di Flavia
Modica
Dopo l’ennesima tragedia avvenuta al largo delle
coste di Lampedusa, venerdì 4 ottobre, a mezzogiorno, si è celebrato un minuto
di silenzio. Un gesto in sé carico di significato, ma che se stancamente
ripetuto a fronte di tragedie simili, senza che a ciò si accompagnino decisioni
e azioni concrete, non è che un mero atto retorico.
Una retorica che appartiene
a chi si indigna, a chi si scandalizza, ma solo per un breve istante, per poi
tornare ai propri affari, come se nulla fosse accaduto. Eppure anche ad indignarsi,
a provare dolore per queste morti sembra si faccia sempre più fatica. Si coglie
quasi una spaventosa abitudine a queste tragedie. E a giustificazione di ciò
una presunta impotenza dei singoli e della comunità a fronteggiare il fenomeno
migratorio e ad evitare il ripetersi di simili episodi. Quanto successo pochi
giorni fa è un evento destinato a ripetersi in assenza di mutamenti
dell’attuale quadro politico e legislativo, in
primis italiano e poi europeo. Il fenomeno migratorio è un dato di fatto
che caratterizza la nostra epoca e che gli Stati europei, e non solo, sono
chiamati a gestire e regolare, senza chiudersi in vetuste politiche
nazionalistiche che nell’era della globalizzazione e della mobilità
internazionale risultano inadeguate e decisamente fuori tempo. Senza contare
che le attuali migrazioni, in particolare quelle provenienti dai paesi
africani, sono il frutto di situazioni di instabilità politica e povertà
economica in relazioni alle quali configurano tra le concause gli interessi che
i governi occidentali hanno avuto in passato e mantengono tutt’ora in questi
territori. La storia, in un modo o nell’altro, impone di pagare le conseguenze
delle proprie azioni.
L’Italia si trova in prima linea a fronteggiare
l’arrivo di questa gente disperata che, pur consapevole dei rischi che il mare
gli riserva e della fine cui potrebbero andare incontro, decide comunque di
partire e fuggire da qualcosa che è peggio della morte. Nonostante la sua
posizione geografica,che ne fa una porta dell’Europa, il nostro Paese non ha
mai adottato una politica adeguata a tale condizione. La normativa italiana in
materia è stata modificata in peius
nel 2002 con l’introduzione della c.d. Legge Bossi-Fini (legge n.189 del 30 luglio 2002), che
è intervenuta sul Testo Unico dell’immigrazione (d.lgs. n. 286 del 25 luglio
1998). Diversi i profili di inadeguatezza dell’attuale disciplina, tra i quali
qui preme menzionarne alcuni, nella convinzione che solo una modifica degli
stessi possa portare ad una migliore gestione dei flussi migratori e ad evitare
tragedie come quella di qualche giorno fa.
La Bossi-Fini ha innanzitutto introdotto un
restringimento agli ingressi, richiedendo allo straniero diretto in Italia di
essere in possesso di un contratto di lavoro già nel Paese di origine prima
della partenza. Data la difficoltà di realizzare la condizione prescritta dalla
legge, una misura di tal fatta non fa che incentivare l’immigrazione
clandestina e l’ingresso irregolare nel nostro Paese, che spesso è per i
migranti solo una zona di transito e non il punto di arrivo.
Altra questione fondamentale riguarda il diritto di
asilo, riconosciuto e garantito dalla nostra Costituzione e da una serie di
Convenzioni internazionali. Le disposizioni attualmente vigenti restringono
particolarmente i requisiti e le procedure per l’accesso a tale diritto
fondamentale dell’uomo e presentano non poche zone grigie di incerta
legittimità costituzionale. Tra queste rappresenta indubbiamente un’infamia per
la storia civile del nostro Paese la pratica dei respingimenti in mare. Il
Testo Unico sull’immigrazione consente di respingere in acque extraterritoriali
le imbarcazioni di clandestini, in base ad accordi bilaterali stipulati
dall’Italia con altri Paesi. Uno di questi fu quello contratto con la Libia nel
2009, che ha praticamente consentito allo Stato italiano di consegnare ad un
governo dittatoriale e di imprigionare, torturare e uccidere uomini e donne,
cui sarebbe spettato il diritto di asilo, o perlomeno il diritto di
richiederlo. L’Italia è in quel caso responsabile di tortura e crimini contro
l’umanità tanto quanto il regime dittatoriale di Gheddafi. Questo è il responso
dato anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che nel 2012 ha condannato l’Italia
per gravissime violazioni dei diritti umani fondamentali (CEDU 23.02.12 n.
