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La mia ultima ora di religione

Diamo avvio alla nostra nuova collaborazione con gli amici di www.vinonuovo.it pubblicando questa lettera ricevuta da un maturando corredata da qualche spunto di riflessione sulla scuola.

di Sergio Ventura

Una lettera ricevuta da un maturando. E qualche riflessione su un luogo in cui passano molte di quelle ormai novantanove pecorelle fuggite dall'ovile


Nell'incontro di Roma dedicato a VinoNuovo c'è stato un momento in cui mi sono commosso. È stato quando Gilberto Borghi, con parole autorevoli, ha ricordato un suo condivisibile 'punto fermo': solo su quella "frontiera" che è l'ora di religione l'ecclesia, attraverso gli Insegnanti di religione, incontra degli 'strani tipi' di studenti, di cui forse sospetta l'esistenza ma che altrimenti e altrove mai raggiungerebbe (e comunque non allo stesso "modo"). Così è... anche se non (vi) pare. Ed appunto, anche se non (vi) appare, l'insegnamento della religione cattolica è un contesto, un ambiente, un luogo in cui passano molte di quelle ormai novantanove pecorelle fuggite dall'ovile di cui ci parlava qualche giorno fa papa Francesco. Vorrei perciò condividere con voi, in questo tempo di esami di maturità, il racconto di maturazione scritto proprio da una di queste pecorelle:

"Esame di terza media. Estate. Tre mesi di nulla. Poi l'ansia. Essere o non essere. Classico o scientifico? Ma sì, classico! Alla peggio cambio. E così, un ragazzo accidioso di 14 anni si ritrova in un ambiente ignoto. Senza amici né conoscenti. Senza sapere se l'indirizzo che gli hanno 'vivamente' consigliato sia quello giusto. In questo Caos primigenio che gli sconvolge la testa, quel giovanotto ha una sola certezza: che il martedì in sesta ora lui e altri pochi 'fortunati' resteranno in classe per la solita ora di religione - è troppo presto per chiamarla teologia. Ma l'Ordine che dovrebbe limitare il Caos rende la situazione ancora più confusa e disordinata. Dalla padella alla brace. Le prime lezioni di religione sono un vero 'casino'. Destano in te meraviglia: non capisci, forse capirai. Gradualmente.
All'inizio, quindi, sacrifichi i primi incontri con il professore. Stringi amicizia, fai il 'piacione', ti interessi della vita sociale. Pensi che sia uno spasso. A lezione intercetti due parole, qualche battuta. Te la 'tagli'. Ma poi ti accorgi che il divertimento deve essere l'eccezione, non la regola. Chi non lo capisce, molla alla fine del quarto ginnasio. Si aggregherà a coloro che son chiusi nella Caverna. Assordati dal silenzio vuoto e sconfinato dei corridoi o ingrassati dalle merendine dello 'Yoga-bar'.
Religione sembra un gioco virtuale. È fatta a livelli. I primi due si superano quasi a occhi chiusi. Terminato il quinto ginnasio sei in grado di articolare questa risposta a chiunque ti chieda perché fai religione: "Non è storia delle religioni né catechismo". Poi il Liceo. Stesso senso di inadeguatezza. Nuove materie. Scienze naturali, Fisica, Filosofia. Incontri professori che ti danno del lei. Che si approcciano in modo diverso. Senti la 'botta'. Annaspi. Aspiri al sei politico. Hai pensato per un attimo che ormai non avessi più nulla da imparare dall'ora di religione. Ti sbagli. Ma è comprensibile. Nel tuo percorso verso la contemplazione mistica, in primo liceo ti trovi in Purgatorio, nel programma di Italiano ancora all'Inferno. Dante è disceso nell'Inferno, tu l'hai appena superato. Ma hai già peccato di Ubris. Se fosse altrimenti la prima cornice del Purgatorio non ospiterebbe i superbi. Sei però ancora in tempo per rimediare. Il Virgilio che è in te ti suggerisce di 'confessarti'. In questo caso il professore di religione fa un'eccezione e indossa le vesti del prete. Quello vero. Si avvicina al catechismo. Quello vero. Ti ascolta e ti fa apprezzare il silenzio. Quello vero.
Vedi: l'ora di religione a volte mette in pratica tutti i suoi bei sermones nella vita quotidiana. Quante volte ti sei offeso quando il professore posticipava un argomento più scottante. Più delicato. Se ti fidi e non sei tanto arrabbiato, hai attraversato anche la cornice degli iracondi. E anche se alcune domande non avranno mai una risposta e certi temi non saranno mai neppure sfiorati, non fa niente. Significa che non si sarebbe trovata una soluzione soddisfacente. O che qualcuno in classe si sarebbe offeso. L'importante è che tu sia curioso. Perché sarai almeno giunto tra i Golosi. In fondo la Maieutica ha più senso così. Ed esiste un criterio che si articola in base agli alunni: la Libertà. È per questo che qualcuno arresta il proprio cammino in una cornice. Altri lo proseguono ed i loro 'peccati' diminuiscono di numero e gravità. Chi arriva in secondo liceo è pronto per abbandonare la Ragione e trovarsi al cospetto della Teologia. È il momento in cui comprendi che gli argomenti affrontati in tre anni sono fortemente collegati tra loro. Che sono strade diverse per incamminarsi verso la contemplazione mistica. Che i pezzettini del puzzle non sono fini a se stessi, ma si incastrano tra loro. Adesso stai capendo che l'ora di religione ti ha dato gli strumenti per osservare il mondo da una (nessuna) centomila prospettive diverse. Ti ha forgiato il pensiero critico. Ha rafforzato alcune convinzioni. Altre credenze sono state prima smontate, poi ricostruite e infine completamente modificate. Tutto ciò mi ha reso obiettivo. Ma anche di parte.
Adesso sono arrivato in terzo. Direi alla fine del terzo. All'ultima lezione di religione. Domani, ma in realtà oggi (sono le 01.36). Mi mancherà. Soprattutto, mi mancherà arricchire, per non dire realizzare dal nulla, le lezioni per le generazioni future a forza di attualizzazioni e commenti - l'ennesimo esempio del rapporto di scambio che si instaura tra professore e alunni. Un'onesta 'forzatura' da cui entrambe le parti traggono profitto intellettuale. Ma in fondo è valsa la pena essere stato 'sfruttato' in questi cinque anni se Religione è diventata Teologia. Non è più troppo presto per definirla tale. La pausa che il tuo cervello si merita, per pensare. L'otium dopo il negotium. L'ultimo stadio dei movimenti triadici di Hegel. La Filosofia. Con lo sguardo verso l'alt(r)o".

