di Niccolò Bonetti
Secondo
una certa vulgata il cristianesimo predicherebbe il disprezzo del
mondo e la fuga da esso.
Basti
pensare al superuomo di Nietzsche:
“Vi
scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a
quelli che vi parlano di speranze ultraterrene! Essi sono degli
avvelenatori, che lo sappiano o no. Sono spregiatori della vita,
moribondi ed essi stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca: se
ne vadano pure!Una volta il sacrilegio contro Dio era il sacrilegio
più grande, ma Dio è morto, e sono morti con Dio anche quei
sacrileghi. Commettere sacrilegio contro la terra è ora la cosa più
spaventosa, e fare delle viscere dell'imperscrutabile maggior conto
che del senso della terra!
Un tempo l'anima guardava al corpo con disprezzo: e allora questo disprezzo era la cosa più alta: essa lo voleva macilento, orribile, affamato. Così pensava di sfuggire ad esso e alla terra.“
Un tempo l'anima guardava al corpo con disprezzo: e allora questo disprezzo era la cosa più alta: essa lo voleva macilento, orribile, affamato. Così pensava di sfuggire ad esso e alla terra.“
E'
innegabile che molte forme di spiritualità cristiana abbiano
effettivamente perseguito la fuga del mondo ma è molto discutibile
affermare che la natura del cristianesimo ,cioè l'annuncio di
liberazione fatto dal Verbo incarnato, sia quella di essere un etereo
spiritualismo distaccato dal mondo,dalla storia,ai margini della
vita.
E'
possibile pensare un “cristianesimo vitalistico” che ,pur non
negando la trascendenza,colga nella dimensione
umana,terrena,secolare,immanente la presenza di Dio e faccia di essa
un mezzo di santificazione dopo averla purificata?
Intanto
quali sono gli ambiti mondani che secondo i critici il cristiano
tenderebbe ad evitare,fuggire?
Io
credo che essi siano il potere,il denaro,la sessualità,la guerra.
In
queste esperienze ,coloro che hanno una visione disincarnata e
ascetica della fede cristiana,ritengono che molto spesso (o quasi
inevitabilmente) il cristiano vada incontro alla dannazione con la
semplice “immersione” in esse.
Vediamo
se è davvero cosi'.
Partiamo
dall'ultima,la più estrema,la guerra.
Nessuno
nega che dovere del cristiano è costruire un mondo in cui la
violenza e la guerra non trovino più alcun spazio.
Ma
la dottrina cattolica ha sempre affermato che ,essendo la nostra
natura lapsa,in determinati casi è lecito il ricorso alle armi.
Questo
non può che far scandalo per tutti coloro che hanno una visione
irenistica e pacifista della fede cristiana.
Ma
l'amore non si esprime solo con l'affetto,gli abbracci e le
gentilezze.
L'amore
cristiano non è un buonismo generalizzato :
“Non
crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra. Non sono
venuto a portare la pace, ma la spada. Perchè sono venuto a dividere
il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera;e
i nemici dell’uomo saranno i suoi famigliari.” Matteo 10, 34-38
“Sono venuto a portare fuoco sulla terra e come vorrei che fosse
già acceso! Devo ricevere un battesimo e quanto mi sento angustiato,
finché non sia compiuto. Credete che io sia venuto a mettere pace
sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. Perché d’ora in poi
cinque persone in una casa saranno divise, tre contro due e due
contro tre. Saranno divisi il padre contro il figlio, il figlio
contro il padre, la madre contro la figlia, la figlia contro la
madre, la suocera contro sua nuora, la nuora contro la suocera.”
Luca 12,49-53
La
“radice dell'amore”(per citare Agostino) può esprimersi in tanti
e molteplici modi. In certi casi,se si ama veramente qualcuno,si deve
essere pronti a castigarlo come ci ricorda Agostino:
“In
riferimento a fatti diversi troviamo un uomo che infierisce per
motivo di carità ed uno gentile per motivo di iniquità. Un padre
percuote il figlio e un mercante di schiavi invece tratta con
riguardo. Se ti metti davanti queste due cose, le percosse e le
carezze, chi non preferisce le carezze e fugge le percosse? Se poni
mente alle persone, la carità colpisce, l’iniquità blandisce.
