I
sentimenti di Nietzsche su Gesú sono rimasti sempre confusi. Lo
stesso si deve dire dei suoi giudizi sul cristianesimo. In esso egli
ha intravisto piú che un ideale falso, un ideale svigorito
e decaduto. Ecco, ad esempio, come egli si esprime: “È la
nostra pietà, piú severa e piú raffinata, ad interdirci oggi di
essere ancora cristiani”. Da questo si vede che Nietzsche l’ha
con i cristiani del nostro tempo, con noi stessi. Il suo sferzante
disprezzo ha di mira le nostre mediocrità, le nostre ipocrisie. Esso
prende di mira le nostre debolezze ammantate di bei nomi.
Ricordandoci la gioiosa e forte austerità del “cristianesimo
primitivo”, svergogna il “nostro cristianesimo attuale”,
talvolta effettivamente “dolciastro e nebuloso”. Gli si può dare
completamente torto? Dobbiamo, contro di lui, prendere le difese di
tutto ciò che “oggi porta il nome di cristiano”? Quando egli,
per esempio, esclama, parlando di noi: “Bisognerebbe che essi mi
cantassero dei canti migliori, perché io imparassi a credere al loro
Salvatore! Bisognerebbe che i suoi discepoli avessero piú aria da
gente salvata!”, come oseremo noi indignarci? A quanti tra noi di
fatto il cristianesimo appare “come qualche cosa di grande, qualche
cosa di accrescente, al quale ci si possa dare completamente
provandone gioia ed entusiasmo”? Gli infedeli che ci stanno accanto
ogni giorno osservano sulle nostre fronti l’irraggiare di quella
gioia che, venti secoli fa, rapiva gli spiriti eletti del mondo
pagano? Abbiamo noi cuori di uomini risuscitati con il Cristo? Siamo
noi in mezzo al secolo XX i testimoni delle Beatitudini? In breve,
noi abbiamo riconosciuta la bestemmia nella terribile frase di
Nietzsche ed in tutto il suo contesto: ma non ci obbliga forse essa a
scoprire pure in noi ciò che ha potuto spingere Nietzsche ad una
tale bestemmia?
Questo
è il tragico della situazione presente. Checché ne sia del passato
– ci si dice – il cristianesimo di oggi, il “vostro
cristianesimo”, è il nemico della Vita, perché esso non è piú
vivente “Io vedo – diceva Giacomo Rivière, già nel 1907, in una
lettera a Paolo Claudel – che il cristianesimo muore... Non si sa
quello che fanno ancora nel cielo delle nostre città quelle guglie
che non rappresentano piú la preghiera di nessuno di noi. Non si sa
quello che vogliono esprimere quelle grandi costruzioni che oggi
rinchiudono stazioni ferroviarie, ospedali e dalle quali il popolo
stesso ha cacciato i monaci: non si sa ciò che esprimano, sulle
nostre tombe, quelle croci di stucco appesantite goffamente da
un’arte disgustevole”. Senza dubbio la risposta di Claudel a
questo grido di angoscia era buona: “La verità non ha nulla a che
vedere con il numero di persone che essa persuade”. Ma se proprio
quegli stessi che sono rimasti fedeli alla “Verità” appaiono
senza “virtú”, cioè senza forza interiore, l’abbandono degli
altri non sembrerà forse giustificato? Ora, i motivi che
giustificano le accuse sono tali che spesso siamo costretti a
consentirvi. Una esperienza quasi quotidiana mostra che un certo
numero dei piú duri rimproveri che ci vengono fatti, vengono ad uno
stesso tempo e dai nostri peggiori avversari e da parte di uomini di
buona volontà. Il tono, l’intenzione, l’ispirazione profonda,
sono differenti, ma i giudizi sono in fin dei conti gli stessi.
