intervista a Ayman
Abdel-Nour, a cura di Souriya 'ala toul
in “syrie.blog.lemonde.fr”
del 13 ottobre 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)
Souriya 'ala toul ha
messo on line il 13 ottobre un'intervista dell'ingegnere Ayman Abedl-Nour, creatore
e redattore capo di All4Syria.
Con più di 22.000 lettori
quotidiani, questo sito è considerato da anni, da molto prima della
rivoluzione, come il primo sito siriano di informazione on line, o addirittura
il primo media siriano in assoluto.
Compagno di università di
Bachar al-Assad, Ayman Abdel-Nour lo ha consigliato durante gli anni in cui si
preparava al potere. Riteneva allora che l'amico volesse realmente riformare il
paese. Ma, poco tempo dopo l'arrivo di Bachar al vertice dello Stato, ha perso
speranza: invece di mettere in atto le riforme che avevano immaginato, Bachar
si è affrettato a promulgare leggi destinate ad arricchire la famiglia della
moglie, Asma al-Akhras, i figli dei suoi zii al-Assad e Maklouf, e un certo
numero di persone a loro vicine.
Nel 2003, Ayman Abdel-Nour
ha cominciato a prendere le distanze dalla presidenza e ha creato il sito di
informazione All4Syria. Il suo nome arabo, Kullu-nâ churakâ' fî l-Watan
(Siamo tutti partner nella patria) riflette meglio lo spirito e
l'orientamento che questo “baathista per il rinnovamento” intendeva dare al suo
lavoro. Non ha avuto libertà d'azione per molto tempo: minacciato dai funzionari
del partito unico e dai loro complici nei servizi segreti, è stato costretto
nel 2007 a fuggire dal suo paese con la sua famiglia. Da allora vive a Dubai,
da dove continua, con il suo sito e con i suoi interventi nei media, a
diffondere la sua visione di una Siria non confessionale, democratica e civile.
Dopo aver contribuito, nel
2011, alla creazione dell'associazione Syriens Chrétiens pour la Démocratie,ha
partecipato al lancio di Syriens Chrétiens pour la Paix, una ONG che si
inscrive nell'opposizione siriana. Cerca di rendere più consapevoli i cristiani
siriani e lavora per dare soccorso ai siriani all'interno. Si batte per
denunciare la pretesa di Bachar al-Assad di dichiararsi “protettore dei
cristiani”, in Siria, in Libano e nell'insieme del Medio Oriente. Tenta di
dimostrare, con il suo impegno accanto agli altri siriani, che, contrariamente
a quanto afferma il regime, non tutti i cristiani hanno preso posizione contro
i loro compatrioti che aspirano alla libertà e alla dignità.
Come spiegare la discrezione
della comunità cristiana siriana all'interno della rivoluzione? Che cosa le ha
offerto il regime per mantenerla dalla sua parte?
Fin dal primo giorno, il
regime ha giocato sulla corda confessionale. Ancor prima che ci fosse la minima
dimensione islamica, il minimo slogan islamico o il minimo movimento islamico.
Con la collaborazione della sua consigliera Bouthayna Chaaban, Bachar al-Assad
si è dato da fare, alla televisione, a far vibrare la corda delle emozioni. È
riuscito a terrorizzare i cristiani in Siria e all'estero, usando per questo
delle persone a lui vicine che vivono in Siria e i mezzi di cui dispone il sistema.
Ha organizzato contro di loro degli attacchi ricorrendo a degli shabbah presentati
come “gruppi islamici tackfiris” e ha fatto loro credere che se cadeva
il suo regime non avrebbero avuto alcun futuro. È riuscito con questa
propaganda e con le aggressioni di cui sono stati vittime un certo numero di
preti da parte del regime ad inoculare la paura nella mente di un gran numero
di persone.
La paura si è diffusa tra
molta gente. Molti cristiani siriani che vivevano all'estero non partecipano ad
alcun movimento, né politico né economico. Vanno in Siria per 15 giorni
all'anno in occasione delle ferie estive per far visita ai loro cari, per
girare e permettere ai loro figli di scoprire il loro luogo di nascita. Poi
ripartono. Per questo non vogliono problemi e non si preoccupano veramente di
ciò che accade attualmente in Siria. Ora ci stiamo sforzando di prender contatto
con loro per far loro comprendere che un tale comportamento è inaccettabile: la
Siria non è un albergo in cui si passano alcuni giorni di tanto in tanto. È la
loro patria. Hanno delle libertà, delle rivendicazioni e dei diritti e devono
pretenderli.
Il regime si è messo
d'impegno per dividere le confessioni su tutti i piani. Si è dato da fare per colpire
in esse le personalità più influenti e più rispettabili. Ha cercato di ridurre
il loro peso dando un'importanza artificiale ad altre, a persone create a loro
cura, a loro legate e a loro debitrici. Ha coinvolto figure di tutte le
minoranze in attività economiche e finanziarie fraudolente e le ha piegate con
la corruzione con l'aiuto del cugino Rami Makhlouf. Ha offerto loro dei
vantaggi in denaro e in natura. Ha donato loro delle automobili e ha concesso
loro delle esenzioni. Ha dispensato i religiosi cristiani del servizio militare
obbligatorio, che invece gli uomini di religione musulmana devono prestare.
