di Christine Pedotti
in “www.temoignagechretien.fr”
dell'11 aprile 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)
L'11 aprile 1963,
esattamente cinquant'anni fa, Papa Giovanni XXIII pubblicava l'enciclica Pacem
in Terris, che era scaturita da due urgenze.
Innanzitutto quella della
storia. Nel corso dell'ottobre 1962, la crisi dei missili di Cuba porta il mondo
sull'orlo di un terzo conflitto mondiale. Quell'autunno, la Guerra fredda, che
contrappone l'URSS e il blocco dell'Est agli Stati Uniti e alle nazioni
occidentali, rischia di diventare calda.
Mentre i 2500 Padri
conciliari dibattevano di problemi di liturgia e di latino all'interno di San
Pietro a Roma, papa Giovanni XXIII tentava di interporsi per bloccare
l'escalation tra le due grandi potenze, che disponevano entrambe di armi
atomiche in grado di sterminare gran parte della popolazione mondiale.
L'altra corsa contro il
tempo è quella che il papa conduce contro il cancro che lo porterà via il
lunedì di Pentecoste del 1963. Si dice spesso che quest'enciclica fu il
testamento di Papa Giovanni; più precisamente fu un lascito. La questione della
pace era presente in Angelo Roncalli da molto tempo. Del resto, la parola è presente
nel suo motto: “Obbedienza e pace”. Ma, soprattutto, aveva fatto esperienza
della guerra per ben due volte. Arruolato nelle truppe italiane durante la
Prima Guerra mondiale, era stato direttamente a contatto con i feriti. E
durante la Seconda Guerra, la sua posizione di nunzio in Turchia e in Grecia lo
aveva nuovamente messo di fronte all'orrore.
Fin dal mese di novembre
1962, sapendo di avere i mesi contati, inizia il lavoro di composizione dell'enciclica.
Non è la prima volta che un papa esprime auspici di pace e di concordia. Ma
questa volta, il sovrano pontefice rivolge il suo testo non solo
all'episcopato, al clero e ai fedeli di tutto il mondo, ma anche a tutti gli “uomini
di buona volontà”.
Giovanni XXIII lo spiega con
queste parole: “La pace universale è un bene che interessa tutti gli uomini, e
quindi è a tutti, indistintamente, che abbiamo aperto il nostro cuore”. In
questo caso, e in maniera assolutamente determinata, il testo pontificio non si
basa sulla Rivelazione cristiana, ma sul diritto naturale. E presentando la
pace non come l'assenza di guerra, ma come “anelito profondo degli esseri umani
di tutti i tempi ”. Abbandona la problematica della guerra giusta, sviluppata a
partire da san Tommaso d'Aquino. Il carattere profondamente innovativo dell'enciclica
è che affronta le condizioni della pace. A questo titolo, difende il disarmo
non solo materiale, ma anche “integrale”, che tocchi anche gli spiriti: occorre
“adoprarsi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica”.
Ma il papa non dimentica un
altro aspetto della pace, quello legato allo sviluppo. Non c'è pace senza giustizia,
per cui le nazioni più ricche sono tenute a dare assistenza alle nazioni in via
di sviluppo.
Ma, con rigore e lucidità,
il testo ricorda che “la cooperazione, di cui si è fatto cenno, va attuata nel più
grande rispetto per la libertà delle comunità politiche in fase di sviluppo. Le
quali comunità è necessario che siano e si sentano le prime responsabili e le
principali artefici nell’attuazione del loro sviluppo economico e del loro
progresso sociale” e le nazioni ricche devono “agire senza propositi di
predominio politico”.
I mezzi della pace indicati
dal papa non sono meno sorprendenti, e hanno turbato non poco la vecchia
guardia della teologia romana. Infatti, il papa promuove i diritti umani, non
esita a citare la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo dell'Onu
e auspica lo stabilirsi di una autorità “universale” che possa garantire quei
diritti.
Pacem in Terris è
soprattutto un testo base che trasforma il modo in cui la Chiesa si pone nei confronti
del mondo. Gli autori della dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae sulla
libertà religiosa troveranno in questo testo la loro ispirazione.
Coloro che comporranno Gaudium
et Spes riprenderanno i famosi “segni dei tempi” che di cui si parla
nell'enciclica e dove si trova per la prima volta un apprezzamento positivo
dell'“ingresso della donna nella vita pubblica”, considerato con un frutto
prodotto dalla “civiltà cristiana”.
In quella primavera del 1963
il vecchio papa offre un testo profetico che non ha ancora dato tutti i suoi
frutti. Fu tale il clamore determinato all'epoca dalla sua pubblicazione, che
il musicista Darius Milhaud ne compose una sinfonia corale.
Papa Paolo VI ne ricavò il
suo biglietto per l'ONU dove, nell'ottobre 1965, pronunciò il celebre discorso “Mai
più la guerra!”. Non è presuntuoso pensare che a cinquant'anni di distanza,
l'enciclica sia un testimone che papa Giovanni passa a papa Francesco.
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