Introduzione
«I
rapporti fra il Magistero e i teologi non solo [...] sono di somma
importanza ma debbono essere ritenuti, anche oggi, di grande
attualità» [1]. Nei testi che seguono si cercherà di illustrare il
rapporto tra il mandato, imposto al Magistero ecclesiastico, di
custode della divina Rivelazione e il compito affidato ai teologi di
studiare ed esporre la dottrina della fede [2].
Tesi
1
Per
Magistero ecclesiastico s’intende il compito d’insegnare che, per
istituzione di Cristo, è proprio del collegio episcopale o dei
singoli vescovi uniti col Sommo Pontefice in comunione gerarchica; si
dicono teologi quei membri della Chiesa che, per studi e per vita
vissuta nella comunità di fede della Chiesa, sono qualificati
nell’approfondire la Parola di Dio secondo il metodo scientifico
proprio della teologia, ed anche - in forza della missione canonica -
nell’insegnare.
Del
Magistero dei pastori, dei teologi o dottori e dei loro reciproci
rapporti, nel Nuovo Testamento e nella tradizione delle età
posteriori si parla in modo analogo, simile cioè ed insieme
dissimile; si ha una continuità insieme con modificazioni abbastanza
profonde. Nel decorso dei tempi si manifestano diverse forme concrete
di questi legami e rapporti scambievoli.
I.
Elementi comuni al Magistero e ai teologi nell’adempimento del
loro compito
Tesi
2
Benché
in maniera analogica e con modalità proprie all’uno e all’altro,
l’elemento comune dei compiti del Magistero e dei teologi è
«conservare, penetrare sempre più profondamente, esporre,
insegnare, difendere il sacro deposito della Rivelazione» [3] a
servizio del popolo di Dio e per la salvezza di tutto il mondo. Tale
servizio prima di tutto deve mettere al sicuro la certezza della
fede, cosa che vien fatta in maniera diversa dal Magistero e dai
teologi, senza tuttavia che si debba o si possa stabilire una netta
separazione.
Tesi
3
In
questo comune servizio reso alla verità sia il Magistero sia i
teologi sono egualmente vincolati:
1) dalla
Parola di Dio, perché «il Magistero non è superiore alla Parola di
Dio, ma ad essa serve, insegnando soltanto ciò che è stato
trasmesso, in quanto [...] piamente ascolta, saggiamente custodisce e
fedelmente espone quella Parola, e da questo unico deposito della
fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio»
[4]; e perché «la sacra teologia si basa come su un fondamento
perenne sulla Parola di Dio scritta, insieme con la Sacra Tradizione,
e in quella vigorosamente si consolida e ringiovanisce sempre,
scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di
Cristo» [5].
2) dal
sensus fidei della Chiesa dei tempi passati e di oggi. Infatti
la Parola di Dio è presente ad ogni epoca nel comune sensus
fidei di tutto il popolo di Dio, nel quale «l’universalità
dei fedeli, che hanno l’unzione dal Santo, non può sbagliarsi»
[6], in modo che «nel ritenere, praticare e professare la fede
trasmessa concordino i presuli e i fedeli» [7];
3) dai
documenti della tradizione, attraverso i quali viene proposta la fede
comune del popolo di Dio. Benché di fronte a tali documenti siano
diversi i compiti del Magistero e dei teologi, tuttavia né questi né
quello possono non tenere in considerazione queste vestigia della
fede lasciate lungo la storia della salvezza del popolo di Dio;
4) dalla
cura pastorale e missionaria verso il mondo, nell’esercizio
del loro compito. Benché il Magistero del Sommo Pontefice e dei
vescovi venga considerato per sua natura pastorale, tuttavia il
carattere scientifico del lavoro dei teologi non li dispensa dalla
responsabilità pastorale e missionaria, tanto più che - ad opera
dei moderni strumenti della comunicazione sociale - anche le ricerche
scientifiche vengono messe alla portata del pubblico con grande
rapidità. Inoltre la teologia, in quanto funzione vitale nel e per
il popolo di Dio, deve avere un intento e un effetto pastorale e
missionario.