Considerate bene quanto qui insegniamo, che cioè i fatti degli
uomini non si differenziano se non partendo dalla radice della
carità. Molte cose infatti possono avvenire che hanno una apparenza
buona ma non procedono dalla radice della carità: anche le spine
hanno i fiori; alcune cose sembrano aspre e dure; ma si fanno, per
instaurare una disciplina, sotto il comando della carità. Una volta
per tutte dunque ti viene imposto un breve precetto: ama e fa’ ciò
che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla
per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni,
perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da
questa radice non può procedere se non il bene”.
Insomma,se
guidata dall'amore,la punizione può essere una manifestazione di
carità molto più alta di tutti di tutti buonismi e i lassismi che spesso
fanno il male della persona che ha errato.
Per
quanto fosse una charitas distorta,anche l'inquisitore che faceva
torturare l'eretico per farlo abiurare poteva essere mosso da grandi
sentimenti d'amore che lo spingevano a torturare le carni del
sospettato o ad addirittura a bruciarle per salvare la sua anima.
E'
anche il caso di una guerra di liberazione: chi lotta contro una
dittatura non dovrebbe lottare per distruggere il proprio nemico
politico o di classe ma per liberarlo dal sistema oppressivo di cui anche lui è schiavo.
Anche
uccidere può essere paradossalmente uno straordinario gesto di amore:si pensi
all'uccisione dell'ingiusto aggressore che ha invaso ingiustamente la
propria patria o al tiranno che ha ridotto in schiavitù il proprio
popolo.
Anche
in questi casi non si vuole tanto uccidere l'aggressore(della patria
o della libertà) ma difendere il proprio popolo.
Insomma
l'omicidio non è perseguito per sé ma per accidens.
Ciò
che si persegue è una difesa di tutto ciò che amiamo e di tutto ciò
che ci è caro dal pericolo che l'ingiusto aggressore ce ne privi e
lo distrugga:l'omicidio è un atto accidentale,accessorio,per quanto
in casi estremi necessario.
Ma
non bisogna tanto concentrarsi sulla vita che dobbiamo tragicamente
sopprimere ma sull'appassionato amore per il nostro popolo che
ci spinge e che ci trascina cosi' tanto da portarci a commettere atti
che nella vita ordinaria consideriamo mostruosi.
Insomma
in situazioni straordinarie e terribili può essere necessario
infliggere la morte per manifestare la propria charitas.
Tuttavia questa è sicuramente una situazione "limite".
Passiamo alla sessualità.
Tuttavia questa è sicuramente una situazione "limite".
Passiamo alla sessualità.
Tutti
sanno che il cristianesimo per gran parte della propria storia e in
parte ancora oggi (per influenza di Agostino)ha avuto una
concezione riduzionistica della sessualità.
La
sessualità era vista in funzione della procreazione e ogni forma di
sessualità “non procreativa” era ritenuta perversa e immorale.
Questo
ha portato ad una visione della sessualità castrata, biologistica e
privata di tutti gli aspetti più creativi,ludici ed erotici.
Oggi
tuttavia viene riconosciuta alla sessualità una propria autonomia:è
quello che nei documenti del Magistero è chiamato “significato
unitivo”.
Questo
significato unitivo non può essere tuttavia mai separata dalla
procreazione e da questo aspetto nascono tutti i noti problemi legati
alla contraccezione nei quali però non voglio entrare.
Il
punto che voglio approfondire è la capacità della sessualità di
essere un luogo in cui Dio si rivela.
Cioè
capire se il piacere sessuale colto nella sua più
intima,ludica,”sporca”,spregiudicata e dionisiaca essenza possa
rimandare ad un'alterità divina.
