, non c’è un tema altrettanto trattato e maltrattato, anche nella prassi.È speciale e irrinunciabile e può essere una fonte di riflessione importante anche al di fuori dell’associazione. Cercherò ora di dare a questa riflessione un taglio ecclesiale, per plasmare un avvio di confronto su temi scoutisticamente ed ecclesialmente poco trattati. Il noviziato è un tempo e come tutti i tempi è prezioso. Lo è il nostro, figuriamoci quello dei ragazzi. Con un po’ di ironia, potremmo dire che l’importanza del tempo l’ha capita anche il Papa: in Evangelii Gaudium Francesco scrive che «il tempo è superiore allo

Lettera a frate Raimondo da Capua: l'esecuzione di un condannato a morte

È una lettera al frate che fu direttore spirituale di Caterina e che poi divenne suo seguace. Vi si racconta in modo appassionato e sconvolgente l’assistenza a un condannato a morte, Nicolò di Toldo,giustiziato a Siena per aver partecipato a un movimento di rivolta nel 1375 circa. Il condannato, travolto dall’entusiasmo mistico di Caterina, finisce con l’accettare con letizia la morte come momento di congiunzione – anzi, di nozze – con la divinità. Il consueto motivo devoto del sangue di Cristo si fonde qui con quello del sangue della decapitazione. Il sangue del giustiziato alla fine si riversa sul corpo della santa: nella fusione del sangue di Nicolò con quello di Caterina e con quello di Gesù si realizza l’unità mistica dell’uomo con Dio. Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce. A voi, dilettissimo e carissimo padre e figliulo mio caro in Cristo Gesù. Io Caterina, serva e schiava de' servi di Dio, scrivo a voi e racomandomivi nel pretioso sangue del Figliuolo di