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Una Chiesa da smuovere o da cambiare?


In due libri “cugini”, due preti e teologi francesi lanciano un appello per far sì che ci sia una
Chiesa cattolica nuova, che si doti di strutture e adotti una linea in rapporto con la realtà.
Purtroppo solo le persone che già anticipatamente ne sono convinte leggeranno i libri di Joseph Moingt e di Michel Quesnel. Da www.temoignagechretien.fr (traduzione www.finesettimana.org).
 




Joseph Moingt, Faire bouger l’Église catholique, Desclée de Brouwer
Michel Quesnel, Rêver l’Église catholique, Desclée de Brouwer


 
Alcuni anni fa, la fama di Joseph Moingt non andava oltre la ristretta cerchia dei lettori dei grandi libri di teologia. Grazie ad un libro-intervista molto chiaro (Croire quand même; Libres entretiens sur le présent e le futur du catholicisme, con Karim Mahmoud Vintam, Temps présent, 2010), il gesuita è diventato una delle star dei gruppi riformisti del cattolicesimo francese.
A più di 90 anni, viene invitato dappertutto per dire ciò che altri hanno detto o scritto prima di lui: la Chiesa cattolica deve cambiare, altrimenti scomparirà. Su iniziativa di un gruppo “Chrétiens en recherche 41” (Cristiani in ricerca 41), le edizioni Desclée de Brouwer pubblicano due conferenze nelle quali si ritrovano le grandi intuizioni di Joseph Moingt. Per lui, le cause del disamore per una certa pratica cattolica, sono tutt'altro che tragiche, anzi sono positive. “Non è forse il piano di Dio che l'Uomo giunga ad una perfetta libertà davanti a lui, anche nei suoi confronti, si chiede Moingt riprendendo la tesi del pastore Dietrich Bonhoeffer. Dio non preferisce forse un Uomo diventato “maggiorenne” che sceglie il proprio orientamento solo in base alla sua coscienza, piuttosto che gli inchini infantili e timorosi di tanti cristiani rimasti “minorenni”?” (pp. 30-31).
 
Utili ma in maniera diversa
 
La sua visione dell'evangelizzazione farebbe digrignare i denti ad alcuni padri sinodali riuniti per tutto il mese d'ottobre a Roma su quel tema. “La missione di salvezza affidata espressamente da Gesù alla Chiesa riguarda il suo Vangelo che è scuola di vita, fonte di umanesimo, e non un codice religioso e (non bisogna) far credere che la religione sia la sola via certa di salvezza, cosa non detta nel Vangelo” (p. 33). O, in altre parole, bisogna “riscoprire il Vangelo come tale, al di fuori di una istituzione del far credere”.
Nella sua visione delle riforme a livello di base, il gesuita vuole rovesciare il “movimento di
raggruppamento la cui finalità è puramente di culto”, attuato nelle diocesi francesi per ovviare alla mancanza di ministri ordinati.
Si lascerà che i cristiani “si riuniscano il più vicino possibile al territorio di cui si assumeranno la missione evangelica”, Preti e vescovi resteranno utili, ma in maniera diversa. “Poiché non c'è comunità cristiana senza vita sacramentale ed eucaristica, (il vescovo) abiliterà i dirigenti a provvedervi. E fornirà loro tutto l'aiuto necessario, sia per i loro bisogni religiosi, sia per la loro formazione dottrinale, mettendo i suoi preti a loro disposizione” (pp. 50-51).
 
Destrutturazioni radicali
 
Un sistema pieno di buon senso, pensato da decenni in segreto o in libri “sovversivi”, ma dal futuro più che ipotetico, cosa ammessa dal gesuita alcune pagine più avanti, facendo cadere una doccia fredda sulla speranza dei lettori. “Quanto alla possibilità concreta di vedere che tali cambiamenti si realizzino e che strutture nuove vengano introdotte in piena tranquillità e in un tempo ragionevole, onestamente dico che è nulla, date le destrutturazioni radicali che esigerebbe” (p. 54). Segue un attacco al magistero romano che “interpreta la rivelazione dal punto di vista sovrano della sua tradizione, quella dei concili e delle dichiarazioni pontificie”. Il sistema, per Joseph Moingt, è troppo basato sui preti. “Se (il presbiterato) si esaurisce, la Chiesa è votata a deperire. Si può comprendere che i vescovi, più che preoccupati, vadano a cercare preti ai quattro angoli del mondo, mentre altri pensano all'ordinazione di uomini sposati, ma questo non è e non potrà essere che un rimedio di fortuna” (p. 56).
 
