Pubblichiamo
oggi il dialogo fra il nostro Niccolò
Bonetti ed il teologo Giannino Piana avvenuto a Firenze a margine dell'incontro organizzato dal "gruppo Gionata" di Firenze dal titolo "Omosessualità. Una proposta etica". Nato
nel 1939, Giannino Piana ha
insegnato etica cristiana presso la Libera Università di Urbino e etica ed
economia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino. È
stato presidente dell'Associazione Italiana dei Teologi Moralisti. Fa parte
delle redazioni delle riviste Hermeneutica,
Credere oggi, Rivista di teologia morale e Servitium; collabora al mensile Jesus con la rubrica "Morale e
coscienza" e al quindicinale Rocca
con la rubrica "Etica Scienza Società".
Lei
sottolinea molto l'importanza che viene data nel magistero dal legame fra procreazione e omosessualità.
Facendo ciò lei esso dà una lettura “biologistica” e
“teleologica” in quanto dà importanza all’aspetto unitivo ma correlato a
quello procreativo. Secondo lei quindi una rilettura del magistero
sottolineando invece l’aspetto personalista e relazionale su quali punti
potrebbe fondare questo cambio di paradigma?
Credo intanto che la presa di coscienza che l’aspetto
unitivo e relazionale della vita sessuale, soprattutto eterosessuale (quella
omosessuale viene considerata in modo diverso), sia stato molto accentuato
anche dal Vaticano II. Nella “Gaudium et Spes” è molto centrale questo aspetto
unitivo sia pure legato al legame uomo-donna. Tuttavia la dimensione
procreativa continua ad emergere anche con una certa insistenza, non è negata
evidentemente anche dal Vaticano II che la riprende dentro un contesto più
allargato. Successivamente c’è stata però la tendenza a maggiorare di nuovo la
dimensione procreativa tanto che siamo poi arrivati all’Humanae Vitae. Esso è
stato un documento che ha riproposto questa centralità della dimensione
procreativa soprattutto in funzione anche del “no” alla contraccezione. Questo
di fatto era il grosso tema che il Concilio non ha potuto affrontare perché
Paolo VI lo ha legato a sé e che poi è stato affrontato nella Humanae Vitae.
E quindi,
ad esempio sulla contraccezione c’è stato, anche a livello teologico, un forte
dissenso, che però non ha più di tanto inciso nel Magistero in quanto anche
Giovanni Paolo II ha rincarato molto la dose rispetto anche all’Humanae Vitae.
Di recente però anche il Cardinal Martini ha sottolineato l’esigenza di un
ripensamento quantomeno con una revisione dal punto di vista pastorale.
L’Humanae Vitae resta uno dei temi in cui emerge maggiormente il da lei citato
“scisma sommerso”. Secondo lei, perlomeno dal punto di vista pastorale, come
dovrebbe agire il Magistero?
Io credo che anche a proposito di questo tema il
problema di fondo sia quello di far emergere i valori anziché insistere su
questa normativa che è di tipo repressivo e che ha come obiettivo soltanto
quello di colpire le tecniche. Sono i valori in gioco che vanno recuperati: il
valore della generosità nella stessa attività procreativa e il valore della
responsabilità. Mediando tra questi due valori e riuscendo in qualche modo a
dare alla procreazione il carattere di un atto che è nello stesso tempo
generoso e responsabile si crea una coscienza che poi è in grado di fare le
scelte più direttamente e più in conformità anche con la propria situazione
quando si tratta anche di entrare nel merito delle tecniche, così da non
privilegiare la tecnica ma privilegiando il discorso di fondo dei valori e utilizzando
la tecnica strumentalmente per quello che serve in rapporto al significato che
si dà alla vita sessuale più in generale e anche al tema della procreazione
nell’ambito del contesto matrimoniale.
La capacità
di promuovere delle relazioni feconde non necessariamente fissandosi sulla
fecondità del singolo atto. Vedere nel complesso e non nella situazione
particolare della coppia.
