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Chiesa e mafia


di Vincenzo Fatigati
Quando la telecamera di qualche giornalista riprende l’interno di un bunker che ha ospitato la latitanza di qualche camorrista, talvolta, oltre all’arsenale e ai quaderni contabili del clan (dove vengono appuntati nomi di affiliati e agenti corrotti), affianco ai vari oggetti- simbolo che manifestano l’ostentazione pacchiana del potere e lo sfarzo di famiglie malavitose; registra la aberrante convivenza con immagini religiose: figurine di santi, statue di Padre Pio, rosari, crocifissi e in certi casi anche Bibbia e testi sacri .
Parecchi elementi di spicco di feroci e sanguinari clan sono stati trovati in possesso di oggetti sacri , senza che ciò venga minimamente percepito come stridente con la propria condotta morale. Si pensi solo alla casa - bunker di “Sandokan” Schiavone ( e di suo figlio), o anche al pluripregiudicato Diana. Per citare i più famosi.

La madonna di Pomepei ancora oggi è venerata da diversi affiliati, che continuano annualmente il loro pellegrinaggio e devozione . Questo ci fa supporre, che almeno al livello personale, parecchi esponenti delle organizzazioni nutrono un sincero sentimento di fede, invocando protezione e sicurezza, più che redenzione dal peccato. Questa particolare confessione religiosa dei camorristi, non non necessariamente implica una conversione civica verso le leggi repubblicane. Lo stesso Cutolo- storicamente tra i più sanguinari boss di camorra- è stato da una parte un fervido cattolico, ma dall’altra non ha mai riconosciuto la legittimità dei tribunali. Insomma, non si è mai riconosciuto nelle leggi dello Stato italiano, pur riconoscendosi genuinamente nei comandamenti di Dio.All’estero, questa strana combinazione, viene spesso sottolineata in modo stereotipata con una naturale e spontanea perplessità: come è possibile, insomma, che nel paese tradizionalmente cattolico, possano convivere in modo così stretto mentalità mafiosa e il credo della Chiesa? In diverse intercettazioni, ci sono espliciti riferimenti ad elementi sacri, e a non solo in Campania: mafia siciliana e ‘ndrangheta utilizzano certi rituali cristiani come parte integrante delle regole che impongono alle proprie organizzazioni.Sarebbe quindi fuorviante, risolvere questa particolare e complessa relazione, solo sul piano di fede personale e popolare , quando invece la distorsione di certe regole religiose vengono utilizzate, in alcuni casi, addirittura per sacralizzare l’appartenenza al clan. Il santuario di Polsi è divenuto per certi aspetti il santuario della ‘ndrangheta: il luogo dove ogni anni vengono stipulati patti , alleanze nel nome di figure religiose.

Offrire una lettura che racconta la connessione che esiste tra apparati della chiesa, e la fede camorristica, partendo solo da personali sentimenti dei diversi affiliati è semplicistico : questa commistione ha profondi radici sociali e culturali che interrogano la stessa storia meridionale, e non può essere facilmente schematizzata .Da meridionale, sono stato abituato a percepire questa fusione di livelli, quel particolare tipo di fede popolare , spesso legata ad una visione pagana e superstiziosa del mondo, che si fonde con quello stesso rispetto reverenziale che pretendono i diversi capozona di camorra. Numerose chiese ospitano al loro interno omaggi alle diverse famiglie mafiose, che hanno avuto la bontà di elargire cospicue donazioni sotto forma di ringraziamento. E non sempre ciò viene percepito come scandaloso dalla comunità di appartenenza.
Certamente, servirsi della benevolenza di figure che appartengono alla Chiesa, serve alla criminalità organizzata anche per ottenere consenso: proprio recentemente anche la stampa nazionale ha riportato come ci sia il rischio di infiltrazioni nelle feste locali. La festa dei gigli a Nola, dove pubblicamente hanno ricordato e omaggiato le vittime del clan (oltre a manifestare solidarietà ai fratelli in carcere). Nelle varie processioni religiose, come succede da qualche anno a Castellamare, c’è ancora l’usanza dell’inchino a casa del boss o capozona locale. Questi sono gli elementi più eclatanti, testimoniati dalla stampa locale e nazionale; ma in realtà chiunque vive in certe zone conosce , tra mezzi silenzi e comprimessi, la strana simbiosi di questa raccapricciante convivenza.
Non molto tempo fa è apparso un articolo sul New York Times, in cui descriveva con certa curiosità e con lo sguardo distaccato, la festa dei battenti di Guardia Sanframondi: fedeli incappucciati, una volta ogni sette anni, si flagellano con spilli per espiare le proprie colpe; e probabilmente, anche in questo contesto, ci sono reali infiltrazioni malavitose. Quest’immagine, ci può offrire una lettura per comprendere questo strano universo simbolico, non facilmente traducibile a chi non proviene queste zone. E questa chiave di lettura è rintracciabile nella complessità socio culturale di questa realtà.

