In America
latina oggi sono quattro i temi fondamentali della riflessione
culturale: l’insufficienza della ragione oggettivamente, che ha
avuto la sua espressione principale nella razionalità strumentale
tecnico-scientifica, dominante dal XVI secolo; il decentramento del
soggetto moderno, per cui in America latina è forte la coscienza
l’eurocentrismo è insufficiente per spiegare la nostra realtà e
la teologa brasiliana Ivone Gebara ha molto insistito sulla necessità
di ampliare la nostra concezione della persona al cosmo e a Dio, cioè
dall’antropocentrismo al cosmocentrismo; la critica ai riduzionismi
della ragione secolare, tanto che Clodovis Boff nei suoi scritti più
recenti dialoga con la corrente teologica sorta attorno all’anglicano
inglese John Milbank (Radical Orthodoxy, che rifiuta la distinzione
tra una realtà sacra e una profana, ma sostiene che tutto è sacro
in quanto la verità è una e coinvolge tutti gli aspetti
dell’esistenza umana, per cui la ferita della società moderna sta
proprio nella separazione tra ragione e fede - ndr); la
possibilità di costruire un pathos/ethos, non solo una
cosmovisione, ma un modo di esistere nonviolento, a partire dal
consenso tra le religioni e le saggezze nonché dal rispetto per la
creazione, su cui si è cimentato in particolare Leonardo Boff
sviluppando un’ecoteologia.
Domande postmoderne
alla Chiesa latinoamericana
Le società latinoamericane hanno
costruito un progetto di emancipazione democratica, sociale,
economica, politica e, nonostante ci sia un grande problema di
distribuzione della ricchezza, dall’Argentina al Messico oggi si
discute molto del riconoscimento delle soggettività moderne, per
esempio i diritti delle donne, in particolare quelli connessi alla
sfera riproduttiva, e delle minoranze sessuali. La Teologia della
liberazione ha insistito sulla critica alle idolatrie che
sostituiscono il vero Dio. Per questo in America latina dopo il
Concilio sono nati molti movimenti di teologia contestuale, per
dare spazio alla diversità di soggetti emergenti, sulla
base dell’apertura all’alterità e della necessità di narrare la
salvezza in mezzo a storie frammentate e violente. In questo senso
l’esperienza latinoamericana ha molto in comune con quelle di altre
latitudini del pianeta, che subiscono le stesse strutture di
violenza, esclusione e morte. Un esempio è costituito proprio dal
Messico, dove negli ultimi sei anni si sono registrati oltre
centomila morti come frutto della “guerra contro il
narcotraffico”.
Nuovi soggetti della Chiesa
latinoamericana
Nuovi soggetti ecclesiali sono prima di tutto
figli del Concilio Vaticano II che non guardano al passato e
rifiutano un modello ecclesiale gerarchico, eurocentrico e kiriarcale
(espressione usata dalla teologa femminista statunitense Elisabeth
Schussler Fiorenza nel suo libro In memoria di lei per
indicare un ordine sociale incentrato sull’uomo come padrone o
signore - kyrios in greco - quindi enfatizzando questo
ruolo di comando rispetto al semplice patriarcato - ndr). Per
questo molti sociologi latinoamericani parlano di un esodo silenzioso
dei cattolici verso un’appartenenza cristiana che supera le
frontiere istituzionali della Chiesa e Jean Pierre Bastian,
sociologo francese che ha studiato i movimenti pentecostali in
Brasile e America centrale, pronostica che in questo secolo più
della metà della popolazione latinoamericana diventerà
evangelica.
Soggetti emergenti sono, per esempio, le donne,
con l’interpretazione della sophia divina al di là del
patriarcalismo kiriarcale che ha dominato la Chiesa romana; gli
indigeni, col loro Dio padre-madre (Ometeotl come
Ometecuhtli/Omecihuatl, secondo la mitologia azteca), che non esprime
una dualità, ma un volto paterno e materno di Dio; i migranti, che
attraversano il continente inseguendo il “sogno americano” e
hanno sviluppato una propria spiritualità del Dio meticcio e
migrante; la comunità lesbico-gay, transgender e
transessuale e altre “t”, che ha legami col Dio “queer”,
questo Dio “strano”, un Dio kenotico, che si fa umano, che non ha
un’identità definita e fissa, ma è un Dio ibrido e mostra la
propria sovrabbondanza amorosa.
