di Giorgio Napolitano
Oggi
come blog desideriamo proporvi il testo integrale del discorso di insediamento
del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Una semplice ed efficace
lezione di politica per ciascuno di noi!
Signora Presidente,
onorevoli deputati, onorevoli senatori, signori delegati delle Regioni,
lasciatemi innanzitutto
esprimere – insieme con un omaggio che in me viene da molto lontano alle
istituzioni che voi rappresentate – la gratitudine che vi debbo per avermi con
così largo suffragio eletto Presidente della Repubblica. E’ un segno di rinnovata
fiducia che raccolgo comprendendone il senso, anche se sottopone a seria prova
le mie forze : e apprezzo in modo particolare che mi sia venuto da tante e
tanti nuovi eletti in Parlamento, che appartengono a una generazione così
distante, e non solo anagraficamente, dalla mia.
So che in tutto ciò si è
riflesso qualcosa che mi tocca ancora più profondamente : e cioè la fiducia e
l’affetto che ho visto in questi anni crescere verso di me e verso
l’istituzione che rappresentavo tra grandi masse di cittadini, di italiani –
uomini e donne di ogni età e di ogni regione – a cominciare da quanti ho
incontrato nelle strade, nelle piazze, nei più diversi ambiti sociali e
culturali, per rivivere insieme il farsi della nostra unità nazionale.
Come voi tutti sapete, non
prevedevo di tornare in quest’aula per pronunciare un nuovo giuramento e
messaggio da Presidente della Repubblica.
Avevo già nello scorso
dicembre pubblicamente dichiarato di condividere l’autorevole convinzione che
la non rielezione, al termine del settennato, è “l’alternativa che meglio si
conforma al nostro modello costituzionale di Presidente della Repubblica”.
Avevo egualmente messo l’accento sull’esigenza di dare un segno di normalità e
continuità istituzionale con una naturale successione nell’incarico di Capo
dello Stato.
A queste ragioni e a
quelle più strettamente personali, legate all’ovvio dato dell’età, se ne sono
infine sovrapposte altre, rappresentatemi – dopo l’esito nullo di cinque
votazioni in quest’aula di Montecitorio, in un clima sempre più teso – dagli
esponenti di un ampio arco di forze parlamentari e dalla quasi totalità dei
Presidenti delle Regioni. Ed è vero che questi mi sono apparsi particolarmente
sensibili alle incognite che possono percepirsi al livello delle istituzioni
locali, maggiormente vicine ai cittadini, benché ora alle prese con pesanti
ombre di corruzione e di lassismo. Istituzioni che ascolto e rispetto, Signori
delegati delle Regioni, in quanto portatrici di una visione non accentratrice
dello Stato, già presente nel Risorgimento e da perseguire finalmente con
serietà e coerenza.
E’ emerso da tali
incontri, nella mattinata di sabato, un drammatico allarme per il rischio ormai
incombente di un avvitarsi del Parlamento in seduta comune nell’inconcludenza,
nella impotenza ad adempiere al supremo compito costituzionale dell’elezione
del Capo dello Stato. Di qui l’appello che ho ritenuto di non poter declinare –
per quanto potesse costarmi l’accoglierlo – mosso da un senso antico e radicato
di identificazione con le sorti del paese.
La rielezione, per un
secondo mandato, del Presidente uscente, non si era mai verificata nella storia
della Repubblica, pur non essendo esclusa dal dettato costituzionale, che in
questo senso aveva lasciato – come si è significativamente notato – “schiusa
una finestra per tempi eccezionali”. Ci siamo dunque ritrovati insieme in una
scelta pienamente legittima, ma eccezionale. Perché senza precedenti è apparso
il rischio che ho appena richiamato : senza precedenti e tanto più grave nella
condizione di acuta difficoltà e perfino di emergenza che l’Italia sta vivendo
in un contesto europeo e internazionale assai critico e per noi sempre più
stringente.