Questa terminologia, e questi rituali difficilmente possono essere compresi da chi non vive certe contraddizioni, e non sempre possono essere cristalizzati nelle formula catechistiche clericali. Al contrario la risposta per comprendere questa sintassi è rintracciabile nella stessa storia meridionale. Quella che Isaias Sales definisce “religiosità barocca”: la spinta controriformista ha avuto storicamente grande risonanza nel meridione, e non ha mai dovuto fare concorrenza a fedi luterane L’effetto controriformistico talvolta è stato negativo: invece di estirpare usanze e tradizioni antiche , non ha fatto altro che assorbire certa superstizione pagana, nel rituale cristiano . Tutta questa simbologia segue in realtà il ritmo di una società (come quella meridionale) che a differenza del settentrione , ha avuto un tardo sviluppo capitalistico, a tratti feudale; esorcizzando da sempre l’iniziativa individuale. Una religiosità plastica, superstiziosa ma tollerante. Una delle risposte che mi rincorrono, quando si mette in rilievo la contraddizione a qualche prelato, viene articolata partendo da una falsa rielaborazione del concetto cristiano di perdono “ma anche loro debbono essere perdonati”. Confondendo in questo senso il perdono del peccato, dal perdono del peccatore . Questa confusione fa sentire legittimati spietati criminali di chiedere protezione addirittura a Dio, per le loro condotte delittuose: testi di canzoni neomelodiche, evidenti espressione di questa sottocultura criminale , testimoniano come addirittura killers invocano la protezione di dio per eliminare nemici, esponenti di clan rivali.

In conclusione, la salvezza terrena di questo popolo è rappresentata da quelle figure religiose che hanno scritto la storia dell’antimafia, anche in campania: da don Peppe Diana, per finire a Don Aniello Mangianliello, che anche recentemente si è scagliato contro questa deriva e degrado all’interno della Chiesa. La condanna, che è in primis una condanna della coscienza collettiva , va rintracciato nelle cause storiche di una società ancora profondamente scritta da dinamiche criminali, da rispetti reverenziali , da mezzi silenzi, e mezze verità: facendo apparire tutto come legato da un destino avverso, un tragico fatalismo, una peste continua da esorcizzare con amuleti o figure salvifiche. . Una dimensione sociale terrorizzata dalle sciagure del malocchio della superstizione. Nel tentativo ingenuo di “oggettivare” i propri guai a santi popolari (San Gennaro). Sacro e profano, magia e cristianità, vita e morte, sono gli antipodi che da sempre hanno cercato di trovare un equilibrio, in una realtà caotica e complessa. Finché esisterà questa dicotomia, quei riti cristiani saranno assorbiti e saranno espressione di una certa mentalità, incrostazione di secoli d’oppressione. Un riscatto sociale e collettivo contro le organizzazioni camorristiche, non solo in questo modo offre gli strumenti alla Chiesa di riuscire a rinvigorire la purezza del proprio messaggio evangelico, ma è una risposta universale e concreta alla crisi della modernità.


(Vincenzo Fatigati)

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