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Commento al vangelo 3 luglio 2018 - S. Tommaso apostolo: Gv 20,24-29

Giovanni Gasparro, L'incredulità di Tommaso, 2010
L'apostolo Tommaso, che porta il soprannome di "gemello" perché così simile a noi, nel momento della Resurrezione di Gesù in mezzo ai discepoli chiusi nel cenacolo, non era con loro. Quindi non ha fatto in unità con loro l'esperienza della vita che irrompe nella comune paura. Tommaso fa fatica da solo ad ascoltare i discepoli che gli raccontano quanto hanno vissuto. Non fa penetrare la loro Parola, che è testimonianza di Resurrezione. Non gli basta ascoltare e neppure vedere la gioia di Gesù Risorto in mezzo a loro: vuole proprio farne lui esperienza, vuole risorgere anche lui, vuole che le piaghe del Crocifisso siano riaperte pure per lui e per tutti. Dovrà però attendere otto giorni; la domenica dopo, nonostante tutto, va a "Messa" assieme agli altri e, nel cenacolo ancora sprangato  forse le vite dei discepoli non erano poi cambiate così tanto... – Gesù si manifesta nuovamente in mezzo. Si fa carico del desiderio di Tommaso e lo fa entrare all'interno della sua trafitta fragilità. Tommaso ha allora il coraggio di passare per le fessure della morte che brillano come sigilli di vero amore. Finalmente può esclamare la sua appartenenza al Risorto ed essere un testimone credibile anche per noi. Proprio nel momento in cui Tommaso ha visto la debolezza di un Gesù che si fa dare persino ordini da lui, invitandolo a fare tutti gli esperimenti empirici che voleva sul suo corpo donato incondizionatamente, il discepolo prudente ha scelto di alimentare la sua speranza anziché il disfattismo. Così ha potuto vedere Gesù – se si fa attenzione, non si dice neppure se alla fine Tommaso l'abbia toccato oppure no  e avvicinarlo con la sua mano, scoprendosi altrettanto ferito quanto lui, ma fidandosi della possibilità di entrare nella santità del Dio frantumabile. Basta il braccio di Gesù che afferra quello di Tommaso per avvicinarlo al suo Corpo a renderlo testimone. Eppure una beatitudine ancora più grande è per quegli apostoli che, anche senza aver toccato né visto Gesù, si sono fidati già di piccoli indizi quotidiani che rimandano a Lui: di un lenzuolo piegato, come nel caso di Giovanni, o di un sorriso sul viso degli amici del focolare. Ecco allora la precisazione del biblista Ignace de la Potterie: «Non è la richiesta di una fede cieca, è la beatitudine promessa a coloro che in umiltà riconoscono la sua presenza a partire da segni anche esigui e danno credito alla parola di testimoni credibili».

Martedì 3 luglio 2018
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 20,24-29
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

commento a cura di Piotr Zygulski

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