Convergenza strana, ma significativa. Tra i migliori di quelli che
noi deludiamo in questo modo, alcuni dei piú chiaroveggenti e
spirituali si trovano presi da due sentimenti opposti: li vediamo
affascinati dal Vangelo, la cui dottrina ad essi appare sempre forte
e nuova: sono attirati dalla Chiesa, in cui presentiscono una realtà
sovrumana, l’unica istituzione capace di apportare, assieme al
rimedio per i nostri mali, anche la soluzione del problema del nostro
destino. Ma, arrivati sulla soglia, ecco che si arrestano: lo
spettacolo che noi offriamo loro, noi, i cristiani di oggi, “la
Chiesa che noi siamo”, questo spettacolo li respinge indietro. Essi
allora finiscono per pensare e per “dire che ciò che oggi è
rimasto dell’ideale evangelico nel mondo, sopravvive fuori dei
nostri campi”. Non che essi necessariamente ci condannino; ma
piuttosto non possono prenderci sul serio. La Storia condanna forse
Romolo Augustolo per non aver questi ripetute le gesta di Cesare o di
Augusto? Essa si limita solo a constatare che in questo ultimo erede
dell’Impero di Roma, la linfa era esaurita... Cosí avviene di noi
e della Chiesa che noi rappresentiamo, agli occhi di un certo numero
di contemporanei: il loro sentimento è fatto di un insieme di
ammirazione e di disprezzo.
Da
qui la tentazione che oggi minaccia molti tra noi. Mentre la grande
massa continua ad appesantirsi, facendo ogni giorno piú bestemmiare
il Salvatore, a cui esternamente dice di appartenere, comprendendolo
di fatto sempre meno, mentre gli ambienti devoti, gli ambienti
“edificanti”, spesso dànno prova di una sí mediocre qualità di
cultura e di vita spirituale, ci sono nella Chiesa degli uomini che
vedono, che riflettono. Ci sono poi dei cristiani che si rifiutano di
proteggere la loro fede dietro un baluardo di illusioni. “Si –
essi dicono – sono cose troppo vere. Preso nel suo insieme, il
nostro cristianesimo è diventato insipido, nonostante tanti sforzi
meravigliosi per restituirgli vita e freschezza, esso è snervato,
sclerotizzato. Cade nel formalismo e nell’abitudine. Cosí come noi
lo pratichiamo, come anzitutto lo pensiamo, è una religione debole,
inefficace: religione di cerimonie e di devozioni, di ornamenti e di
consolazioni volgari, talvolta perfino senza sincerità, senza presa
reale sull’attività umana. Religione che sta fuori della vita, e
che mette noi stessi fuori di essa. Ecco ciò che è diventato nelle
nostre mani il Vangelo: ecco come è finita questa immensa speranza
che si era levata sul mondo. Vi si può ancora riconoscere il soffio
di quello Spirito divino che doveva rinnovare tutte le cose, dare un
nuovo volto a tutta la terra? Molti tra noi non fanno forse oggi
professione di cattolicesimo per le stesse ragioni di conforto
interiore, di conformismo sociale che venti secoli fa avrebbero loro
fatto respingere la inquietante novità della Buona Novella? E che
dire poi di quell’alternativa, anzi di quel miscuglio di politica e
di “devozione”, in cui la religione a mala pena può trovarsi un
posto? Il male benché di diversa natura, è grave per i piú
“praticanti” quanto per i mondani. E gli stessi virtuosi non ne
sono i meno intaccati. L’insofferenza ad ogni critica, l’impotenza
ad ogni riforma, la paura della intelligenza non ne sono forse segni
evidenti? Cristianesimo clericale, cristianesimo formalista,
cristianesimo spento e indurito?... La grande corrente della Vita,
che mai si arresta, pare l’abbia deposto, da qualche tempo, sulla
riva”.
Ma
è a questo punto della loro riflessione, in cui la lucidità
coraggiosa incomincia a mutarsi in deformazione satirica, che la
tentazione si insinua. Tentazione di “guardare torto”, come
dicevano un tempo i profeti, verso un nuovo paganesimo, per rapirgli
qualche cosa di quella vita di cui appare aureolato.