Bisognava dunque offrire,
al paese e al mondo, una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale,
di vitalità istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi :
passando di qui una ritrovata fiducia in noi stessi e una rinnovata apertura di
fiducia internazionale verso l’Italia.
E’ a questa prova che non
mi sono sottratto. Ma sapendo che quanto è accaduto qui nei giorni scorsi ha
rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti,
di chiusure e di irresponsabilità. Ne propongo una rapida sintesi, una sommaria
rassegna. Negli ultimi anni, a esigenze fondate e domande pressanti di riforma
delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti – che si sono
intrecciate con un’acuta crisi finanziaria, con una pesante recessione, con un
crescente malessere sociale – non si sono date soluzioni soddisfacenti : hanno
finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da
compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi. Ecco che cosa ha
condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici i confronti tra le forze
politiche e i dibattiti in Parlamento.
Quel tanto di correttivo e
innovativo che si riusciva a fare nel senso della riduzione dei costi della
politica, della trasparenza e della moralità nella vita pubblica è stato dunque
facilmente ignorato o svalutato : e l’insoddisfazione e la protesta verso la
politica, i partiti, il Parlamento, sono state con facilità (ma anche con molta
leggerezza) alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie, da
rappresentazioni unilaterali e indiscriminate in senso distruttivo del mondo
dei politici, delle organizzazioni e delle istituzioni in cui essi si muovono.
Attenzione : quest’ultimo richiamo che ho sentito di dover esprimere non induca
ad alcuna autoindulgenza, non dico solo i corresponsabili del diffondersi della
corruzione nelle diverse sfere della politica e dell’amministrazione, ma
nemmeno i responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme.
Imperdonabile resta la
mancata riforma della legge elettorale del 2005. Ancora pochi giorni fa, il
Presidente Gallo ha dovuto ricordare come sia rimasta ignorata la
raccomandazione della Corte Costituzionale a rivedere in particolare la norma
relativa all’attribuzione di un premio di maggioranza senza che sia raggiunta
una soglia minima di voti o di seggi.
La mancata revisione di
quella legge ha prodotto una gara accanita per la conquista, sul filo del
rasoio, di quell’abnorme premio, il cui vincitore ha finito per non riuscire a
governare una simile sovra-rappresentanza in Parlamento. Ed è un fatto, non
certo imprevedibile, che quella legge ha provocato un risultato elettorale di
difficile governabilità, e suscitato nuovamente frustrazione tra i cittadini
per non aver potuto scegliere gli eletti.
Non meno imperdonabile
resta il nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della
seconda parte della Costituzione, faticosamente concordate e poi affossate, e
peraltro mai giunte a infrangere il tabù del bicameralismo paritario.
Molto si potrebbe
aggiungere, ma mi fermo qui, perché su quei temi specifici ho speso tutti i
possibili sforzi di persuasione, vanificati dalla sordità di forze politiche
che pure mi hanno ora chiamato ad assumere un ulteriore carico di
responsabilità per far uscire le istituzioni da uno stallo fatale. Ma ho il
dovere di essere franco : se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle
contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi
al paese.
Non si può più, in nessun
campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione
praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno
bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società
italiana.
Parlando a Rimini a una
grande assemblea di giovani nell’agosto 2011, volli rendere esplicito il filo
ispiratore delle celebrazioni del 150° della nascita del nostro Stato unitario
: l’impegno a trasmettere piena coscienza di “quel che l’Italia e gli italiani
hanno mostrato di essere in periodi cruciali del loro passato”, e delle “grandi
riserve di risorse umane e morali, d’intelligenza e di lavoro di cui
disponiamo”. E aggiunsi di aver voluto così suscitare orgoglio e fiducia
“perché le sfide e le prove che abbiamo davanti sono più che mai ardue,
profonde e di esito incerto. Questo ci dice la crisi che stiamo attraversando.