Verso una nuova antropologia
Che antropologia nasce da questa esperienza di un popolo che vuole comprendere se stesso in mezzo a questa diversità e a questa violenza? Gutiérrez parlò di “opzione per i poveri”, che è biblica, testimoniata dal popolo ebraico e da Gesù. Ma negli ultimi decenni abbiamo constatato che il termine “poveri”, sebbene sia originario di questa opzione di Dio per Abele il giusto e tutte le vittime, va ripensato. Per questo oggi diversi movimenti di teologia contestale parlano di “opzione per gli esclusi”, termine che può risultare più inclusivo di questa diversità di esperienze di morte, violenza ed emarginazione. Per esempio, nella loro teologia, le donne indigene zapatiste in Chiapas si considerano escluse tre volte: per ragioni di genere, in quanto donne, per ragioni economiche, in quanto povere, e per ragioni etniche, in quanto indigene.
La categoria di “esclusione” permette di parlare meglio anche di come questa esperienza viene rovesciata dalla salvezza. Già Walter Benjamin parlava – in un contesto di dolore del XX secolo in cui si chiedeva: “È possibile sperare un domani per le vittime?” - di “schegge del tempo messianico”, per cui il tempo ultimo, il tempo della pienezza, è già presente come una scheggia nella storia e fa male. E per questo in America latina Franz Hinkelammert, un teologo ed economista cileno residente in Costa Rica, o l’Università della terra degli zapatisti parlano del “tempo messianico che arriva”. La domanda qui è ancora: “Come è possibile sperare un domani per le vittime?”. Si pensi al massacro di Acteal, in cui nel 1997 furono uccise quasi cinquanta persone mentre pregavano per la pace in Chiapas nel contesto della violenza militare e paramilitare contro gli zapatisti. La teologia latinoamericana torna a ciò su cui già rifletteva il DeuteroIsaia: “Come le ferite del giusto possono salvarci?” e dialoga con teorie come quella di René Girard sul capro espiatorio (vittima sacrificale).
Il filosofo italiano Giorgio Agamben ha pubblicato un breve libro dal titolo Il tempo che resta, un commento alla lettera ai Romani, in cui scopre un’idea di Paolo che offre una pista: il Messia contrae il tempo. Quello che interessa all’apostolo non è l’ultimo giorno, l’istante in cui finisce il tempo, ma il tempo che si contrae e comincia a finire o, se si preferisce, il tempo che resta tra il tempo e la sua fine. Si pensi all’episodio dell’incontro tra il profeta Elia e la vedova di Sarepta: il Messia qui non si presenta sotto le spoglie del profeta, pieno di vergogna per aver fallito, ma passa per il dono della vedova: quella vittima, cui è rimasto solo un pungo di farina da mangiare e poi morire, compie un atto di donazione senza reciprocità, di amore asimmetrico che rende possibile l’arrivo della salvezza. Questo si chiama gesto messianico e segna l’inizio della fine del mondo corrotto e il principio del tempo nuovo. È il cambio di temporalità che realizzano i giusti nella storia. Non si tratta di un tempo cronologico, di una fine del mondo, ma del fatto che ogni atto di amore incondizionato è già denuncia del tempo corrotto e inizio del tempo nuovo. Perciò la salvezza avviene nell’atto di donazione dei giusti della storia.
Questa vicenda si ripete continuamente nella storia dell’umanità. Nella concezione ebraica sono i giusti a mantenere in piedi l’umanità e in Gesù di Nazaret abbiamo capito che si può vivere con e in questa qualità amorosa di donazione. Perché Gesù ha reso possibile questo salto qualitativo dell’umanità? Perché tutti siamo soggetti desideranti. E il desiderio è ambiguo, gli altri ci seducono e ci fanno paura. Rifacendomi a Girard, direi che l’ego, il quale ha una certa pulsione narcisista, desidera l’altro, però mai in una relazione immediata, ma sempre attraverso un modello. Per esempio, nell’innamoramento non c’è solo l’attrazione tra i due, ma un modello sociale, culturale, familiare e di coppia che li condiziona. Siccome l’altro mi supera e mi trascende sempre, si instaura un processo di estraniazione e quindi di rivalità, per cui l’altro è un “oscuro oggetto del desiderio”, per usare le parole del film di Luis Buñuel. Questa relazione conflittuale con l’altro, che per la sua differenza amo e odio al contempo, prima o poi produce in qualunque società un sacrificio. E questo, secondo Girard, segna l’origine della cultura e la stabilità delle società. Qui entra un elemento religioso: il sacrificio è necessario affinché possiamo coesistere, tutti abbiamo bisogno di alleati quando questo altro mi supera ed è quello che nella Bibbia si chiama scandalo del capro espiatorio. Commentando questi temi, Emmanuel Levinas cita una frase rivelatrice del Talmud: “Quando tutti si coalizzano contro una persona, liberatelo perché è innocente”. È l’unanimità contro la vittima, il meccanismo attraverso il quale proviamo sicurezza: dobbiamo espellere il diverso per sentirci puri e tranquilli. Questo è un meccanismo universale. Girard e altri antropologi scoprono che la Bibbia racconta questa stessa storia, ma per dirci che è la menzogna di Satana: in apparenza è necessario escludere qualcuno perché noi possiamo sopravvivere, ma la verità di Cristo afferma il contrario, non è necessario escludere l’altro perché possiamo sopravvivere. Ma questo ha un prezzo: dare la propria vita. Questa è la logica dei giusti della storia.
