La
raffigurazione mitica del mondo e l’evento mitico di salvezza nel
Nuovo Testamento.
La
raffigurazione neotestamentaria dell’universo è mitica.
Si considera il mondo articolato in tre piani. Al centro si
trova la terra, sopra di essa il cielo, e sotto gli inferi. Il cielo
è l’abitazione di Dio e delle figure celesti, gli angeli; il mondo
sotterraneo è l’inferno, il luogo dei tormenti. Ma non perciò la
terra è unicamente il luogo dell’avvenimento naturale-quotidiano,
delle sollecitudini, cioè, e del lavoro, dove regnino l’ordine e
la regola: è anche il teatro d’azione delle potenze
soprannaturali, di Dio e dei suoi angeli, di Satana e dei suoi
demoni. Le forze soprannaturali agiscono sugli avvenimenti naturali,
sul pensiero, sulla volontà e sull’operare dell’uomo; i miracoli
non hanno nulla d’insolito.[...]
È
impossibile ripristinare questa immagine mitica del mondo.
Quello
neotestamentario è tutto un discorso mitologico, e i motivi
in cui lo si può scomporre sono facilmente riconducibili alla
contemporanea mitologia dell’apocalittica giudaica e del mito
gnostico della redenzione. Ora, in quanto discorso mitologico, non è
credibile dagli uomini di oggi, giacché per costoro la
figura mitica del mondo è dissolta. Quindi l’annuncio cristiano di
oggi si trova posto di fronte a questo problema: se, nell’esigere
fede dall’uomo, possa pretendere da questi l’accettazione di una
sorpassata visione mitica del mondo. Se ciò è impossibile, nasce un
altro problema: se il messaggio del Nuovo Testamento contenga una
qualche verità che sia indipendente dalla visione mitica del mondo;
in tal caso compito della teologia sarebbe quello di demitizzare il
messaggio cristiano.
L’annuncio
cristiano può oggi pretendere che l’uomo sia capace di accettare
come vera la visione mitica del mondo? È pretesa assurda e
impossibile. Assurda, poiché la visione mitica del
mondo come tale non è affatto specificamente cristiana, ma è
semplicemente la visione che del mondo si aveva in un’epoca remota
e che non aveva ancora ricevuto l’impronta del pensiero
scientifico. Impossibile, giacché una visione del
mondo, non la si può far propria in base a una decisione, ma viene
sempre offerta all’uomo nella sua concreta situazione storica.
Certo, essa non è immutabile, e quindi il singolo individuo può
contribuire a trasformarla. Ma lo può solo se, in base a certi fatti
che gli impongono realmente, si avvede dell’impossibilità di
sostenere la visione tradizionale del mondo e in base a quei fatti,
modifica quest’ultima, o ne progetta una nuova. Cosí la visione
del mondo può mutare in seguito alla scoperta copernicana o per
effetto della teoria atomica; oppure quando il romanticismo scopre
che il soggetto umano è ben piú complesso e ricco di quanto
potevano far ritenere l’illuminismo e l’idealismo; o per il fatto
che si prende nuova coscienza del posto che spetta alla storia e alla
tradizione nazionale.
Ora
è possibile che in una sorpassata visione mitica del mondo si
riscoprano verità, che in una certa fase dell’illuminismo erano
andate perdute. Per questo la teologia ha tutto il diritto di far sí
che il problema sia posto anche nei confronti della visione del mondo
propria del Nuovo Testamento. Ma è impossibile che una visione del
mondo scaduta venga ripristinata con una pura e semplice opzione ed è
soprattutto impossibile che sia ripristinata la visione mitica del
mondo, dopo che i nostri modi di pensare sono stati interamente e
irrevocabilmente formati dal pensiero scientifico. Una cieca
accettazione della mitologia neotestamentaria sarebbe un arbitrio; e
avanzare una simile pretesa come un’esigenza di fede
significherebbe avvilire la fede riducendola alle opere, [...].
Come
l’esigenza della demitizzazione sia proposta dalla natura stessa
del mito.
Il
senso genuino del mito non consiste nel dare una visione obbiettiva
del mondo; vi si esprime piuttosto come l’uomo intenda se stesso
nel mondo; il mito vuole esser interpretato non cosmologicamente, ma
antropologicamente, meglio ancora esistenzialmente. Il mito parla
della forza o delle forze che l’uomo ritiene d’avvertire come
fondamento e limite del suo mondo, del suo proprio operare e
soffrire. E ne parla in modo tale da includerle immaginosamente nella
sfera del mondo conosciuto, delle sue cose e delle sue forze, e nella
sfera della vita umana, delle sue passioni, dei suoi motivi e delle
sue possibilità. Cosí, ad esempio, parla dell’uovo del mondo o
dell’albero del mondo, per manifestare la causa e l’origine del
mondo; oppure parla di battaglie fra gli dèi, dalle quali sono
risultati le condizioni e gli ordinamenti del mondo conosciuto. Il
mito parla di ciò che non è profano profanamente, degli dèi
umanamente [...]
Pertanto,
se l’annuncio del Nuovo Testamento deve conservare una sua
validità, non si dà altra via che quella di demitizzarlo. E certo
non ci si mette a battere questa via in forza del postulato, che il
messaggio neotestamentario debba esser reso applicabile a tutte le
circostanze del presente. Piuttosto c’è da chiedersi se esso sia
realmente niente altro che mitologia, o se proprio il tentativo di
comprenderlo nelle sue autentiche finalità non porti
all’eliminazione del mito. Ma tale interrogativo viene urgentemente
imposto da due parti: dalla cognizione della genuina essenza del mito
e dal Nuovo Testamento medesimo.
R.
Bultmann, Nuovo Testamento e mitologia
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