di Luca Scarcia
In virtù dell'universalità della bioetica, ho scritto
questo articolo tra un concerto di Roger Waters e una cena a Marsiglia, a base
delle deliziose triglie tanto care a Milone.
A
questa richiesta seguirebbe una multa salata e un colloquio con uno psichiatra.
Io
sposo la convinzione che non si possa definire univocamente la bioetica: non si
tratta di una bella donna di 25 anni con gli occhi azzurri e capelli color
rame- anche in questo caso non sarebbe affatto facile trovare una soluzione.
Perciò,
ripercorrerò le principali tappe della storia della bioetica, per cogliere lo
sguardo interessato di chi vorrà dedicare le proprie energie all'argomento, o
soltanto curiosarvi per qualche minuto.
Il
termine bioetica viene utilizzato per la prima volta nel 1970 da un oncologo
americano, Van Rensselaer Potter, nell'articolo Bioetichs. The science of survival.
Un
anno dopo, lo stesso Potter diede la propria, personale definizione di
bioetica, nel proprio volume Bioetichs.
Bridge to the future: "una nuova disciplina che combini la conoscenza
biologica con la conoscenza del sistema dei valori umani. [...] Una scienza
della sopravvivenza."
Le
radici della ricerca di Potter sono da ricercarsi nel progresso scientifico che
ha caratterizzato il Novecento dagli inizi.
Nel
1953, Salk sviluppa il vaccino contro la poliomielite, tutt'ora utilizzato.
Nel
1953, Watson e Crick scoprono la
struttura a doppia elica del DNA e vent'anni dopo viene messa a punto la
tecnica del DNA ricombinante.
Nel
1978, viene alla luce Louise Brown, il primo essere umano nato grazie alla la
fecondazione in vitro (FIVET).
Il
progresso fa spesso rima con regresso e le criticità in tal senso sono
onnipresenti. Gli esempi in questa direzione si sprecano: dalle barbarie
scientifiche perpetrate dai nazisti nei campi di concentramento, alla
costruzione di armi biologiche, passando per le sperimentazioni selvagge,
spesso praticate su pazienti anziani, disabili o con deficit mentali, che
coinvolgono molti ospedali americani nel boom dello sviluppo scientifico negli
anni '60.
Sulla
stessa lunghezza d'onda di Potter, Hans Jonas, nel suo Principio di responsabilità, rivolge la propria attenzione sulle
opportunità offerte dalla nuove tecnologie e le relative minacce per la
sopravvivenza dell'umanità.
Questo
primo approccio alla bioetica vede la presenza di un criterio guida per gli
interventi nelle biotecnologie, ovvero l'esclusione
della catastrofe.
Allora,
la bioetica e' solamente un muro di cinta, eretto a protezione dell'uomo dallo
stesso progresso così invocato e al tempo stesso temuto?
Probabilmente
c'è qualcosa di più ed Andre' Hellegers, ostetrico e fondatore del Kennedy
Institute presso la Georgetown University, apre un nuovo, intrigante scenario.
Hellegers considera la bioetica come una maieutica, capace, attraverso il
dialogo la medicina, la filosofia e l'etica, di indicare i valori.
Inoltre,
Hellegers ha il merito di introdurre il termine bioetica nel mondo
universitario, nel campo delle scienze biomediche, nella politica e nei
mass-media, che cominciano a interessarsi alla bioetica e ai problemi da essa
affrontati.
Con
Hellegers, la bioetica e' perciò considerata come una disciplina specifica,
autonoma e capace di sintetizzare le conoscenze mediche e quelle etiche e il
suo oggetto sono gli aspetti etici impliciti nella pratica clinica: la
sperimentazione, la genetica, i trapianti d'organo, l'inizio della vita, la
procreazione e il fine vita.
Nonostante
i diversi e disparati atteggiamenti nei confronti della materia, nel tempo si è
giunti ad una sostanziale definizione della bioetica e dei suoi ambiti di
competenza, più o meno condivisi- un' utile bussola per orientarsi in un
labirinto popolato da minotauri, fatti di ignoranza e paura.
La
definizione, più o meno condivisa, e' opera di W.Reich ed e' contenuta nella Encyclopedia of Bioetichs: studio
sistematico delle dimensioni morali- inclusa la visione morale, le decisioni,
la condotta e le politiche- delle scienze della vita e della salute,
utilizzando varie metodologie etiche con una impostazione interdisciplinare.
Gli
ambiti di competenza sono individuati nel 1991, con il Documento di Erice:
1) problemi
etici delle professioni sanitarie;
2) problemi
etici emergenti nella ricerca sull'uomo;
3) problemi
sociali connessi alle politiche sanitarie;
4) problemi
relativi all'intervento sulla vita degli altri esseri viventi e in generale
dell'ecosistema.
Continua.....
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