Crisi mondiale, crisi europea, e dentro questo quadro l’Italia, con i suoi
punti di forza e con le sue debolezze, con il suo bagaglio di problemi antichi
e recenti, di ordine istituzionale e politico, di ordine strutturale, sociale e
civile.”
Ecco, posso ripetere
quelle parole di un anno e mezzo fa, sia per sollecitare tutti a parlare il
linguaggio della verità – fuori di ogni banale distinzione e disputa tra
pessimisti e ottimisti – sia per introdurre il discorso su un insieme di
obbiettivi in materia di riforme istituzionali e di proposte per l’avvio di un
nuovo sviluppo economico, più equo e sostenibile.
E’ un discorso che – anche
per ovvie ragioni di misura di questo mio messaggio – posso solo rinviare ai
documenti dei due gruppi di lavoro da me istituiti il 30 marzo scorso.
Documenti di cui non si può negare – se non per gusto di polemica intellettuale
– la serietà e concretezza. Anche perché essi hanno alle spalle elaborazioni
sistematiche non solo delle istituzioni in cui operano i componenti dei due
gruppi, ma anche di altre istituzioni e associazioni qualificate. Se poi si
ritiene che molte delle indicazioni contenute in quei testi fossero già
acquisite, vuol dire che è tempo di passare, in sede politica, ai fatti; se si
nota che, specie in materia istituzionale, sono state lasciate aperte diverse
opzioni su varii temi, vuol dire che è tempo di fare delle scelte conclusive. E
si può, naturalmente, andare anche oltre, se si vuole, con il contributo di
tutti.
Vorrei solo formulare, a
commento, due osservazioni. La prima riguarda la necessità che al perseguimento
di obbiettivi essenziali di riforma dei canali di partecipazione democratica e
dei partiti politici, e di riforma delle istituzioni rappresentative, dei
rapporti tra Parlamento e governo, tra Stato e Regioni, si associ una forte
attenzione per il rafforzamento e rinnovamento degli organi e dei poteri dello
Stato. A questi sono stato molto vicino negli ultimi sette anni, e non occorre perciò
che rinnovi oggi un formale omaggio, si tratti di forze armate o di forze
dell’ordine, della magistratura o di quella Corte che è suprema garanzia di
costituzionalità delle leggi. Occorre grande attenzione di fronte a esigenze di
tutela della libertà e della sicurezza da nuove articolazioni criminali e da
nuove pulsioni eversive, e anche di fronte a fenomeni di tensione e disordine
nei rapporti tra diversi poteri dello Stato e diverse istituzioni
costituzionalmente rilevanti.
Né si trascuri di reagire
a disinformazioni e polemiche che colpiscono lo strumento militare, giustamente
avviato a una seria riforma, ma sempre posto, nello spirito della Costituzione,
a presidio della partecipazione italiana – anche col generoso sacrificio di non
pochi nostri ragazzi – alle missioni di stabilizzazione e di pace della
comunità internazionale.
La seconda osservazione
riguarda il valore delle proposte ampiamente sviluppate nel documento da me già
citato, per “affrontare la recessione e cogliere le opportunità” che ci si
presentano, per “influire sulle prossime opzioni dell’Unione Europea”, “per creare
e sostenere il lavoro”, “per potenziare l’istruzione e il capitale umano, per
favorire la ricerca, l’innovazione e la crescita delle imprese”.
Nel sottolineare questi
ultimi punti, osservo che su di essi mi sono fortemente impegnato in ogni sede
istituzionale e occasione di confronto, e continuerò a farlo. Essi sono nodi
essenziali al fine di qualificare il nostro rinnovato e irrinunciabile impegno
a far progredire l’Europa unita, contribuendo a definirne e rispettarne i
vincoli di sostenibilità finanziaria e stabilità monetaria, e insieme a
rilanciarne il dinamismo e lo spirito di solidarietà, a coglierne al meglio gli
insostituibili stimoli e benefici.