 
Comunità
 
In attesa che il vertice accetti queste evoluzioni, il vecchio teologo invita ad agire facendo esistere delle comunità “anche ridotte a pochi cristiani, là dove prima c'era una parrocchia (…) In quel luogo deve rivivere una presenza di Chiesa poiché in quel luogo c'è un campo da evangelizzare”. Questa piccola comunità dovrà essere “organizzata in vista di una condivisione del Vangelo” e come “luogo di preghiera adattato alla condivisione del Vangelo”. Poi, queste unità di base dovranno raggrupparsi per “celebrare la loro unione in Corpo di Cristo”. Moingt parla di nuove liturgie eucaristiche. “Si potrà forse rifiutare ad una comunità l'elemento naturale necessario della vita cristiana, il segno di identità e di condivisione sotto il quale è nato il cristianesimo?”.
 
 
Irrigidita sulle sue tradizioni
 
Lo stesso editore ha pubblicato in questo mese d'ottobre un libro sullo stesso tema, di un uomo fino a quel momento non classificato nella categoria dei sovversivi. Michel Quesnel, prete oratoriano e famoso biblista, ha perfino occupato il posto prestigioso di rettore dell'Institut catholique di Lione.
“La Chiesa ha fiducia in me come io ho fiducia in lei. È ciò che mi dà il diritto – e il dovere – di prendere la parola”, scrive in un'introduzione che dà il tono al suo scritto Rêver l'Église catholique. Padre Quesnel trova “la Chiesa cattolica troppo immobile, troppo irrigidita sulle sue tradizioni, insufficientemente aperta all'evoluzione e al movimento. In questo modo, si separa dalla società, dalla cultura, dal mondo circostante e rischia di trasformarsi in un piccolo gruppo settario”.
Il secondo difetto rilevato è che la Chiesa è “troppo uniforme”. “Si può far camminare con lo stesso passo delle persone umane appartenenti a culture così diverse come quelle che costituiscono l'eterogeneità e la bellezza del pianeta? Certo la Chiesa deve essere una. L'unità è costitutiva. Ma l'unità è un'illusione e crea molte tensioni inutili se non comprende una legittima diversità, sufficientemente padroneggiata affinché il legame sia preservato”.
 
 
Geni del cristianesimo
 
In un rapido studio dei “geni del cristianesimo”, Quesnel affronta ciò che differenzia, al suo
interno, l'esperienza cattolica dalle altre famiglie cristiane.
“Schematizzando un po', si potrebbe quasi affermare che le differenze sulla teologia della salvezza sono minime e che le differenze liturgiche non sono importanti. Il cattolicesimo è particolare rispetto alle altre Chiese nella concezione stessa di Chiesa, tanto nella sua natura che nella sua organizzazione” (p. 57).
Dopo un ricordo convenzionale dei vantaggi e degli svantaggi del centralismo romano, l'autore interroga da biblista la libertà critica di fronte al funzionamento cattolico. “Abbandonare le proprie sicurezze e il proprio potere fa parte del programma evangelico e Gesù stesso ne ha dato l'esempio. Nell'anima cristiana è inscritto un principio di contestazione delle situazioni acquisite che implica di non addormentarsi mai nelle propria comodità. Dà ai fedeli il diritto di interrogare i loro pastori quando niente si muove, con bontà ma con vigore” (p.69). Una bella riabilitazione di una necessità che alcuni considerano secondaria, nel momento in cui prima di tutto si tratta di evangelizzare.
“È quindi permesso ad un cattolico di sognare la sua Chiesa, e di sognarla criticandola, in
particolare alla luce della Bibbia”.
 
 
Centralismo romano
 
Per denunciare il centralismo romano, usa una metafora cara alla sinistra francese. “Si rimprovera agli americani di imporre la loro cultura a tutta la terra, agendo come un rullo compressore che americanizza tutto. La Chiesa cattolica fa più o meno la stessa cosa con una sorta di latinizzazione forzata, non a colpi di lingua latina che ha ceduto il posto alle lingue volgari, ma esportando un pensiero e delle pratiche occidentali provenienti dall'Italia, dalla Francia, dalla Spagna, più o meno assimilate da vescovi africani o asiatici accuratamente formati a Roma, ma molto estranee ai fedeli della base”.
E Padre Quesnel batte il chiodo. “L'unità si traduce in uniformità. Non è né valido alla lunga né conforme alle intuizioni evangeliche che comportano il rispetto delle persone e della loro cultura” (pp. 73-74).
“Si è confuso evangelizzare con latinizzare”, sostiene a mo' di spiegazione a questo errore
antropologico, che secondo lui costituisce la forza delle missioni protestanti nel continente nero. “La strada per passare dal centralismo ad un comportamento più rispettoso delle diverse culture sarà certamente lungo. Vale comunque la pena di impegnarvisi” (pp. 79-81).
 
