di Lorenzo Banducci
Si
spostano le navi da guerra nel Mediterraneo orientale di fronte alle coste
siriane. Il conflitto fra gli uomini del regime di Assad e i ribelli sta
acquistando una drammatica dimensione internazionale dopo il presunto utilizzo
di armi chimiche fatto dal governo per contrastare le forze ribelli.
In
attesa della risposta definitiva degli ispettori dell’ONU inviati nel paese si
compongono le posizioni delle varie forze in campo. Il fronte dei
pacifisti/dubbiosi (Russia, Cina, Germania e Italia) spera in una soluzione
diplomatica, gli interventisti (USA e Turchia) sono a caccia di una copertura
politica per giustificare un eventuale intervento militare contro la Siria.
Tutta
da capire, per sciogliere il nodo, la dirimente questione della legalità
internazionale, dei crimini contro l’umanità, dell’uso di armi di distruzioni
di massa messe al bando da convenzioni che la Siria stessa ha firmato. Queste
restano le giustificazioni per intervenire. Obama è però rimasto spiazzato
dalla defezione degli alleati italiani e tedeschi che avevano appoggiato
l’intervento in Kosovo di quasi 15 anni fa.
Difficile,
a mio avviso, non comprendere le ragioni del nostro governo che ha tre timori
fondamentali.
1. Non
si sa per chi sia vantaggioso un intervento militare in Siria. Siamo così
sicuri della “genuinità” delle intenzioni dei ribelli? Chi si nasconde dietro
di loro? Chi li arma?
2. Senza
una risoluzione ONU l’intervento è illegittimo dal punto di vista del diritto
internazionale.
3. Bombardando
la Siria si rischia di provocare uno sconvolgimento regionale che può
travolgere la Giordania, il Libano, l’Iraq, Israele, la Turchia e l’Iran. Si
tratta di paesi che, per ragioni differenti, sono vere e proprie polveriere
pronte ad esplodere in presenza di una semplice scintilla.
Da
queste ragioni si evince la necessità di una risposta che sia più ampia e che
affronti altre problematiche di quell'area: il legame tra le violenze fra sunniti e sciiti, i rischi crescenti
legati alla tensione fra israeliani e palestinesi che non accenna a decrescere
nonostante gli sforzi intrapresi negli ultimi anni da Obama, le ambiguità della
politica iraniana e il caso turco dove non sappiamo più se abbiamo a che fare
con una democrazia di tipo occidentale (come abbiamo sempre creduto) o con un
regime dittatoriale in piena regola.
Di
fronte a tutte queste problematiche, che si trascinano spesso anche da decenni
nell’area mediorientale, non ci sono risposte certe in tempi rapidi. Diventa
casomai necessario un coinvolgimento ampio di Paesi che affianchino gli Stati
Uniti nel prendere decisioni serie per un’area tanto martoriata e tanto vicina
geograficamente a noi.
In
questo senso non basta l’intraprendenza di due “vecchie volpi” quali Francia e
Gran Bretagna che per storia e tradizione sono da sempre pronte a intervenire
per spartirsi fette di torta più o meno grandi e appetitose.
L’Unione
Europea tutta dovrebbe avere maggiore visibilità e muoversi come blocco
unitario e granitico. Dovrebbe a mio avviso addirittura prendere in mano le
redini del gioco e condurre, per quell’area, una politica che sappia superare
gli interessi delle singole parti in campo per far emergere gli interessi
generali.
Sarebbero
inoltre maturi i tempi per un impegno maggiore delle potenze asiatiche che
potrebbero essere indirettamente colpite dal precipitare della crisi siriana e
che allo stato attuale tendono ad agire quasi solo per ripicca degli avversari
occidentali (si veda la Cina).
Unita
una coalizione tanto forte di Paesi si potrebbero realmente sostenere accordi
graduali a cominciare da un cessate il fuoco con supervisione internazionale in
Siria, per poi passare ad affrontare tutti gli altri nodi della regione:
negoziati seri fra israeliani e palestinesi e la ricerca di un nuovo e fecondo
dialogo con il nuovo governo iraniano.
Provare
ad uscire dalla logica dei compartimenti stagni e dell’interventismo solo di
fronte ad emergenze disastrose e far emergere un ragionamento più ampio che
allarghi il campo degli interlocutori e l’occhio sui problemi complessivi
dell’area mediorientale resta l’unica via di uscita per evitare scenari funesti
e film già visti troppe volte negli ultimi anni.
Chissà
che non sia proprio Papa Francesco con le sue parole di speranza a smuovere le
coscienze dei potenti del Mondo e a far sì che si abbandonino definitivamente
gli interessi di parte per far spazio alla pace.
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