E sono anche i nodi –
innanzitutto, di fronte a un angoscioso crescere della disoccupazione, quelli
della creazione di lavoro e della qualità delle occasioni di lavoro – attorno a
cui ruota la grande questione sociale che ormai si impone all’ordine del giorno
in Italia e in Europa. E’ la questione della prospettiva di futuro per
un’intera generazione, è la questione di un’effettiva e piena valorizzazione
delle risorse e delle energie femminili. Non possiamo restare indifferenti
dinanzi a costruttori di impresa e lavoratori che giungono a gesti disperati, a
giovani che si perdono, a donne che vivono come inaccettabile la loro
emarginazione o subalternità.
Volere il cambiamento,
ciascuno interpretando a suo modo i consensi espressi dagli elettori, dice poco
e non porta lontano se non ci si misura su problemi come quelli che ho citato e
che sono stati di recente puntualizzati in modo obbiettivo, in modo non
partigiano. Misurarsi su quei problemi perché diventino programma di azione del
governo che deve nascere e oggetti di deliberazione del Parlamento che sta
avviando la sua attività. E perché diventino fulcro di nuovi comportamenti
collettivi, da parte di forze – in primo luogo nel mondo del lavoro e
dell’impresa – che “appaiono bloccate, impaurite, arroccate in difesa e a
disagio di fronte all’innovazione che è invece il motore dello sviluppo”.
Occorre un’apertura nuova, un nuovo slancio nella società ; occorre un colpo di
reni, nel Mezzogiorno stesso, per sollevare il Mezzogiorno da una spirale di
arretramento e impoverimento.
Il Parlamento ha di
recente deliberato addirittura all’unanimità il suo contributo su provvedimenti
urgenti che al governo Monti ancora in carica toccava adottare, e che esso ha
adottato, nel solco di uno sforzo di politica economico-finanziaria ed europea
che meriterà certamente un giudizio più equanime, quanto più si allontanerà il clima
dello scontro elettorale e si trarrà il bilancio del ruolo acquisito nel corso
del 2012 in seno all’Unione europea.
Apprezzo l’impegno con cui
il movimento largamente premiato dal corpo elettorale come nuovo attore
politico-parlamentare ha mostrato di volersi impegnare alla Camera e al Senato,
guadagnandovi il peso e l’influenza che gli spetta : quella è la strada di una
feconda, anche se aspra, dialettica democratica e non quella, avventurosa e
deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento. Non può, d’altronde,
reggere e dare frutti neppure una contrapposizione tra Rete e forme di
organizzazione politica quali storicamente sono da ben più di un secolo e
ovunque i partiti.
La Rete fornisce accessi
preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione e di
intervento politico e anche stimoli all’aggregazione e manifestazione di
consensi e di dissensi. Ma non c’è partecipazione realmente democratica,
rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza il
tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati,
tutti comunque da vincolare all’imperativo costituzionale del “metodo
democratico”.
Le forze rappresentate in
Parlamento, senza alcuna eccezione, debbono comunque dare ora – nella fase
cruciale che l’Italia e l’Europa attraversano – il loro apporto alle decisioni
da prendere per il rinnovamento del paese. Senza temere di convergere su delle
soluzioni, dal momento che di recente nelle due Camere non si è temuto di
votare all’unanimità. Sentendo voi tutti – onorevoli deputati e senatori – di
far parte dell’istituzione parlamentare non come esponenti di una fazione ma
come depositari della volontà popolare. C’è da lavorare concretamente, con
pazienza e spirito costruttivo, spendendo e acquisendo competenze, innanzitutto
nelle Commissioni di Camera e Senato. Permettete che ve lo dica uno che entrò
qui da deputato all’età di 28 anni e portò giorno per giorno la sua pietra allo
sviluppo della vita politica democratica.