Il
piacere sessuale implica un'uscita da sé,un dono all'altro,,un
annullarsi nell'altro\a
Implica
una trasparenza completa:”l'orgasmo è il grido muto di svuotamento
totale:"ecco ti ho detto tutto”."E in quel dirsi che
trascende infinitamente il darsi,in quell'attimo in cui l'uomo sembra
annullarsi,l'uomo sente di acquistare la pienezza di sé. Forse il
mito dell'unicità dell'origine è nato da questo ri-attualizarsi
della pienezza originaria.
Nel
rapporto d'amore i confini si dissolvono:non in una confusione di
identità ma in un essere per l'altro.
Nel
godimento sessuale vissuto nell'amore,il passato,il presente,il
futuro si fondono in un momento atemporale “(Jacobelli)
Nell'orgasmo
spazio e tempo si dissolvono e l'uomo sfiora l'infinito grazie al
dono dell'altro\a.
Non
è un caso se spesso i mistici abbiano dovuto usare un linguaggio
sessuale per descrivere l'estasi.
La sessualità è apertura alla trascendenza.
La sessualità è apertura alla trascendenza.
Nella
misura in cui è dono totale,incondizionato ,”eucaristico”(non dice forse anche l'amata all'amante "Questo è il mio corpo"?),e
definitivo di sé all'altro\a insomma la sessualità trascende il suo
significato puramente biologico e diventa riflesso,immagine ,seppur
imperfetta, della beatitudine divina.
La
totalità ,per quanto non colta ,è anticipata in qualche sprazzo.
Come
scrisse Schleiermacher:“nell’anima degli amanti dev’esservi la
divinità, che essi nel loro amplesso realmente sentono di stringere
tra le loro braccia e che poi sempre invocano. Nell’amore non
ammetto nessuna voluttà senza questo entusiasmo e senza l’elemento
mistico che ne deriva”.
Lussuria
,al contrario,è non riconoscere la dignità dell'altro\a,farne carne
da macello,impossessarsi del corpo dell'altro\a per saziare(invano)
il proprio desiderio di totalità:l'altro cessa di essere persona e
la sessualità cessa di essere dono ma diventa automatismo e
alienazione.
La
sessualità cessa cosi' di essere rimando ad una totalità
ultraterrena e si chiude nel godimento vuoto,vorace e insaziato del
corpo altrui.
La sessualità quando non è dono definitivo,integrale e incondizionato di sé è lussuria:la sessualità fuori dal matrimonio(matrimonio da intendere nel senso di unione definitiva) è aporetica e contraddittoria perché non vuole donarsi in modo definitivo pur realizzando un unione definitiva e totale.
La sessualità quando non è dono definitivo,integrale e incondizionato di sé è lussuria:la sessualità fuori dal matrimonio(matrimonio da intendere nel senso di unione definitiva) è aporetica e contraddittoria perché non vuole donarsi in modo definitivo pur realizzando un unione definitiva e totale.
Anche
il denaro è ritenuto per molti un mezzo sicuro di perdizione.
Scrive
San Giacomo : “E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le
sciagure che vi sovrastano!Le vostre ricchezze sono imputridite,le
vostre vesti sono state divorate dalle tarme; il vostro oro e il
vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si
leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni
come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!Ecco, il
salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre
terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie
del Signore degli eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi
siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della
strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre
resistenza”.
Ma
ciò che il testo biblico condanna sempre non è la ricchezza in
sé,che anzi è un dono e una benedizione di Dio,ma il suo uso
distorto,la sua tesaurizzazione,l'accumulo smodato,infinito e fine a
se stesso.
Pecca
chi accumula smodatamente beni senza re-investirli nella comunità,chi
dimentica che la proprietà ,pur essendo privata,ha un fine
sociale,che il superfluo spetta al povero.
