Il
filosofo Emmanuel Mounier, in molte lettere e passaggi del suo
diario, racconta il dramma della malattia della figlia, vissuto con
la moglie Paulette. La piccola Françoise infatti all’età di due
anni entrò in uno stato di coma vegetativo a causa di un’encefalite
progressiva.
Presenza
di Françoise. Storia della nostra piccola Françoise, che
sembra continuare la sua esistenza con dei giorni privi di
storia. Il primo sforzo è stato quello di superare la
psicologia della sventura. Questo miracolo che un giorno
si è spezzato, questa promessa su cui si è richiusa la lieve porta
di un sorriso cancellato, di uno sguardo assente, di una mano senza
progetti, no, non è possibile che ciò sia casuale, accidentale. “È
toccata loro una grande disgrazia”. Invece non si tratta di
una grande disgrazia: siamo stati visitati daqualcuno molto grande.
Così non ci siamo fatti delle prediche. Non restava che fare
silenzio dinanzi a questo nuovo mistero, che poco a poco ci ha
pervaso della sua gioia. Ricordo i miei permessi a Dreux, ad
Arcachon, quest’ultimo avvenuto in una grande angoscia.
Ho
avuto la sensazione, avvicinandomi al suo piccolo letto senza voce,
di avvicinarmi ad un altare, a qualche luogo sacro dove Dio parlava
attraverso un segno. Ho avvertito una tristezza che mi toccava
profondamente, ma leggera e come trasfigurata. E intorno ad essa mi
sono posto, non ho altra parola, in adorazione. Certamente non ho mai
conosciuto così intensamente lo stato di preghiera come quando la
mia mano parlava a quella fronte che non rispondeva, come quando i
miei occhi hanno osato rivolgersi a quello sguardo assente, che
volgeva lontano, lontano dietro di me, una specie di cenno simile
allo sguardo, che vedeva meglio del mio sguardo. Se è vero che ogni
autentica preghiera si fonda sulla morte delle potenze sensibili,
intellettuali, volontarie, se la sottile punta dell’anima di un
bambino battezzato, come ha scritto non so più quale grande autore
spirituale, è messa immediatamente a contatto diretto con la vita
divina,
quali
splendori si nascondono allora in questo piccolo essere che non sa
dire nulla
agli
uomini? Per molti mesi, avevamo augurato a Françoise di morire, se
doveva rimanere così com’era. Non è sentimentalismo borghese? Che
significa per lei essere disgraziata? Chi può dire che essa lo sia?
Chi sa se non ci è domandato di custodire e di adorare un’ostia in
mezzo a noi, senza dimenticare la presenza divina sotto una povera
materia cieca? Mia piccola Françoise, tu sei per me l’immagine
della fede. Quaggiù, la conoscerete in enigma e come in uno
specchio.
In
questa storia, la nostra disgrazia ha assunto un’aria di evidenza,
di familiarità rassicurante, o, piuttosto, non è la parola
giusta, impegnata: un richiamo che non dipende più dalla
fatalità. La guerra è scoppiata, tanto da coinvolgerla nella
grande miseria comune. Così immerso, il peso è divenuto più
lieve. La guerra ha offerto a Paulette i momenti più atroci
della solitudine e dell’angoscia in settembre, in aprile. Ma,
nonostante questimomenti, essa ha finito per guarirci dalla malattia
di Françoise. Quanti innocenti straziati, quanti innocenti
calpestati! Questa piccola bambina immolata giorno per giorno è
stata forse la nostra vera presenza nell’orrore dei tempi. Non si
può soltanto scrivere libri. Bisogna pure che la vita si stacchi
ogni tanto dall’impostura del pensiero, del pensiero che vive sulle
azioni e i meriti altrui. Ora che la minaccia di aprile si è
allontanata, ora che sembra si debba continuare a vivere
insieme, Françoise, piccola mia, sentiamo una nuova storia
intervenire nel nostro dialogo; occorre resistere alle forme facili
della pace segnata dal destino, rimanere padre e madre, non
abbandonarti alla nostra rassegnazione, non abituarci alla tua
assenza, al tuo miracolo; donarti il tuo pane quotidiano di amore e
di presenza, continuare la preghiera che tu rappresenti, ravvivare la
nostra ferita, poiché questa ferita è la porta della presenza,
restare con te. Forse occorre invidiarci questa paternità incerta,
questo dialogo inespresso, più bello dei giochi infantili.
Che
cosa importa se il sonno della nostra bambina si prolunga? L'universo
dove dobbiamo vivere è presenza di Dio, dove tutte le delusioni del
tempo possono trovare immediatamente il loro posto, tutte le
sofferenze trasformarsi in gioia. Non ci resta che diventare
cristiani a tempo perduto... Sentivo che mi avvicinavo a quel piccolo
letto come ad un altare, ad un luogo sacro da dove Dio parlava
mediante un segno. E tutto intorno alla bambina, non ho altre parole:
un'adorazione. Bisogna osare di dirlo: una grazia troppo pesante.
Un'ostia vivente in mezzo a noi. Muta come un'ostia. Splendente come
un'ostia..
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