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Il cielo in una stanza

di Manuel Versari


Le politiche sociali servono a promuovere e garantire l’integrazione e la convivenza, perché siano rispettati tutti i diritti dell’uomo.
È un fatto importante che persone di altre culture, con altre storie, siano arrivate da noi.
Ciò cambierà - anzi lo ha già fatto, ma i comportamenti di tante persone mi fanno capire che non se ne sono resi conto tutti forse- la nostra storia e la loro, arricchirà la nostra cultura e la loro, nella misura in cui sapremo convivere, confrontarci e crescere assieme come uomini. Per cui loro hanno bisogno di noi e noi di loro!


La nostra popolazione fino a poco tempo fa viveva in una particolare compattezza di stirpe, di lingua, di cultura, di religione. Ora la facilità delle comunicazioni, la globalizzazione dei rapporti culturali ed economici sta provocando cambiamenti radicali sul pianeta. Tutti sono cittadini di tutto il mondo! Questa prospettiva porterà a benèfici risultati se ci si farà guidare dalle norme che tutelano la libertà di tutti e di ciascuno, e gli istituti fondamentali della società: matrimonio, famiglia, democrazia, religione ecc… .
La società multietnica e multiculturale deve fondarsi su valori veracemente universali.
Le diversità sono una ricchezza quando favoriscono la “convergenza”, ma i particolarismi, nella misura in cui creano chiusure, nuocciono alla convivenza comune. Questo è da tenere presente da tutti e per tutti.

La famiglia (come primo luogo di socializzazione), cellula della società, è chiamata anche ad educare alla vita sociale: al rispetto, anzi all’amore verso tutte le persone, per quanto “diverse”; al dialogo sincero, che non è appiattimento sul relativismo; al senso di responsabilità verso il bene comune; all’assunzione di responsabilità in sincero spirito di servizio. I rapporti che si instaurano in un clima cooperativo e solidale superano le divisioni ideologiche, spingendo alla ricerca di ciò che unisce al di là di quanto divide.

La scuola (come secondo luogo di socializzazione), verrebbe meno a uno dei suoi compiti fondamentali se, ad esempio, separasse i bambini extra-comunitari da quelli italiani.
Facendo ciò, infatti, separerebbe, anzi spezzerebbe la socializzazione, non facendo incuriosire i bambini nel conoscere le proprie “differenze” di cultura, religione e soprattutto non mostrando che dietro a tante differenze c’è una cosa ancora più grande che ci unisce tutti: la natura umana che appartiene ad ognuno di noi nello stesso modo! È il nostro egoismo che porta solo alla dissipazione dell’essere “uomini”, al razzismo, al consumismo, alla noncuranza della vita e della sua dignità!
L’insegnante, così come l’educatore, non può cambiare la persona che incontra! Le storie delle persone che incontra, per cui lavora, sono date, immodificabili. Quello che l’insegnante/educatore può cambiare sono i legami che la persona intrattiene con il mondo esterno, delle cose e delle persone.

Un’altra cosa che vorrei dire, è che c’è un’economia sommersa di bontà, che sfugge a ogni rilevamento strategico e a tutti i censimenti tesi a esorcizzare le paure.
C’è un arsenale incredibile di strumenti di pace, al cui confronto l’accumulo delle testate nucleari sembra appena il grumo di terriccio scavato dalle formiche in tempo d’estate. Chi può misurare l’opera “devastante” delle innumerevoli maestre/i di scuole materne ed elementari che, con straordinaria competenza e convinzione, stanno mettendo in atto mille strategie di educazione alla pace?
Chi ce la fa a misurare la quota di rinnovamento mentale che sta scuotendo le coscienze di noi giovani, e le mobilità contro l’ideologia militarista, che fa preludere a tempi in cui il sogno della pace non sarà più un’utopia ma diventerà realtà?

“Il cielo in una stanza” deve divenire lo slogan morale di ogni uomo coraggioso e di buona volontà che si batte per la pace e la tolleranza. Oggi non possiamo più vivere nel guscio rassicurante del nostro cortile. O isolarci nei recinti delle piazzole paesane/cittadine. O chiuderci nell’ovatta sentimentale del nostro piccolo mondo.
La terra è diventata un villaggio globale! Aprirsi alla mondialità significa educarsi alla convivialità delle differenze. Non solo accogliendo “in casa propria” il marocchino, l’albanese (o chicchessia), l’emarginato, il diverso, ma, soprattutto, facendolo “sedere a tavola con te”, cioè, dandogli specialmente l’aiuto per partire a ri-cominciare una vita dignitosa e garantendogli la possibilità di costruirsi un futuro che rimanga, che possa formare radici.
 
Ognuno di noi HA PAURA delle cose che non conosce…c’è poco da fare o da stupirsi, è normale! Nella storia è sempre stato così, perché siamo sempre stati abituati a “classificarci”, non guardando in realtà all’unica cosa che non potrà mai cambiare: il nostro essere UOMINI. Certo è difficile guardare ad una persona in quanto tale, senza aggiungerci i “dati” e la storia che ha dietro e che si fa suo bagaglio di vita, ma a mio avviso, è solo così che potremo ricordarci, o forse capire per la prima volta, che - come disse Einstein alla dogana - siamo (tutti) della razza umana! Sarà solo allora che avremo la forza, io per primo, di non restare ai margini impauriti a guardare, ma sapremo avere quello sguardo, quegl’occhi, che ormai solo i bambini tra di loro hanno; quegl’occhi che fanno vibrare un caldo sole che ti accarezza, e ti contagiano di quella pace e di quella sicurezza che cerchi in ogni dove. Sì…è così! Nella lucentezza degli occhi semplici ed estasiati, come quelli dei bambini, scorgi come d’incanto gli stessi occhi di chi veramente ti vuole bene ed è pronto ad aiutarti! Solo così cesseranno i tanti episodi di violenza psicologica e fisica. È naturale che questo cammino di crescita debba essere fatto da entrambe le persone/culture che si incontrano, tutto nel reciproco rispetto!

Penso che solamente agendo in questo modo c’accorgeremo che, anche nella sua diversità, l’altro, potrà cavare dalla sua bisaccia di pellegrino un pane, forse un po’ troppo duro per i nostri denti, ma capace finalmente di placare la nostra fame di umanità. E quando avremo sperimentato che il povero, il diverso, introdotto “a tavola con me” (farlo entrare cioè nella vita quotidiana della nostra società), ci avrà restituito alla gioia di vivere, allora il cielo entrerà davvero nella nostra stanza! Certamente cammini come questo, sono una conquista che richiede riflessione, e non è definitiva ma va coltivata costantemente. Però sono fiducioso, perché ognuno di noi ha la speranza di cambiare - anche solo nel suo piccolo - le cose, e “chi spera CAMBIA la storia” (Mons. A. Bello)!


Una mia collega dell’Università scrisse questa frase che vorrei regalare anche a voi:
“Non voglio vivere d’istinto, voglio essere protagonista della mia esistenza, razionalmente, e conscia di ogni mio comportamento”. E’ l’augurio che faccio ad ognuno di noi! Credo che vivremo da protagonisti, solamente quando capiremo che le nostre vite, quelle di tutti, sono vite dedicate alla vita.

(Manuel Versari)

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