di Henri Tincq
in “www.slate.fr” del 15
marzo 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)
L'Europa non è più il centro
della Chiesa. Giovanni Paolo II era venuto dall'Est, papa Francesco viene dal
Sud. Il centro di gravità del mondo cattolico si è spostato. Il suo orizzonte
si è ampliato, mondializzato.
Un orizzonte che non è più,
per il nuovo papa, quello delle guerre europee che avevano così dolorosamente
segnato degli uomini come il polacco Karol Wojtyla e il tedesco Jospeh
Ratzinger.
Un orizzonte in parte
lontano dal Concilio Vaticano II (1962-1965) – a cui Jorge Mario Bergoglio, troppo
giovane, non ha assistito – e dalle dispute europee tra progressisti e
conservatori che ne erano seguite. Giovanni Paolo II, nel 1978, veniva da quei
paesi dell'Est europeo, di cultura slava e di regime comunista, prigionieri
dietro la cortina di ferro, da quella “Chiesa del silenzio” insieme compatita e
criticata in Occidente per il suo conservatorismo. Il papa polacco ha ridato
loro una voce, mostrato cammini di liberazione che avrebbero portato alla
caduta del muro di Berlino.
Visione tragica della Storia
Benedetto XVI, nel 2005,
veniva invece da quella Baviera ultracattolica dove i campanili
scolpiscono un cattolicesimo
da Controriforma, dove la liturgia, gli ornamenti e i cantici si fondano sul
paesaggio rurale, sulla vita familiare, le feste, la cultura e la musica. Tutta
la sua teologia resterà segnata da quel gusto per la tradizione.
Il tedesco Joseph Ratzinger
come il polacco Karol Wojtyla sono stati troppo presto aspirati dai totalitarismi
– il nazismo, il comunismo – che avrebbero alimentato in loro una visione
tragica della Storia, che legava insieme mancanza di senso, morte di Dio e
annientamento dell'uomo. Ad Auschwitz e nel gulag.
Il papato che, per quattro
secoli e mezzo, era stato una sorta di riserva di caccia degli italiani e che, in
questi ultimi trentacinque anni (1978-2013), ne avevano affidato le chiavi ad
altri due papi europei, si trova a vivere un rovesciamento geografico che esprime
un sorprendente adattamento alla modernità e al cambiamento del mondo da parte
dei cardinali elettori del conclave. Ed esprime anche lo spettacolare cambiamento
dei rapporti di forza in seno ad una Chiesa che ha cambiato emisfero.
Religione popolare, emotiva,
devozionale, attiva
Papa Francesco viene da
quell'America Latina in cui vive la metà della popolazione cattolica del mondo –
500 milioni di fedeli – e che conta al suo interno paesi tra i più cattolici
del pianeta: 150 milioni in Brasile, 92 milioni in Messico, 38 milioni in
Argentina, ecc.
Viene da un continente
cattolico in tutti i suoi aspetti: la sua storia (quella della colonizzazione spagnola
e portoghese), i suoi riferimenti culturali, le sue istituzioni educative e
sociali, il posto occupato dalla Chiesa nel dibattito politico. Francesco parla
lo spagnolo che è la prima lingua del cattolicesimo mondiale.
La religione lì è popolare,
emotiva, devozionale, attiva. Le tensioni nate attorno alla teologia della liberazione
negli anni tra il 1960 e il 1980, erano sinonimo di una volontà di impegno
sociale, con tutte le sue contraddizioni.
La Chiesa da cui viene il
nuovo papa resta legata a tutti i dibattiti della società civile in paesi che hanno
subito regimi di dittatura militare sanguinosa, esperienze marxiste, guerriglie
e che soffrono ancora di tutte le contraddizioni legate ad un neoliberismo
selvaggio, ad un aumento esagerato delle disuguaglianze, alla violenza delle
città, ad esperienze populiste.
A lungo è servita da
modello, in particolare in questa Europa dal cristianesimo esausto e
senescente, per il dinamismo delle sue comunità, per la sua creatività
teologica, per il suo impegno nelle lotte sociali, testimoniate in Brasile da
un Dom Helder Camara, allora vescovo di Recife, o da un Paulo Arns, allora
arcivescovo di San Paolo.
Godeva un tempo di un “quasi-monopolio”
religioso. Ma ormai si trova a fronteggiare una grave emorragia, essendo
fortemente minacciata dall'esplosione della Chiese evangeliche e pentecostali.
In Brasile, la Chiesa ha
perso un quarto dei suoi fedeli in venticinque anni. In Argentina, in
vent'anni, quattro milioni
l'hanno lasciata per andare ad ingrossare le fila delle “sette” evangelicali.
Divisione attorno a due
linee
Due orientamenti
caratterizzano oggi i cattolici latinoamericani. C'è una linea neoconservatrice
con il vento in poppa, rappresentata da movimenti conservatori – Opus Dei,
Legionari di Cristo, Comunione e liberazione, a cui è vicino il nuovo papa – da
una nuova generazione di vescovi legati all'ortodossia romana, da predicatori
del Rinnovamento carismatico, come il celebre prete brasiliano
Marcelo Rossi, che, alla
maniera pentecostale, riempie gli stadi in Brasile.
Per loro, sarebbe la
politicizzazione della Chiesa degli anni '60-'90 la responsabile dell'erosione numerica
delle sue truppe. La Chiesa dei tempi eroici era certamente riuscita a toccare
le forze di opposizione, le classi medie e intellettuali, ma aveva trascurato i
bisogni spirituali delle popolazioni povere. Questo sarebbe andato a vantaggio
dei gruppi evangelical, più pronti a formare dei “pastori”, ad occupare i
quartieri poveri delle città con le loro reti di mutuo aiuto, a promettere benefici
immediati in termini di salute, di lotta contro l'alcol e la droga.
Una seconda linea “neoprofetica”
resiste e resta fedele agli orientamenti di ieri: opzione
preferenziale per i poveri,
fiducia alle “comunità di base” e alla “Chiesa popolare”. Le neo-teologie della
liberazione e i militanti impegnati, preti e laici, eredi delle lotte di un
tempo, non disperano del ruolo di avanguardia che i cattolici sono ancora
chiamati a svolgere nelle lotte ecologiche, in quelle a favore delle
popolazioni indiane, delle donne, degli emarginati delle economie liberali.
Per la sua storia, il suo
stile di vita e i suoi impegni, il nuovo papa, Jorge Mario Bergoglio, riunisce queste
due tendenze del cattolicesimo latino-americano, finalmente proiettato al
vertice della Chiesa.
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