 
Chiesa sinfonica
 
E alla fine del suo sogno apparirebbe “una Chiesa sinfonica, ricca della sua diversità, come il mondo è ricco delle sue culture. Si uscirebbe dalla menzogna e dalla dissimulazione”. Per far questo, sono necessarie delle rinunce. “Non cerchiamo di trasformare la Chiesa in paradiso o in società perfetta. Come tutti i gruppi umani, essa conoscerà sempre tensioni o conflitti, ma l'istituzione cesserebbe di svolgere il ruolo di repoussoir che ha suo malgrado” (p. 83).
In un capitolo “Per una Chiesa che accompagna le mutazioni del mondo”, l'autore chiede di rivedere il testo sulla morale familiare e sessuale, ritenendo che “l'antropologia che condiziona il discorso abituale della Chiesa è spesso obsoleta”.
Infine, possiamo tenere a mente uno slogan carino: “Sì a Gesù, no alla sacrestia”. In cui
quest'ultima rappresenta “tutto ciò che spinge la Chiesa ad occuparsi dei suoi problemi interni, con tutto ciò che questo comporta di polveri e di indurimento” (p. 140).
A differenza di Joseph Moingt, Michel Quesnel non parla della fattibilità di questo programma. Un sogno è un sogno.

Commenti

Anonimo ha detto…
Cari Niccolò e Lorenzo,
torno a farmi vivo prendendo spunto da questo commento delle pubblicazioni di Moingt e Quesnel, dopo avere atteso un vostro intervento secondo quanto vi eravate impegnati a fare e dopo avere pensato che quanto avete pubblicato di recente inserito sul blog, a cominciare dall'articolo di Mons. Enrico Chiavacci, in qualche maniera rappresentasse per voi una specie di tentativo, magari generale, di iniziare un discorso in merito.
Vorrei fare quindi alcune osservazioni proprio a partire da quell’articolo di Chiavacci.

Il noto moralista, nel suo lungo scritto, non mi sembra proprio che avanzi qualche idea “nuova” utilizzabile in vista di quanto vi avevo suggerito e di quanto da lui stesso dichiarato all’inizio del suo lavoro da voi pubblicato: l’opportunità di una profonda rivisitazione della teologia morale (specie in relazione all’etica sessuale) alla luce del vangelo (e della Tradizione, aggiungo io) e della recente esperienza umana.
Il testo del Chiavacci non vedo infatti come possa essere preso a modello o anche solo ad esempio di quanto dichiarato sia da lui che da diversi dei vostri interventi sul blog in questa materia.
In effetti, se si tralasciano le abbondanti considerazioni (a tratti a mio avviso puntigliose ed esagerate) sulla storia della materia nei secoli passati – considerazioni che arrivano tuttavia a farlo concludere che : “non si può dire che la chiesa nel passato abbia sbagliato” – è solo nell’ultima parte del suo intervento che tenta di avanzare qualche argomentazione che cerchi di “innovare”. Ma, ahimè, anche impegnandosi, non si vede come si possa pensare che con osservazioni simili si possa procedere verso una qualche forma di rinnovamento alla luce del Vangelo e della recente esperienza umana, anche tralasciando la stessa Tradizione che, da un punto di vista cattolico, non si vede come sia possibile tralasciare…
Elenco allora questi argomenti, riportati nel finale del suo intervento, che dovrebbero essere utilizzati per rinnovare la teologia morale:

1) La solita accusa al Magistero (in particolare Humanae Vitae), ripetuta purtroppo fino alla nausea anche da ambienti anticlericali e dichiaratamenti “atei”, di considerare l'atto sessuale “nella sua pura fisicità”;
2) Il riferimento al problema dell'AIDS (HIV) – argomentazione utilizzata come domandina scolastica anche dai ragazzini delle medie.. . - come ostacolo alla dottrina della Chiesa in quanto il suo rispetto dovrebbe comportare, anche nel caso di due coniugi, l'astinenza da ogni rapporto. Oppure, e qui valga quanto osservato sopra a proposito dei ragazzini delle scuole medie, al problema de rapporti prematrimoniali o a quello dei “veri omosessuali”.
3) La “proposta” dell'argomentazione generale del valore della personalità e sulla “sua capacità espressiva inglobante la sessualità”, come se tutto questo non fosse stato recepito in abbondanza dal Magistero a partire da tutti i pronunciamenti post-conciliari e in particolare dalle famose catechesi di GPII sul valore e sul significato del corpo, dell'amore e del matrimonio.
4) Il riferimento alla sua quarantennale esperienza parrocchiale, di studio e di colloqui con i giovani.

Per concludere ritengo - a partire dalla mia quarantennale esperienza dove ho accumulato studi e vita di di fidanzamento, di matrimonio e di innumerevoli colloqui con giovani e meno giovani - che con simili argomenti più che rinnovare si rischia fortemente di “banalizzare” l'insegnamento magisteriale in materia, il quale può benissimo essere messo in questione, ma con ben altri argomenti e considerazioni, ammesso che esistano! Argomenti e considerazioni che, in base al breve resoconto dei volumi del Mojngt e del Quesnel, non mi sembrano essere presenti neppure in tali autori, ovviamente in riferimento al nostro tema del rinnovamento della morale sessuale.
Nel ringraziarvi ancora per la vostra iniziativa, vi saluto caramante e continuo a restare in attesa di ulteriori “indicazioni”...
Marzio

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