di
Rocco Gumina
“Uniti sì, ma su che cosa?”. In questo modo
il leader della sinistra giovane della DC, Giuseppe Dossetti, rispondeva ai
propositi unitivi a base moralistico – valoriale avanzati da Attilio Piccioni,
segretario nazionale della stessa, in una infuocata direzione del grande
partito d’ispirazione cristiana. La domanda del giovane politico proveniente
dalla Cattolica di Milano, aveva come chiaro intento il fatto di dare vita ad
un’impostazione politica basata sulla tecnicalità della stessa – tramite
l’avanzare di riforme sociali, economiche, politiche fondate su un’idea di
Stato – più che su di un impianto di contrapposizione propagandistica ai danni
del Partito Comunista Italiano guidato da Palmiro Togliatti.
La vicenda giudiziaria di Berlusconi con
tutti gli annessi susseguenti, ha accelerato la discussione su di una nuova
piattaforma d’ispirazione popolare che possa riunire tutti i moderati e in
genere tutte quelle forze e personalità che, in un modo o nell’altro, sono
state “protette” sino ad oggi dal grande ombrello berlusconiano. Fra i più
attivi su questo versante appare certamente da qualche settimana Pierferdinando
Casini, guida assoluta nello spirito e nelle scelte ma non nelle cariche
partitiche, dell’Unione di Centro. Il sempreverde Casini infatti, con il
desiderio di cogliere in contropiede quanti cercano di riprendersi dalla
condanna di Berlusconi, ha proposto a più riprese in questi giorni la nascita
in Italia di un’area legata al Partito Popolare Europeo la quale possa finalmente
ereditare la forza e le responsabilità di quel colosso della politica italiana
che fu il partito d’ispirazione cristiana della DC. In questo scenario contemporaneo
risuona con assoluta importanza il quesito che ormai più di cinquant’anni fa
fece Dossetti a Piccioni: uniti sì, ma attorno a cosa?
Anzitutto per tentare una risposta sommaria
alla domanda, bisogna affrontare la questione della guida di questo ipotetico
nuovo contenitore basato su radici antiche ma per nulla avvizzite. Chiaramente
la personalità di Casini non può aiutare tale processo
per diverse e fondate ragioni: il lancio e il flop della Costituente di Centro
ridotta alla stessa UDC con l’innesto di qualche nuovo soggetto;
l’allontanamento provocato dalla stessa di importanti e attrattive personalità
(si pensi a Savino Pezzotta); l’ancora inspiegata e forse inspiegabile scelta
di sostenere in Sicilia Rosario Crocetta, che dapprima ha spiazzato persino
l’allora segretario regionale del partito D’Alia, per poi essere spiegata agli
elettori e ai giornalisti come “alleanza civica isolana” per nulla conseguente
alle scelte romane; le gravi e pubbliche responsabilità dello stesso Casini
circa l’esito delle ultime nazionali; la recente torsione (o ritorsione) di
quest’ultimo verso un pur velato berlusconismo basico.
Chiarita la questione della leaderschip, che
sinceramente non è la più importante, bisogna pensare ai temi, alle idee, alle
volontà che dovrebbero essere immesse in tale nuovo soggetto politico. Infatti,
non basta in chiave chimerico - propagandistica avanzare la prospettiva
dell’unità dei popolari. Serve invece un’idea forte di Stato che possa poi
avere una rappresentazione parlamentare e governativa in grado di realizzare
riforme economiche, sociali, politiche e giuridiche che abbiano un indirizzo
certo. Questo, proprio perché trattasi di popolari, dovrebbe rifuggire da un
liberalismo confuso pronto alla difesa dello status quo per giungere, almeno
per tentativi, verso una maggiore giustizia sociale così come affiora dalla
carta costituzionale alla quale parecchi dei grandi leader DC hanno dato un importante
e qualificato contributo.
Altra questione risulta essere quella del
legame con la cristianità italiana. Essa profondamente mutata rispetto
all’immediato secondo dopoguerra deve indicare, a quanti si ritengo cattolici
in politica, un profilo essenzialmente diverso rispetto al passato. Questo
dovrebbe essere rappresentato finalmente dalla comprensione della lezione del
Concilio Vaticano II e cioè di una maturità e di una disponibilità degli stesi
credenti in politica che deve manifestarsi nella reale diversità di scelte in
ottica di politica economica, sociale ecc. Quello che serve, insomma, è la
maturità credente dei laici pronti alla luce del proprio discernimento e del
proprio specifico servizio, che deriva dalla ministerialità battesimale, ad
assumersi finalmente responsabilità per scelte e percorsi.
Pertanto, l’unità di quanti si ritengono
eredi o vicini alla tradizione popolare non passa da un semplicistico e
tatticistico gioco politico-giornalistico di annunci e contropiedi. Ma essa
deve passare da una triplice difficoltà per assicurarne l’esistenza: 1)
riconoscere e sostenere dal basso una leaderschip credibile; 2) avere una
chiara idea di Stato per declinarla in scelte governative basate sulla
giustizia sociale; 3) relazione da soggetto autonomo e maturo con quello che
rappresenta e significa la cristianità italiana oggi.
Questo processo appare lungo e faticoso. Ma
sembrerebbe l’unico a poter sostanziare una proposta politica durevole. La
durata del cammino verso l’obiettivo, però, potrebbe allungarsi se si desse
credito a quanti nel tentativo di riposizionarsi vogliono sfruttare un’idea per
restare sempreverdi, quasi che essa possa rappresentare per loro un elisir di
lunga giovinezza. L’Italia non ha bisogno di questo, ma di un contributo
pensato e costruito che il mondo politico popolare può tornare a dare.
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