Insensibilmente
i rimproveri fatti al nostro cristianesimo, si
trasformano in critiche al cristianesimo stesso. Dopo di aver
denunciato il modo negativo con cui pratichiamo spesso le virtú
cristiane, si giunge a porre in istato di accusa “le virtú
negative stesse” che fanno il cristiano. La satira del falso
cristiano, il quale “non essendo né dalla natura né dalla
grazia”, è un essere minorato, finisce per toccare la satira
nietzschiana del cristiano autentico, affetto da “emiplegia”. In
nome della sanità morale, dell’eroismo, o della virilità, si
finisce per accusare la Croce stessa, per respingere la “figura del
Crocifisso”. Ci sono delle strane consonanze tra le parole che si
raccolgono sulle labbra di certi giovani cristiani nei momenti di
confidenze dolorose o sfuggite loro bruscamente e le caricature che
sono messe in mostra, per esempio, in un’opera come il Libro
dei Vivi e dei Morti. Alla fine, può essere ancora l’apostasia.
I casi non sono inauditi. Essi manifestano allo stato forte una
disposizione che è già largamente diffusa allo stato debole.
A
nulla gioverebbe chiudere gli occhi sulle cause di un cosí profondo
malessere. Non ci si deve neppure rifiutare di vedere il bene che c’è
nell’avversario: non è bene infatti irrigidirsi sui propri
deficit. Un tale atteggiamento, dell’intrepidità della fede non ha
che le apparenze. L’anima fedele è sempre un’anima aperta. Ma,
d’altra parte, sarebbe non meno fatale perdere, sia pure in minima
parte, la confidenza nelle risorse della nostra eredità cristiana,
per andare alla ricerca di un rimedio esteriore. Se noi vogliamo
ritrovare un cristianesimo forte, quel “cristianesimo
elettrizzante” di cui si è parlato cosí bene, la nostra prima
preoccupazione deve essere di non lasciarlo piegare, come oggi è
minacciato, nel senso di un cristianesimo di forza. Altrimenti la
guarigione non sarebbe che un peggioramento del male. Se la ricerca
di un cristianesimo di forza non fosse un tradimento, sarebbe per lo
meno una reazione della debolezza.
In
questo caso è chiaro infatti che, volendo restare nonostante tutto
cristiani, non si potrà avere come modello che una pallida
imitazione dell’ideale di Forza che si avanza da trionfatore. E
cosí si sarà due volte vinti in antecedenza. Invece di
rivalorizzare il cristianesimo come ci si proponeva, snaturandolo lo
si sarà indebolito. Qui si tratta di ben altra cosa. Si tratta di
ridare al cristianesimo la sua forza in noi: questo anzitutto
significa che si deve ritrovarlo tale quale è in se stesso, nella
sua purità, nella sua autenticità. In fin dei conti quello di cui
abbiamo bisogno non è neppure un cristianesimo piú virile, piú
energico, o piú eroico o piú forte: invece abbiamo bisogno di
vivere il nostro cristianesimo piú virilmente, piú efficacemente,
piú fortemente, piú eroicamente se è necessario, ma di viverlo
cosí come è. Non c’è nulla da cambiare, nulla da correggere, da
aggiungere (questo però non vuol dire che non si debba approfondirlo
senza posa); nulla c’è da adattare alla moda corrente. Bisogna
riportarlo a se stesso, nelle nostre anime.
Ancora
una volta si vede che si tratta di una questione spirituale e che la
soluzione è sempre la stessa: dobbiamo ritrovare lo spirito del
cristianesimo, nella misura in cui l’abbiamo lasciato perdere. Per
questo, noi dobbiamo ritemprarci alle sue sorgenti, ed anzitutto nel
Vangelo. Cosí come la Chiesa continuamente ce lo presenta, questo
Vangelo ci basta. Solo che, sempre nuovo, esso deve essere sempre
ritrovato. I migliori tra quelli che ci criticano, sanno qualche
volta apprezzarlo meglio di noi. Essi non gli rimproverano le sue
pretese debolezze; rimproverano a noi di non sapere sfruttare
abbastanza la sua forza. Sapremo noi comprendere la lezione?
