di Lorenzo Banducci
Il
suono, sempre terribile, della sveglia ha spento il mio torpore in una tiepida
mattina di metà marzo. Ho avuto appena il tempo di stropicciarmi gli occhi e
aprire la finestra per vedere fuori. Erano le 6 del mattino di un 13 marzo
particolare, ma io ancora non lo sapevo.
Fuori
la campagna lucchese appariva opaca e ancora poco illuminata dalla luce di una
giornata che si prospettava grigia. In alto un cielo scuro non prometteva nulla
di buono. Di lì a poco i primi scrosci d’acqua hanno accompagnato la mia
preparazione per la partenza: ho chiuso la valigia, mi sono vestito, ho preso
lo zaino con tutti i marchingegni tecnologici che posseggo per restare
aggiornato col Mondo in questi giorni che mi attendevano lontano da casa, a Roma.
Tre
giorni in visita di Stefano Nannini, presidente nazionale della FUCI, e di
tutti gli amici membri della presidenza e del consiglio centrale della
Federazione Universitaria Cattolica Italiana i quali di lì a poco si sarebbero
recati a Roma. La mia speranza ed il mio sogno erano quelli di vedere un nuovo
Papa affacciarsi dalla loggia centrale di San Pietro per salutare la piazza, la
città di Roma e il mondo intero.
Arrivato
alla stazione di Pisa ho incontrato il mio compagno di viaggio Mauro Bertucci.
Ci siamo scambiati poche parole prima di salire sul treno che di lì a qualche
ora ci avrebbe condotto nella città eterna. In quelle ore abbiamo condiviso le
nostre aspirazioni per una Chiesa che aveva l’opportunità, anche grazie alla
scelta di Benedetto XVI, di cambiare passo, di iniziare un nuovo cammino di
rinnovamento, di provare ad interfacciarsi con il mondo in un dialogo aperto e
costante. Una Chiesa che poteva tornare a far sognare i suoi fedeli e ad
avvicinare i non credenti e i credenti di altre religioni. Attendevamo con
ansia la risposta di 115 Cardinali rinchiusi in una Cappella meravigliosa dove,
chi vi è stato lo può raccontare, si respira la presenza di Dio in ogni angolo,
dove ogni pennellata di Michelangelo trafigge il cuore di chi guarda come solo
una spada può fare. I Cardinali in ascolto dello Spirito Santo, così presente e
vivo nella Sistina, stavano per dare una risposta a tutta la Chiesa e al mondo
intero.
A
Roma l’attesa è proseguita nelle stanze di Via della Conciliazione (sede della
FUCI e dell’Azione Cattolica) dove, con grande trepidazione, abbiamo aspettato
che si levasse la fumata dal comignolo di piazza San Pietro. Intorno alle 19
poi l’abbiamo vista: una nuvola candita che si levava dalla piazza e a rotta di
collo ci siamo precipitati insieme ad una folla incredibile di fronte alla
facciata della Basilica. L’attesa era finalmente finita.
C’erano
persone provenienti da ogni angolo della Terra intorno a noi, bandiere
colorate, canti e cori da stadio animavano una serata unica. I ragazzi con me
guardavano dritti quel balcone in attesa che qualcuno uscisse. Il momento alla
fine è arrivato e anche la pioggia, incessante per tutto il giorno, ha deciso
di smettere.
L’annuncio è stato rapidissimo ed emozionante. Ricorderò sempre la
grande commozione intorno a me e l’immensa gioia nel cuore quando è stato
pronunciato il nome scelto dal nuovo Papa: Francesco. Quel Cardinale
sconosciuto di nome Bergoglio proveniente dall’Argentina (almeno così si
mormorava timidamente in piazza) aveva già conquistato tutti prima di parlare.
Nessuno aveva mai scelto quel nome prima di lui, così impegnativo e pesante
segno di un messaggio radicale e forte come era stato il Santo di Assisi. Un
messaggio incentrato sulla povertà, sull’evangelizzazione, sulla pace fra i
popoli, sull’armonia con la natura, sulla vita eremitica fuori dal mondo, ma
anche in mezzo alla gente, con la gente, nelle città. Un messaggio segnato
dall’obbedienza alla Chiesa di Cristo, ma nello stesso tempo anche dalla
ricerca personale e creativa della perfezione.
Non
l’avevamo ancora visto, ma ci aveva già aperto il cuore.
La
sua comparsa in scena, dopo qualche minuto, è stata ancor più stupefacente: il
Vescovo di Roma (così ha sempre parlato del suo nuovo ministero) venuto “quasi
dalla fine del mondo” ha saputo utilizzare un registro colloquiale, affettuoso,
come quello che si usa fra amici. Ci ha chiamati “fratelli e sorelle” e ci ha
salutato con un semplice “Buona notte e buon riposo.” Parole facili, educate,
sostanziali, misurate e naturali. Come d’altronde è stato il suo abbigliamento:
senza orpelli, gioielli o accessori vari. Prima della sua solenne benedizione
ci ha invitato a pregare per lui piegandosi sulla balustra. La preghiera come
elemento su cui costruire un cammino insieme. Senza di essa, senza quella
“dimensione contemplativa della vita” di cui parlava il Cardinal Martini,
possiamo veramente combinare poco.
Avremmo
voluto che Papa Francesco non rientrasse più dentro la Basilica di San Pietro,
avremmo voluto stare ad ascoltarlo ancora per ore sicuri che ci avrebbe saputo
stupire con i suoi gesti umili e con le sue parole semplici.
Ma
sapevamo che questa richiesta era totalmente irrealizzabile, perché adesso sarebbe toccato
a ciascuno di noi il compito di promuovere nelle nostre chiese locali il
vento di novità portato da Papa Francesco, affinchè le nostre comunità possano continuare a crescere
nella semplicità e nella radicalità del messaggio d’amore di Cristo.
Rimbocchiamoci le maniche: il cammino da fare è appena iniziato!
(Lorenzo Banducci)
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