In America latina questa riflessione si è sviluppata in modo molto creativo perché allora i giusti, le vittime, della storia possono scoprire di avere un potere che l’aguzzino non ha: il potere di perdonare. Questo è l’unico assoluto che esiste come tale nella storia. Non è un’idea, ma un’esperienza antropologica di scogliere i nodi del risentimento. E questo potere del non potere è solo delle vittime, quando le vittime riescono a superare il risentimento. Per questo in Gesù si scopre questa possibilità di abbattere il muro dell’odio nel proprio corpo. In concreto: per poter esistere non ho bisogno di accusare, criticare, escludere l’altro, questo appartiene a Satana, non a caso chiamato “accusatore dei fratelli”. Cristo è colui che non ha necessità di accusare l’altro, neppure il suo aguzzino, per potere essere, perché si sa amato incondizionatamente dal Padre.
I volti della chiesa che stiamo costruendo in America latina
L’ecclesiologia dei poveri e degli esclusi si fonda su questa esperienza di un nuovo modo di desiderare. Bisogna farlo dal basso e da fuori: Dal basso rispetto ai sistemi di totalità (colonialismo, capitalismo, razzismo, patriarcalismo) e dall’esterno, cioè da quei margini in cui qualunque società genera esclusione. Per questo gli esclusi sono portatori di buone notizie, ma nella misura in cui abbiano superato il risentimento. La Chiesa quindi esiste come comunità di giusti che sono riusciti ad abbattere la barriera dell’odio. In questo senso oso ripetere “Extra Ecclesiam nulla salus”: fuori dalle vittime non c’è salvezza. L’alternativa davanti a cui ci pongono il Vangelo e Gesù è chiarissima: o vado avanti nella logica sacrificale escludendo l’altro – ed è la via di Satana – oppure oso vivere nella verità di Gesù a partire da questo amore incondizionato, asimmetrico e gratuito.
In America latina l’ecclesiologia vuole oggi assumere il ruolo protagonista delle vittime come coloro che permette a tutti sperare nel domani. E qui c’è un dialogo interessante con l’Europa, soprattutto con la filosofia del pensiero debole, perché c’è una convergenza circa la necessità di ricostruire la storia a partire dai margini. Gianni Vattimo, per esempio, ha intrattenuto dialoghi importanti con filosofi latinoamericani, e René Girard coi teologi della liberazione. È il sogno di Chiesa inclusiva, dove c’è mons. Samuel Ruiz, vescovo di San Cristobal de las Casas, in Chiapas, alcuni zapatisti, indigeni di diverse regioni, un travestito. La Chiesa include tutti gli innocenti, i giusti, le vittime, e nella misura in cui siamo capaci di oltrepassare il nostro risentimento possiamo annunciare salvezza.
©
2013 by Missione Oggi. Mensile dei Missionari
Saveriani
Conferenza tenuta al Convegno Saveriano, Brescia maggio 2013, sul tema generale “Siamo gli ultimi cristiani?”, con la partecipazione di Andrés Torres Queiruga, Santiago de Compostela; e Carlos Mendoza-Álvarez, Città del Messico e Fordham University, USA.
© 2013 by Teologi@Internet
Forum teologico diretto da Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
Conferenza tenuta al Convegno Saveriano, Brescia maggio 2013, sul tema generale “Siamo gli ultimi cristiani?”, con la partecipazione di Andrés Torres Queiruga, Santiago de Compostela; e Carlos Mendoza-Álvarez, Città del Messico e Fordham University, USA.
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Forum teologico diretto da Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
Commenti
Ma perché allora da parte dei "preferiti" (concetto calvinista) si cerca di scansare in tutti modi (anche uccidendo e sterminando i più deboli e i reietti) la sorte destinata ai "capri espiatori"? Costoro, quelli che uccidono, sfruttano ed eliminano, non sono quelli che mirano a dominare il mondo proprio in questi tempi? E il bello è che ci stanno riuscendo.