Certo e qui in gioco c’è anche questo concetto di
fecondità che non si riduce al “fare il figlio” o che non è misurabile sul
numero dei figli ma che va invece commisurato sulla capacità che la coppia ha
di aprirsi alla realtà del mondo in cui vive e quindi a fare del proprio
rapporto di amore non un rapporto esclusivo, non chiuso su se stesso, ma aperto
anche al servizio nella società dentro la quale vive e, se cristiani, anche
all’interno della comunità cristiana della quale si appartiene.
Un altro
concetto affrontato all’interno del documento “Persona Humana” rispetto al quale
era maturato anche un certo dissenso con teologi che avevano proposto dei "casi
particolari" era quello dei “rapporti prematrimoniali”. Anche questo è un
tema rispetto al quale c’è un forte dissenso e una vera e propria rinuncia ad
affrontarlo anche da parte dei sacerdoti. Questo tema come potrebbe essere
ripensato?
Il discorso di fondo anche qui è quello del
significato che si dà alla vita sessuale. Ciò chiama in causa una
serie di elementi che entrano in gioco nella preparazione che la coppia fa al
proprio matrimonio futuro, nella quale deve integrare diversi aspetti della
propria personalità che vanno dalla conoscenza approfondita dell’altro alla
capacità di sintonizzarsi sul terreno
dei sentimenti, delle scelte di vita e così via, fino all’uso che va
contemperato gradualmente anche nel rapporto con la crescita della vita
spirituale ed affettiva all’uso che si fa anche della sessualità. Io non credo
che si possa mettere una chiara separazione fra il prima e il dopo anche da
questo punto di vista. La sessualità matura nella misura in cui si inserisce
nel discorso di maturazione della coppia che deve avvenire a tutti i livelli e
trova espressione quando la coppia arriva a vivere certe esperienze di
relazione che sono anche profonde e che comportano anche la possibilità e la
capacità per la coppia di esternarsi anche attraverso l’uso della sessualità.
Ci deve
dunque essere un cammino graduale, non ci devono essere dei precetti rigidi, ma
devono essere adeguati allo sviluppo della coppia e la sessualità deve
esprimere comunque un dono pieno di sé all’altro o all’altra. Essa deve
mantenere comunque un forte significato e non può essere semplicizzata come
semplice “conoscenza del corpo dell’altro” svincolata dal contesto relazionale.
Certo e anche qui il contesto vero è quello
relazionale. Se la relazione cresce, matura, si sviluppa a tutti i livelli
dell’essere della coppia allora è chiaro che anche il discorso della sessualità
si integra all’interno di questo contesto e acquista un significato di segno
vero. Per un verso è espressione di un rapporto di amore che si sviluppa a
tutti i piani e a tutti i livelli e che poi nello stesso tempo fa maturare
ulteriormente anche l’amore. La sessualità diventa un momento forte in cui
l’amore può anche crescere.
Passando
invece al tema delle relazioni omosessuali, se passassimo anche qui a proporre
delle relazioni. Diciamo che comunque dal punto di vista delle relazioni
omosessuali e delle relazioni eterosessuali rimangono comunque delle differenze
che, senza dire per forza che vi sia la superiorità di una e l’inferiorità dell’altra,
comunque distinguono. E’ anche sbagliato omogeneizzare. Da una parte c’è un
aspetto di una maggiore fecondità anche biologica in un contesto, perlomeno dal
punto di vista cattolico, di matrimonio sacramentale, dall’altra parte c’è una
fecondità che può essere sociale o relazionale e non c’è la dimensione
procreativa.
Io credo che l’archetipo fondamentale sia quello della
relazione eterosessuale e che la relazione omosessuale acquisisca significato
nella misura in cui in qualche modo si modella su quell’archetipo, ma questo
non vuol dire che poi a livello concreto non vi siano delle relazioni
omosessuali più intense delle relazioni eterosessuali. Nonostante le difficoltà,
che sono maggiori per le relazioni omosessuali vista l’impossibilità della donazione
di sé attraverso la fecondità biologica, c'è anche qui la possibilità di un amore che
si intensifica e diventa estremamente significativo per le persone che lo
vivono.
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