Così facendo, ha evidentemente sedotto e avvicinato a sé un certo numero di
questi religiosi.
Il regime considerava i
cristiani una minoranza prima della rivoluzione? O sono i cristiani che hanno
cominciato, dopo la rivoluzione, a percepirsi come tali?
Il regime ha sempre
mantenuto con i cristiani una relazione stabile. È come una specie di baratto.
In cambio della loro rinuncia ai loro diritti politici ed economici, i membri
del clero beneficiano dell'integralità dei loro diritti religiosi. Possono
svolgere i riti delle loro chiese e procedere a delle celebrazioni anche
all'esterno dei luoghi di culto. Non hanno il diritto di pretendere alcunché
negli ambiti politico ed economico, ma il regime sceglie dei membri delle loro
comunità che nomina a posti ministeriali o a funzioni diplomatiche. Mostra così
che i cristiani sono integrati nel regime e che ne beneficiano. Ma tutto questo
è falso. Si tratta solo di polvere negli occhi e di procedure ingannevoli.
In quanto cristiano siriano,
lei è stato esposto ad attacchi, a opposizioni o a critiche a causa della sua
attività politica?
Evidentemente, e questo da
parte di tutte le componenti della società. Una parte dei siriani ritiene che i
cristiani non si siano mostrati all'altezza di quanto ci si aspettava da loro,
che non sono stati abbastanza numerosi a partecipare alla rivoluzione e che non
hanno pagato il loro scotto in termini di vittime. Molti cristiani affermano al
contrario che abbiamo dato molto e che, tenuto conto del nostro peso relativo
nella società, abbiamo pagato un prezzo elevato. Per questo fatto, soffriamo dell'ostilità
sia degli oppositori che dei siriani favorevoli al regime.
I cristiani siriani
abbandonano il loro paese? Quale futuro vedono per sé in Siria?
I cristiani si rendono conto
ogni giorno di più che il regime non ha le capacità che immaginavano. Alcuni
ritengono di esser stati ingannati. Vediamo ormai crescere la percentuale di
cristiani che partecipa alla rivoluzione e che la sostiene. Il nostro interesse
è ce il conflitto termini il più presto possibile, per prevenire la distruzione
totale del paese. I cristiani hanno sempre la pace come obiettivo. Per questo
invitano a deferire ai tribunali tutti i criminali e a deporre le armi per far prevalere
la pace in Siria.
Dopo il radicalismo
osservato nelle fila della rivoluzione, come si percepiscono i cristiani nel tessuto
sociale siriano?
È vero che ora siamo
confrontati al problema dell'emigrazione e alla partenza di molti cristiani verso
paesi occidentali. È un problema, perché dubito che coloro che partono così
torneranno un giorno in Siria. Per il paese è una perdita di cui soffrirà.
Di alcuni religiosi
cristiani abbiamo sentito dire che hanno rivolto dei messaggi ai loro fedeli chiedendo
loro di restare dalla parte del regime...
Dobbiamo riconoscere che
abbiamo un problema con un certo numero di religiosi cristiani, che sono legati
al regime per interessi importanti. Come associazione, chiediamo a tutti i
cristiani di restare in Siria e di sopportare le difficoltà del momento presente,
in modo da preservare sia il loro numero e il loro futuro e fare in modo che si
possa sempre sentire ciò che hanno da dire. Nessun gruppo umano avrà in futuro
un peso politico se oggi lascia la Siria. Si rimprovererà ai suoi membri di
aver considerato il paese come un albergo e non come la patria che bisognava difendere.
Che cos'è l'Organizzazione
Siriani Cristiani per la Pace? Da dove è arrivata questa idea e qual è il suo
messaggio?
Si è fatta strada l'idea che
occorreva dare ai cristiani una voce udibile all'interno della rivoluzione. Dovevano
appoggiarla, impedendo al regime di sfruttare le voci, i “si dice” che diffonde
tramite i media, del genere: “il regime protegge le minoranze”, “è il regime
che protegge i cristiani”, “senza il regime, i cristiani non esisteranno più”...
Come se, prima di questo regime, non ci fossero mai stati dei cristiani in
Siria e in Medio Oriente...!
È per questo che il termine “cristiano”
è stato scelto per figurare nel nome dell'associazione.
Bisognava rispondere direttamente
a coloro che dubitavano della partecipazione dei cristiani alla rivoluzione.
Dovevano sapere che i cristiani vi prendevano parte attiva. Quanto alla parola “pace”,
fa parte del messaggio di Cristo. Occorreva anche riunire le energie dei
giovani cristiani e degli uomini di religione impegnati nella rivoluzione, per
aiutarli nel loro impegno in funzione delle nostre possibilità.
La vostra azione si limita
ai cristiani al di fuori della Siria? O avete anche delle attività all'interno?
La nostra azione riguarda i
cristiani in Siria e fuori della Siria. Ma non si limita ad essi, al contrario.
Oggi, in Siria, ci sono
notevoli bisogni. Poco tempo fa abbiamo portato degli aiuti a Homs, ma anche a
Raqqa e a Deir al-Zor, che non si possono certo definire “città cristiane”. Non
facciamo assolutamente alcuna discriminazione in questo ambito.
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