Passa ai contenuti principali

Commento al vangelo XIV Domenica Tempo Ordinario B: Mc 6,1-6

L'immagine può contenere: 1 persona, persona seduta
www.LumoProject.com
Ogni volta che inciampiamo dovremmo ringraziare. Così come dobbiamo ringraziare quelli che oggi inciampano su Gesù; non a caso i discepoli sono invitati ad assistervi. Perché quell'inciampo è ammettere che si pensava di sapere tutto di Lui - gli eravamo così vicini! - e invece non abbiamo ancora capito nulla. Oggi chi si scandalizza ha il coraggio di riconoscere la sapienza straordinaria di Gesù; non è poco, ma non basta. Tornato a casa, ci accorgiamo dei cambiamenti, ma non tornano tutti i conti nei nostri rigidi schemi, fossilizzati nel passato di quando eravamo giovani e belli... “Eppure lo conoscevamo, faceva gli studi elementari in sinagoga, poi i lavori con il legno, ha qui i suoi parenti, toh, ecco lì Maria sua madre e i suoi fratelli, un po' incazzati perché li ha lasciati da soli in casa, ha trent'anni e non si è ancora neppure fidanzato... come mai ora insegna in un modo così coinvolgente?” Tra parentesi, ringraziamo per queste loro parole che ci aprono uno spaccato storico forse piuttosto preciso su Gesù, nazareno proprio come loro. Non sono da leggervi accuse di indegnità per la sua bassa condizione sociale di falegname né è bene fantasticare sul perché si menzioni Maria e non Giuseppe, che presumibilmente era già morto. Il vero scandalo accade invece quando vogliamo far tornare i conti senza contemplare la profezia incarnata nel quotidiano. Ecco, questo inciampo ci insegna che, giunti al nodo cruciale dello stupore, possiamo scegliere se perderci nel gossip su quale rabbino lo avrà raccomandato per fargli fare carriera oppure coinvolgerci nella Buona Novella, che accoglie la piena ordinarietà dell'uomo Gesù ma si apre straordinariamente all'orizzonte profetico dello Spirito di Dio, che opera come solo Lui sa, dove e quando e in chi vuole Lui. L’evangelista Marco ci porta lì: alle vere origini di Gesù, all’identità filiale in relazione con il Padre che vivifica nell’unità creativa dello Spirito. Per farlo agire siamo però chiamati a dire un doppio sì: alla terra e al cielo, alla carne e allo spirito, alla forma e alla materia, alla natura e alla cultura. Quando ci sembreranno incompatibili, perché i nostri pregiudizi ci faranno lo sgambetto, vedremo semplici guarigioni e non miracoli; ecco lì che cadremo. Ma benvenuta caduta, che ci potrà far riconoscere la debolezza dei nostri schemi e aprirci alla novità del Vangelo, che è un miracolo continuo nelle nostre scombussolate vite. Il profeta è colui che indica la via per ricomporre tutto in unità. Se lasciassimo da parte un po' di invidia, riusciremmo anche a gioire dei miracoli che accadono nei fratelli e nelle sorelle, perché è pur sempre Dio a farli accadere. Ridimensioneremmo il peso delle poche scarne notizie sul passato esteriore delle persone che crediamo di conoscere sufficientemente. Infine, magari, perché no, impareremmo ad affidare meglio il peso del lavoro quotidiano, quello alla nostra portata, come Dio del resto lo è, oltre a tutta la nostra fragilità. Inciampi inclusi. Vedrai miracoli, se crederai.

Domenica 8 luglio 2018
+ Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,1-6
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

commento a cura di Piotr Zygulski

Commenti

Post popolari in questo blog

Curzio Nitoglia, un cattivo maestro

di Andrea Virga Questo articolo, come quello su Don Gallo 1 , non avrebbe reale ragione d’essere. Anche qui, le gravi affermazioni dottrinali del sacerdote in questione non meriterebbero più d’uno sberleffo, vista la loro palese incompatibilità con la retta dottrina. E tuttavia, anche qui è il caso di un prete consacrato – e stavolta tuttora vivente – che attira proseliti, specie fra i giovani, grazie alle sue opinioni estremiste ed ereticali, con il risultato di diffondere in lungo e in largo i suoi errori. Per questo, ritengo che sia il caso di dedicare una mezz’oretta a mettere in guardia i meno provveduti, che magari preferiscono internet ad un buon padre spirituale, rispetto a questo personaggio: Don Curzio Nitoglia. Il paragone con Don Gallo, però, non riesca troppo offensivo al defunto sacerdote genovese, che aveva almeno il merito di essere molto attivo in ambito sociale e di non aver mai lasciato la Chiesa (cosa non troppo difficile, visto il permissivismo dei suoi super

Il noviziato Agesci: tempo e idea tra scoutismo e Chiesa

C’è un momento strano nel cammino scout Agesci ed è quello del noviziato: sì, il nome riprende proprio il linguaggio monastico; sì, l’ispirazione è proprio quella; sì, è un periodo di introduzione e studio.  Si tratta del primo momento nella branca rover e scolte, i più grandi nel nostro scoutismo: dura un anno. Di noviziato in Agesci si parla  –  e si sparla  –  in continuazione, non c’è un tema altrettanto trattato e maltrattato, anche nella prassi.È speciale e irrinunciabile e può essere una fonte di riflessione importante anche al di fuori dell’associazione. Cercherò ora di dare a questa riflessione un taglio ecclesiale, per plasmare un avvio di confronto su temi scoutisticamente ed ecclesialmente poco trattati. Il noviziato è un tempo e come tutti i tempi è prezioso. Lo è il nostro, figuriamoci quello dei ragazzi. Con un po’ di ironia, potremmo dire che l’importanza del tempo l’ha capita anche il Papa: in Evangelii Gaudium Francesco scrive che «il tempo è superiore allo

Lettera a frate Raimondo da Capua: l'esecuzione di un condannato a morte

È una lettera al frate che fu direttore spirituale di Caterina e che poi divenne suo seguace. Vi si racconta in modo appassionato e sconvolgente l’assistenza a un condannato a morte, Nicolò di Toldo,giustiziato a Siena per aver partecipato a un movimento di rivolta nel 1375 circa. Il condannato, travolto dall’entusiasmo mistico di Caterina, finisce con l’accettare con letizia la morte come momento di congiunzione – anzi, di nozze – con la divinità. Il consueto motivo devoto del sangue di Cristo si fonde qui con quello del sangue della decapitazione. Il sangue del giustiziato alla fine si riversa sul corpo della santa: nella fusione del sangue di Nicolò con quello di Caterina e con quello di Gesù si realizza l’unità mistica dell’uomo con Dio. Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce. A voi, dilettissimo e carissimo padre e figliulo mio caro in Cristo Gesù. Io Caterina, serva e schiava de' servi di Dio, scrivo a voi e racomandomivi nel pretioso sangue del Figliuolo di