27765, Hirsi e altri v. Italia). Il problema di fondo che sta alla base di
questa pratica consiste nel fatto che tra i migranti a bordo delle barche
intercettate potrebbero esserci profughi in cerca di protezione internazionale
e il respingimento senza prima una verifica attenta, che in quelle condizioni è
difficile che avvenga, viola l’articolo 18 della Carta dei Diritti Fondamentali
dell’Unione europea che recepisce a sua volta il principio stabilito dalla
Convenzione di Ginevra, secondo cui gli Stati non possono rinviare i rifugiati
in paesi dove questi sono perseguitati e rischiano la vita, nonché la nostra
stessa Costituzione.
Altro obbrobrio dell’attuale normativa riguarda la
previsione di un reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per
chiunque porti in territorio italiano stranieri non regolari, reato punito con
la reclusione fino a tre anni e con una multa fino a 15 mila euro per ogni
persona 'favorita'. Questo ha comportato traversie giudiziarie per alcuni dei
pescatori che con le loro barche hanno tratto in salvo dei migranti, basti
pensare al caso dei pescatori tunisini che nell’agosto nel 2007 trassero in
salvo 44 di loro portandoli presso il porto di Lampedusa e furono sottoposti
per questo ad un processo lungo 4 anni. Una tale normativa viola ogni
convenzione internazionale in merito al soccorso in mare, nonché ogni principio
di umanità.
Infine, a chiusura di questa galleria degli orrori giuridici
e umani, merita un cenno il c.d. reato di clandestinità, introdotto con il
pacchetto di sicurezza del 2009 (legge n.94 del 15 lugllio 2009). Il reato
punisce, con una multa che può andare da un minimo di 5.000 € ad un massimo di
10.000 € e un ordine di espulsione, sia l’ingresso sul territorio, sia il
trattenersi sul territorio italiano in violazione del TU sull’immigrazione. Per
la prima volta nel nostro ordinamento penale si punisce non la commissione di un fatto lesivo di un
bene costituzionalmente garantito, ma una mera condizione di fatto. La
punibilità di un soggetto sulla base di un mero status, di una categoria di appartenenza, piuttosto che sulla base
della commissione di un fatto penalmente rilevante, travolge le istanze
garantiste e legaliste che informano – o informavano - il nostro ordinamento
penale. La paradossalità di tale figura di reato risulta lampante quando si
legge che la Procura di Agrigento ha informato che i superstiti di Lampedusa
saranno imputati per il reato di clandestinità, trattandosi di atto dovuto!
In chiusura merita un accenno la problematica della
collaborazione al livello europeo nell’ambito delle politiche migratorie.
L’Europa ad oggi difetta di una politica comune in tema di immigrazione, come
del resto difetta di una politica comune in molti altri settori, se non
prettamente economici. L’Italia e Lampedusa rappresentano l’avamposto
dell’Unione nel Mediterraneo e come tali dovrebbero essere vissuti. Un
rafforzamento del controllo delle frontiere, seppur necessario, non è di per sé
sufficiente; occorrono strutture e un coordinamento europeo per gestire
l’accoglienza dei migranti e garantire il rispetto dei loro diritti
fondamentali all’arrivo su suolo italiano. Detto questo però, l’Italia non può
di certo richiedere all’Europa l’avvio di procedure emergenziali per far fronte
a presunte elevate ondate migratorie. Guardando i dati della presenza straniera
in Europa, quelli che riguardano l’Italia sono ben al di sotto di quelli di
Germania e Spagna, al pari di quelli del Regno Unito e poco al di sopra di
quelli della Francia[1].
Confrontando i dati invece sulla presenza dei rifugiati, l’Italia scivola
ancora più in basso. I dati del 2011 parlano di 571.000 rifugiati per la
Germania; 210.000 per la Francia; 194.000 per il Regno Unito; 87.000 per la
Svezia; 75.000 per i Paesi Bassi, contro 58.000 per l'Italia[2].
Questi dati rendono bene il quadro di una classe politica italiana che grida
all’allarmismo e “gioca” a nascondere le proprie responsabilità dietro
l’Europa. L’immobilità, se non gli
imbarbarimenti, dell’attuale quadro politico e legislativo sono il preludio di
altre e future tragedie, se non verranno sottoposti ad una celere revisione.
Quello che c’è da augurarsi è che questa volta sia posta in primo piano la
dignità della vita umana, di ogni vita umana. Altrimenti i minuti di silenzio
continueranno a rimanere atti di vuota retorica.
[1]
DATI EUROSTAT (2012) In termini assoluti, il numero più elevato di stranieri
residenti nell'UE si registra in Germania (7,2 milioni di persone al
1° gennaio 2011), Spagna (5,6 milioni), Italia (4,6 milioni), Regno Unito
(4,5 milioni) e Francia (3,8 milioni).
Commenti