Signore,
se il mondo è sedotto da tanti fascini, se oggi esso conosce un cosí
disonorevole ritorno del paganesimo, è perché noi abbiamo lasciato
andare a male il sale della vostra dottrina. Signore, oggi come ieri,
come in ogni tempo, non c’è salvezza che in Voi – e chi siamo
noi che oseremo discutere e rivedere i vostri insegnamenti? –
Signore, preservateci da un tale inganno, ridateci se ce n’è
bisogno, non solo una fede sottomessa, ma la stima ardente e concreta
del vostro Vangelo.
Il
cristianesimo, se noi andiamo diritti all’essenziale, è la
religione dell’amore. “Dio è Amore, dice l’Apostolo Giovanni,
e chi resta nell’amore, resta in Dio e Dio resta in lui”. Ogni
migliore presa di coscienza della nostra fede, deve farcelo
comprendere meglio. Certamente noi non dobbiamo disconoscere nessuna
delle condizioni di questo amore e dei suoi fondamenti naturali, in
particolare della giustizia senza della quale non c’è vero amore,
di quella giustizia che oggi non viene men derisa che l’amore
stesso: dobbiamo diffidare di tutte le sue contraffazioni, siano esse
grossolane o sottili (oggi cosí numerose), o delle ricette troppo
facili per ottenerlo. Ma alla fine dei conti, tutto è per lui,
poiché è l’assoluto a cui tutto deve essere ordinato, in rapporto
al quale tutto deve essere giudicato. Ora, talvolta con assalti
violenti, qualche altra volta attraverso mille vie piú sottili, oggi
si cerca di rapirgli questo primato. Il prestigio della Forza si
insinua perfino in cuori cristiani, e ne caccia o almeno vi
diminuisce la stima dell’Amore. Contro questi assalti, lo Spirito
Santo ci comunichi il dono della Forza. Ma contro gli attacchi piú
insidiosi, che ci comunichi anche il dono della Sapienza per farci
comprendere in che cosa consiste la Forza cristiana. Questa non è da
mettersi accanto o di fronte all’Amore, come un antagonista: essa
deve essere coltivata al suo servizio.
Nello
stato attuale del mondo, un cristianesimo virile e forte, deve
giungere al punto di essere un cristianesimo eroico. Ma questo
epiteto è una qualifica, non una definizione, in questo caso sarebbe
una falsificazione. Soprattutto questo eroismo non consisterà nel
parlare sempre di eroismo e delirare sulla virtú della forza – ciò
che dimostrerebbe forse che si subisce l’ascendente di uno piú
forte e che si è incominciato a cedere. Esso consisterà anzitutto
nel resistere con coraggio, in faccia al mondo, e forse contro se
stessi, alle attrattive e seduzioni di un falso ideale, per mantenere
fieramente nella loro paradossale intransigenza i valori cristiani
minacciati e derisi. Resistere con una fierezza umile, poiché se il
cristianesimo può e deve assumere le virtú del paganesimo antico,
il cristiano che vuole restare fedele non può e non deve che
respingere con un “no” categorico un neo-paganesimo
che si è costituito contro il Cristo. La dolcezza, la bontà, la
delicatezza verso i piccoli, la pietà – sí, la pietà – verso
quelli che soffrono, il rifiuto dei mezzi perversi, la difesa degli
oppressi, la oscura dedizione, la resistenza alla menzogna, il
coraggio di chiamare il male con il suo nome, l’amore della
giustizia, lo spirito di pace e di concordia, l’apertura d’animo,
il pensiero del cielo... ecco ciò che sarà salvato dall’eroismo
cristiano, il quale farà veder che tutta questa “morale di
schiavi” è una morale di uomini liberi, e che solo essa può fare
l’uomo libero.
Non
è mai stato promesso ai cristiani che sarebbero stati sempre i piú
numerosi. (Piuttosto è stato loro annunciato il contrario). Neppure
che essi sarebbero apparsi sempre i piú forti, né che gli uomini
mai sarebbero stati conquistati da altro ideale che il loro. Ma in
ogni caso il cristianesimo non avrà mai reale efficacia, non avrà
mai esistenza reale, e non riuscirà mai a fare delle reali conquiste
che colla forza del suo proprio spirito: con la forza della
carità.
H. De Lubac, Il dramma dell’umanesimo ateo
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