di Christian
Albini
in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 27 ottobre
2013
Credenti e no
sono necessariamente avversari? Da sempre sostengo che non sia vero. Premetto
che queste sono etichette fuorvianti, come ormai sostengono molti. Il
«credente» è abitato dal dubbio e anche il «non-credente» conosce una sua fede
e la ricerca. Tuttavia, sono categorie comode per semplificare i nostri
discorsi, a patto di disinnescare alcuni luoghi comuni fuorvianti e dannosi.
Uno dei più
importanti riguarda il significato del linguaggio del relativismo, che ha
segnato il pontificato di Benedetto XVI, e l’uso che se ne fa. A lungo, il
dissenso rispetto alle posizioni prevalenti tra i vertici della gerarchia
cattolica, soprattutto in campo etico-legislativo, è stato respinto ricorrendo
a quest’accusa. Il relativismo fa parte di quei concetti il cui significato è
stato irrigidito e che vanno ri-compresi e ri-letti. C’è bisogno di una nuova
comprensione di parole che sono state sequestrate dai settori più chiusi del
cattolicesimo.
La laicità non è
relativista
Gustavo
Zagrebelsky, intervenendo nel dialogo aperto da papa Francesco con Eugenio
Scalfari, scrive: «In ogni spirito che s’ispira alla laicità e crede alla
necessità che forze morali possono unirsi per combattere il materialismo
nichilistico e autodistruttivo delle società basate sull’egoismo mercantile, l’invito
a “reimpostare in profondità la questione” suscita non solo interesse, ma perfino
entusiasmo. La premessa è che il vero, il bene e il giusto esistono, che dunque
non è insensato cercarli e cercarli insieme, ma che nessuno li possiede da
solo, unilateralmente, onde possa imporli agli altri. Il centro del discorso è
la coscienza e la sua insopprimibile libertà» (la Repubblica, 23 settembre
2013).
In anni recenti,
vale la pena ricordarlo, Zagrebelsky ha portato avanti una critica serrata all’etica
dei principi non negoziabili e della legge naturale, così com’era impostata
anche da voci autorevoli del magistero. Questa sua posizione, come si evince
dalle parole che ho riportato, non significa la negazione della verità, del
bene e della giustizia. Il suo è il rifiuto di una certa impostazione etica e degli
argomenti di cui si avvale, più che di ogni etica. E nemmeno è il sostenere una
posizione radicalmente individualista e perciò relativista.
Ultimamente,
alcuni fatti tragici hanno dimostrato come sia possibile trovare una sintonia
tra portatori di visioni del mondo diverse in nome del bene della persona. È
accaduto in occasione della giornata di preghiera e digiuno per la pace e in
seguito alle tragiche morti di Lampedusa. Qui è in causa la persona con il suo
volto, la sua carne, il suo sangue: un bene univoco, evidente, da difendere nei
confronti di un male indubitabile.
Alle radici
delle divergenze
Ci sono altre
situazioni – soprattutto quelle riguardanti l’etica d’inizio e fine vita e la
famiglia – in cui questa sintonia non si riscontra. Perché? Bisogna avere l’accortezza
di chiedersi se questa è una divergenza che nasce da una negazione della vita e
della famiglia, o piuttosto da una differente concezione del bene. Il
nichilismo certamente esiste, ma sarebbe irrealistico considerarlo un fronte ben
identificabile e schierato in armi contro i cattolici che lo fronteggiano. Solo
un’esigua minoranza, tra gli atei e i non cattolici, può essere considerata
effettivamente nichilista.
Nietzsche e
Heidegger hanno ben spiegato come il nichilismo sia piuttosto un clima di
pensiero, un’atmosfera che tutti respiriamo, cattolici compresi. Si può essere
perfettamente ortodossi sul piano dottrinale, eppure assumere un atteggiamento
nichilista: è il caso del fondamentalismo, che divide il mondo in due e
demonizza l’alterità negandone il bene.
Il punto è: chi
sostiene su questioni di vita e famiglia una posizione “altra” rispetto a
quella prevalente nella
Chiesa – scrivo prevalente, perché in ambito teologico-morale interrogativi e dibattiti
hanno uno spazio molto più ampio di quanto generalmente non si pensi, al punto
che nella storia si rilevano cambiamenti anche notevoli nel magistero – è
sostenitore di un male? E se, invece, sostenesse un bene differente, oppure una
differente attuazione del medesimo bene che la Chiesa sostiene?
La prospettiva
dell’incontro
Se in una
relazione omosessuale caratterizzata da fedeltà e dedizione c’è un bene,
riconoscerlo non significa negare il matrimonio.
Chi sostiene, a
certe condizioni e in certe situazioni, l’interruzione della ventilazione o
della
nutrizione
artificiale è per la morte, o invece discerne una sproporzione tra i costi soggettivi,
in termini di disagio psicologico, di queste pratiche e il fine che perseguono?
Si tratterebbe allora di un giudizio morale su come coniugare la cura della
vita con la libertà e la dignità della persona umana.
Non è affatto l’avvallo
dell’eutanasia e di una cultura dello scarto, ma accettare che oltre un certo limite
può diventare disumanizzante persistere nell’impedire la morte.
Affrontare
queste e altre questioni non significa entrare in una prospettiva di
permissivismo senza freni, in cui tutto va bene. Sarebbe caricaturale porre le
cose in questi termini. È più corretto dire che è una prospettiva d’incontro,
la quale nasce dalla disponibilità a riconoscere il bene di cui l’altro è
portatore dentro a una relazione. Senza che questo significhi necessariamente
trovare un accordo facile e totale. Allo stesso modo, non è attraverso la
vittoria in una disputa, bensì nella relazione che l’altro arriva a ritenere
credibile me e il bene di cui sono portatore.
Scrive Paolo:
«Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1 Ts 5,21).
Il relativismo,
allora, non è dato da posizioni non pienamente coincidenti con le mie, ma
dall’indifferenza
per la persona e il suo bene, che inizia dal non riconoscerlo come soggetto portatore
di un’autenticità etica che si manifesta nella sua coscienza. È in questi
termini che si può leggere l’esortazione di papa Francesco a seguire il bene
percepito dalla propria coscienza, che non è avvallo di tutto. Nel mercante di
clandestini o nell’aguzzino nazista non c’è autenticità etica, perché c’è
indifferenza verso l’altro. Ben diverso è il caso di chi entra nei dibattiti su
vita e famiglia.
Commenti
http://pellegrininellaverita.wordpress.com/2013/10/31/progressismo-fumoso/
Ciao