Insomma
non pecca semplicemente chi si prodiga per aumentare i propri
profitti ma piuttosto chi non indirizza la ricerca del proprio
profitto in una prospettiva sociale.
Produrre
oggetti che rendano la vita delle persone più piena è un'opera
meritoria,essa ha come fine il miglioramento della vita delle
persone,è un'opera di un amore creativo che cerca il bene del
prossimo.
Quando
però il profitto da giusta mercede per il buon lavoro svolto diventa
l'unico fine e si perde la dimensione sociale che è strutturale
all'attività imprenditoriale, si ha il peccato.
Il pauperismo non è una virtù:è molto più virtuoso chi,essendosi arricchito,investe il proprio denaro in modo utile per la comunità di chi,rigettando aprioristicamente la legge del profitto,si gode la sua sterile povertà.
Non è questo il senso della parabola dei talenti?
Il pauperismo non è altro che la consueta tentazione gnostica che ci vorrebbe far credere che i beni materiali siano mali:non è il possesso di un bene che ci corrompe ma il nostro attaccamento ad esso.
Passiamo infine alla politica.
Il pauperismo non è una virtù:è molto più virtuoso chi,essendosi arricchito,investe il proprio denaro in modo utile per la comunità di chi,rigettando aprioristicamente la legge del profitto,si gode la sua sterile povertà.
Non è questo il senso della parabola dei talenti?
Il pauperismo non è altro che la consueta tentazione gnostica che ci vorrebbe far credere che i beni materiali siano mali:non è il possesso di un bene che ci corrompe ma il nostro attaccamento ad esso.
Passiamo infine alla politica.
Essa
in sé ha il fine più alto rispetto a tutte le altre attività
umane:essa deve creare le condizioni economiche,sociali e culturali
perché la persona umana possa svilupparsi e fiorire nella sua
integralità,pienezza e in piena libertà.
Essa
diventa distorta quando invece di mirare alla ricerca dei mezzi più
efficaci per promuovere lo sviluppo integrale della persona,promuove
il bene di determinate classi sociali o di determinati interessi
particolari.
In
politica i due mali da evitare sono il machiavellismo e il
“supermoralismo” .
Il
primo è amorale ,ha una visione pessimistica dell'uomo,ritiene
leciti tutti i mezzi e non promuove il bene collettivo ma
l'autoconservazione della classe dirigente.
Il
secondo pretende di fare politica in nome di principi astratti e in
nome dei quali cambiare la realtà senza negoziazioni o compromessi.
Persegue
una purezza ideologica al cui idolo è pronto a sacrificare
tutto,compreso le persone.
Non
vuole sporcarsi le mani con la realtà,la giudica dall'alto e
preferisce che il proprio paese vada in rovina piuttosto che mettere
in discussione le tesi politiche in cui esso crede fideisticamente.
La
politica invece richiede mediazione,compromessi,è l'arte del
possibile,sa bene che allo stato si applicano leggi morali analoghe
ma non identiche a quelle del cittadino,deve spesso tollerare e
permettere dei mali affinché non vengano danneggiati beni maggiori e
non giudica bene e male astrattamente ma valuta la loro forza
storica.
Non
divide la realtà in schemi manichei ma sa bene che il male è
parassita di ogni processo storico positivo e che dall'altro canto
non esiste ideologia che ,per quanto sia errata, non conservi semi di
verità.
La
politica non si confronta con pure essenze(platonismo) ma con
esistenze (tomismo) e che non può la morale separarsi dalla vita e
dalla storia.
ll
principio del male minore è fondamentale in politica, se il male c'è
e non può essere rimosso, bisogna accettare la situazione e battersi
"per raddrizzare nel senso del bene le conseguenze del fatto
compiuto"(Maritain).
Quando
non cada nell'idealismo ,nell'utopia o nel machiavellismo la politica
può essere una scala verso il cielo.
Come
scrisse Petrarca:
“Signor’,
mirate come ‘l tempo vola,
et sí come la vita
fugge, et la morte n’è sovra le spalle.