Lavorare in Parlamento sui
problemi scottanti del paese non è possibile se non nel confronto con un
governo come interlocutore essenziale sia della maggioranza sia
dell’opposizione. A 56 giorni dalle elezioni del 24-25 febbraio – dopo che ci
si è dovuti dedicare all’elezione del Capo dello Stato – si deve senza indugio
procedere alla formazione dell’Esecutivo. Non corriamo dietro alle formule o
alle definizioni di cui si chiacchiera. Al Presidente non tocca dare mandati,
per la formazione del governo, che siano vincolati a qualsiasi prescrizione se
non quella voluta dall’art. 94 della Costituzione : un governo che abbia la
fiducia delle due Camere. Ad esso spetta darsi un programma, secondo le
priorità e la prospettiva temporale che riterrà opportune.
E la condizione è dunque
una sola : fare i conti con la realtà delle forze in campo nel Parlamento da
poco eletto, sapendo quali prove aspettino il governo e quali siano le esigenze
e l’interesse generale del paese. Sulla base dei risultati elettorali – di cui
non si può non prendere atto, piacciano oppur no – non c’è partito o coalizione
(omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia
avuti a sufficienza per poterlo fare con le sole sue forze. Qualunque
prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto – se si
preferisce questa espressione – si sia stretto con i propri elettori, non si
possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni. Essi
indicano tassativamente la necessità di intese tra forze diverse per far
nascere e per far vivere un governo oggi in Italia, non trascurando, su un
altro piano, la esigenza di intese più ampie, e cioè anche tra maggioranza e
opposizione, per dare soluzioni condivise a problemi di comune responsabilità
istituzionale.
D’altronde, non c’è oggi in
Europa nessun paese di consolidata tradizione democratica governato da un solo
partito – nemmeno più il Regno Unito – operando dovunque governi formati o
almeno sostenuti da più partiti, tra loro affini o abitualmente distanti e
perfino aspramente concorrenti.
Il fatto che in Italia si
sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze,
mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una
regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza
conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa
pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di
mediazioni, intese, alleanze politiche. O forse tutto questo è più
concretamente il riflesso di un paio di decenni di contrapposizione – fino allo
smarrimento dell’idea stessa di convivenza civile – come non mai faziosa e
aggressiva, di totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti.
Lo dicevo già sette anni
fa in quest’aula, nella medesima occasione di oggi, auspicando che fosse
finalmente vicino “il tempo della maturità per la democrazia dell’alternanza” :
che significa anche il tempo della maturità per la ricerca di soluzioni di
governo condivise quando se ne imponga la necessità. Altrimenti, si dovrebbe
prendere atto dell’ingovernabilità, almeno nella legislatura appena iniziata.
Ma non è per prendere atto
di questo che ho accolto l’invito a prestare di nuovo giuramento come
Presidente della Repubblica. L’ho accolto anche perché l’Italia si desse nei
prossimi giorni il governo di cui ha bisogno. E farò a tal fine ciò che mi
compete : non andando oltre i limiti del mio ruolo costituzionale, fungendo
tutt’al più, per usare un’espressione di scuola, “da fattore di coagulazione”.
Ma tutte le forze politiche si prendano con realismo le loro responsabilità :
era questa la posta implicita dell’appello rivoltomi due giorni or sono.
Mi accingo al mio secondo
mandato, senza illusioni e tanto meno pretese di amplificazione “salvifica”
delle mie funzioni ; eserciterò piuttosto con accresciuto senso del limite,
oltre che con immutata imparzialità, quelle che la Costituzione mi attribuisce.
E lo farò fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo
suggerirà e comunque le forze me lo consentiranno. Inizia oggi per me questo
non previsto ulteriore impegno pubblico in una fase di vita già molto avanzata
; inizia per voi un lungo cammino da percorrere, con passione, con rigore, con
umiltà. Non vi mancherà il mio incitamento e il mio augurio.
Viva il Parlamento! Viva la
Repubblica! Viva l’Italia!
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