Circolarità virtuosa tra uso della ragione e mondo emozionale, questa piccola tra-dizione del percorso vissuto si è rivelata storia dagli effetti 'miracolosi'. È stata infatti capace di ben rappresentare "il senso dei tempi e dei ritmi" (G.Borghi) fondamentale in relazioni di fiducia impastate di affidabilità reciproca; e così di salvare alcune (altrimenti inevitabili) vittime della mancanza di quella gradualità - intellettuale e affettiva - tanto necessaria ai giovani, quanto non totalmente garantibile, nonostante lo sforzo profuso, da noi insegnanti - per limiti umani - o dalla scuola - quale istituzione di sistema. Anch'io, come Gilberto, "ho dei ragazzi che hanno smesso di fare religione per colpa mia". Ma alcuni di loro quest'anno hanno deciso di continuare a frequentare proprio grazie a questa testimonianza divenuta ora, nel suo piccolo, strumento di una Storia più grande, di una Tradizione.
Confesso. Questo è un elogio della follia costituita dall'accogliere prima le provocazioni - innanzitutto emotive -, per poi rispondere al momento giusto la cosa giusta - anche sul piano intellettivo. "Ci vuole tempo, molto tempo, ma funziona" (G.Borghi). Ed è un invito, per questi tempi di 'nuova evangelizzazione', a pensare l'ora di religione come pre- o ri-evangelizzazione affettiva ed intellettiva, come teologia fondamentale o, se proprio vogliamo, pastorale ma di un'intelligenza emotiva. Visione presente ma non diffusissima. Proviamo a crederci. A partire dai vescovi.
Tutto questo, però, sembra 'cozzare' con quanto notava l'ultimo intervento, giovanile e femminile, dell'incontro di Roma, ossia con "alcune esperienze che ho vissuto all'interno della Chiesa negli ultimi anni con sacerdoti molto carismatici che parlavano a grandi gruppi di giovani che li seguivano, sacerdoti molto netti e molto chiari: bianco-nero su tutto quanto [...] Come si può riuscire a mantenere la capacità di dialogo di critica avendo un ruolo di educazione? [...] Una delle persone, uno di questi sacerdoti con cui ho parlato, alla fine di una di queste conferenze-incontri mi disse: "davanti a tanta gente io devo essere bianco-nero perché sennò, non passa, non riesco a fare educazione, con te possiamo dialogare, possiamo andare nelle zone d'ombra, con te, io e te" [...] Come si può riuscire nel mondo d'oggi, coi giovani d'oggi - perché davvero ci sono questi ragazzi che crescono seguendo questi sacerdoti molto carismatici -, [a] far arrivare lì lo spazio di critica e di dialogo"?

Non si rischia in tal modo di educare teste (forse) ben fatte ma prive disensibilità spirituale, capaci sì di rendere ragione ma senza la mitezzadovuta? Perfetti testimoni della forma dell'annuncio ma arrancanti nel seguirne la sostanza? Non si rischia di riprodurre nel regno dello 'spirito' la medesima tipologia di adolescente cui rimproveriamo di seguire impulsi 'carnali' mentre il corrispondente mondo affettivo e intellettivo resta indietro, ancora immaturo?

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