Voi siete or qui; pensate a la partita:
ché l’alma ignuda et sola
conven ch’arrive a quel dubbioso calle.
Al passar questa valle
piacciavi porre giú l’odio et lo sdegno,
vènti contrari a la vita serena;
et quel che ‘n altrui pena
tempo si spende, in qualche acto piú degno
o di mano o d’ingegno,
in qualche bella lode,
in qualche honesto studio si converta:
cosí qua giú si gode,
et la strada del ciel si trova aperta. “
Si salva chi si sporca le mani,non chi rimane al di fuori della storia per timore di essere contaminato.
Nel reale il politico cristiano tende all'ideale,alla Gerusalemme Celeste dove ogni uomo potrà raggiungere quella libertà,quella comunione,quella pace,quella autonomia che nella città terrena, ferita dal peccato ,è utopico sperare.
et sí come la vita
fugge, et la morte n’è sovra le spalle.
Voi siete or qui; pensate a la partita:
ché l’alma ignuda et sola
conven ch’arrive a quel dubbioso calle.
Al passar questa valle
piacciavi porre giú l’odio et lo sdegno,
vènti contrari a la vita serena;
et quel che ‘n altrui pena
tempo si spende, in qualche acto piú degno
o di mano o d’ingegno,
in qualche bella lode,
in qualche honesto studio si converta:
cosí qua giú si gode,
et la strada del ciel si trova aperta. “
Si salva chi si sporca le mani,non chi rimane al di fuori della storia per timore di essere contaminato.
Nel reale il politico cristiano tende all'ideale,alla Gerusalemme Celeste dove ogni uomo potrà raggiungere quella libertà,quella comunione,quella pace,quella autonomia che nella città terrena, ferita dal peccato ,è utopico sperare.
Insomma
il compito del cristiano non è stare ai margini della storia e della
vita ma al centro di essa perché solo li' può trovare la sua
autentica vocazione,non certo o non solo nelle sagrestie.
Concludo
con un celebre brano di Bonhoeffer.
“Le
persone religiose parlano di Dio quando la conoscenza umana (qualche
volta per pigrizia mentale) è arrivata alla fine o quando le forze
umane vengono a mancare – e in effetti quello che chiamano in campo
è sempre il deus ex machina, come soluzione fittizia a problemi
insolubili, oppure come forza davanti al fallimento umano; sempre
dunque sfruttando la debolezza umana o di fronte ai limiti umani;
questo inevitabilmente riesce sempre e soltanto finché gli uomini
con le loro proprie forze non spingono i limiti un po’ piú avanti,
e il Dio inteso come deus ex machina non diventa superfluo; per
me il discorso sui limiti umani è diventato assolutamente
problematico (sono oggi ancora autentici limiti la morte, che gli
uomini quasi non temono piú, e il peccato, che gli uomini quasi non
comprendono?); mi sembra sempre come se volessimo soltanto
timorosamente salvare un po’ di spazio per Dio; – io vorrei
parlare di Dio non ai limiti, ma al centro, non nelle debolezze, ma
nella forza, non dunque in relazione alla morte e alla colpa, ma
nella vita e nel bene dell’uomo. Raggiunti i limiti, mi pare
meglio tacere e lasciare irrisolto l’irrisolvibile. La fede nella
resurrezione non èla “soluzione” del problema della morte.
L’“aldilà” di Dio non è l’aldilà delle capacità della
nostra conoscenza! La trascendenza gnoseologica non ha nulla che fare
con la trascendenza di Dio. È al centro della nostra vita che Dio è
aldilà. La Chiesa non sta lí dove vengono meno le capacità umane,
ai limiti, ma sta al centro del villaggio. Cosí stanno le cose
secondo l’Antico Testamento, e noi leggiamo il Nuovo Testamento
ancora troppo poco a partire dall’Antico. ”
(Niccolò
Bonetti)
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