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Commento al vangelo 6 luglio 2018: Mt 9,9-13

Gesù insegna la voce di Dio per mezzo del profeta Osea: «Misericordia io voglio e non sacrifici». Quell'e non va inteso ebraicamente nel senso che il sacrificio da solo non basta, se non vi è misericordia. A noi è chiesto però un sacrificio, che è appunto il sacrificio della misericordia. Quello di Gesù, per intenderci, che agli occhi dei molti - quei molti per i quali versa il suo sangue - si sputtana stando con prostitute e peccatori vari. Gesù non teme lo sputtanamento, perché il sacrificio della misericordia ne vale la pena. Notiamo quanto è attraente per i peccatori, Gesù, che si siede a tavola e sopraggiungono come api al miele. Mangiano insieme, gli dona incondizionatamente la sua relazione; anche se poi magari se ne torneranno a casa peccatori, lui non demorde a sacrificarsi per loro e a mostrare che il bello, il buono e il vero è possibile. Perché imparino che sono suoi fratelli - e quindi anche loro figli amati dello stesso Padre - offre la sua Comunione prima ancora della confessione: scandalo! Non si vergogna? Questo saremmo portati a pensare, se sbattiamo la faccia nel vangelo di oggi. L'apostolo Matteo, chiamato con un «Seguimi!» al banco delle imposte, odiato molto più di Equitalia, smette di contare debiti e crediti, propri e altrui (anche nei confronti di Dio), si alza subito e fa entrare Gesù nella sua casa, cioè nell'intimità dei suoi affetti, nonostante i propri peccati, anzi: a partire da essi che diventano occasione per entrare in familiarità con Lui. Questo per segnalare che ciascuno ha tempi e modalità personalissime di incontro con Gesù, ma nel momento in cui nel nostro cuore risuona una voce distinta non dovremmo facilmente ignorarla o procrastinarla. Ecco, qualche sacrificio è comunque richiesto, ovviamente, ma sempre nella misericordia. A noi, innanzitutto, il sacrificio di evitare di imporre condizioni a Dio e agli altri; prendersi cura di ciascuno con pazienza, delicatezza e sempre con la speranza che ogni donna e uomo sia all'altezza del meglio, gradualmente. Se qualcuno fosse già giusto, non potrebbe migliorare; Gesù sembra poco interessato a loro, eppure questa pagina di vangelo parla molto ai superbi, agli orgogliosi e agli invidiosi. Matteo, agli occhi di Gesù, non è più peccatore degli altri, ma semplicemente più consapevole dell'importanza del dolce Medico. «Solo i malati guariscono», ricorda Luigi M. Epicoco, o meglio: solo chi sa di essere malato può lasciarsi guarire. Così la nostra Chiesa diventa un vero ospedale da campo; non un palazzo sontuoso né un carcere, come alcuni, non privi di qualche ragione, la ritraggono.

Venerdì 6 luglio 2018
+ Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,9-13
In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

commento a cura di Piotr Zygulski

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