Tesi
4
Comune
- benché diversa - è la maniera insieme collegiale e personale con
cui viene esercitata la funzione del Magistero e dei teologi. Ciò
che, con il carisma dell’infallibilità, è promesso
all’«universalità dei fedeli» [8] e al collegio dei vescovi in
comunione col Successore di Pietro, e allo stesso Sommo Pontefice in
quanto capo di quel collegio [9], dev’essere tradotto in pratica
attraverso l’unione corresponsabile, fattiva e collegiale dei
membri del Magistero e dei singoli teologi. Ciò deve verificarsi sia
tra i membri del Magistero sia tra gli stessi teologi, ed anche tra
il Magistero da una parte e i teologi dall’altra, salva tuttavia
l’indispensabile responsabilità personale dei singoli teologi,
senza la quale la scienza, anche quella della fede, non progredisce
mai.
II.
Fermi gli elementi che hanno in comune, in che cosa differiscono il
Magistero e i teologi
Tesi
5
Anzitutto
bisogna parlare della diversità delle funzioni proprie del Magistero
e dei teologi:
1.
È compito del Magistero difendere autoritativamente l’integrità
cattolica e l’unità della fede e dei costumi. Da ciò derivano
alcune funzioni peculiari, le quali, anche se a prima vista sembrano
presentare un carattere piuttosto negativo, costituiscono tuttavia un
ministero positivo per la vita della Chiesa, e cioè «l’ufficio di
interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa»
[10]; la condanna di opinioni pericolose alla fede e ai costumi
propri della Chiesa; l’insegnamento di verità più attuali nel
presente tempo; benché non sembri che spetti al Magistero proporre
sintesi teologiche, tuttavia per tutelare l’unità esso deve
considerare le singole verità alla luce della totalità, in quanto
l’inserimento di ciascuna verità nell’insieme appartiene alla
verità stessa.
2.
La funzione dei teologi è in certo modo mediatrice tra il Magistero
e il popolo di Dio; infatti «la teologia ha una duplice relazione
con il Magistero della Chiesa e con l’intera comunità cristiana.
Essa è, in certa misura, mediatrice tra la fede della Chiesa e il
Magistero» [11]. Da una parte la teologia «nell’ambito di ogni
grande territorio socio-culturale [...] alla luce della Tradizione
della Chiesa universale» sottopone «a una nuova investigazione i
fatti e le parole rivelati da Dio che si trovano nella Sacra
Scrittura e sono spiegati dai Padri e dal Magistero ecclesiastico»
[12], dal momento che «gli studi recenti e le nuove scoperte delle
scienze, della storia e della filosofia suscitano nuovi problemi, che
[...] esigono anche dai teologi nuove indagini» [13]. In tal modo la
teologia «aiuta il Magistero ad essere sempre luce e guida della
Chiesa, pienamente all’altezza del compito» [14]. Dall’altra
parte i teologi, mediante il loro lavoro di interpretazione, di
dottrina, di presentazione secondo la mentalità propria del loro
tempo, collocano la dottrina e i richiami del Magistero in una
sintesi di più ampio respiro, permettendo una migliore conoscenza da
parte del popolo di Dio. Così «collaborano a diffondere, ad
illustrare, a giustificare, a difendere la verità autorevolmente
insegnata dal Magistero» [15].
Tesi
6
Diverso
è anche il tipo di autorità, in forza della quale il Magistero e i
teologi esercitano il loro ufficio:
1.
Il Magistero deriva la propria autorità dall’ordinazione
sacramentale, la quale «conferisce pure, coll’ufficio di
santificare, gli uffici di insegnare e governare» [16]. Questa
«formale autorità», come vien chiamata, è insieme carismatica e
giuridica, e costituisce il fondamento del diritto e del dovere del
Magistero, in quanto è partecipazione della autorità di Cristo.
Bisogna fare attenzione che l’autorità ministeriale venga
praticamente esercitata insieme con quell’autorità che promana
dalla persona e dalla stessa cosa proposta.
2.
I teologi hanno una propria autorità specificamente teologica
derivante dalla loro qualificazione scientifica, la quale tuttavia
non può venir separata dal carattere proprio di tale scienza, che è
scienza della fede, e che non si può esercitare senza una viva
esperienza e pratica della fede. Per tal motivo la teologia, nella
Chiesa, gode non solo di un’autorità profano-scientifica, ma anche
di una autorità veramente ecclesiale, inserite nella scala delle
autorità promananti dalla Parola di Dio e confermate da una missione
canonica.
Tesi
7
Una
certa differenza tra il Magistero e i teologi si ha anche nel modo
con cui sono legati alla Chiesa. È evidente che sia il Magistero sia
i teologi operano nella Chiesa e a vantaggio di essa. Tuttavia c’è
qualche differenza nel modo di tale ecclesialità.
1.
Il Magistero è un compito ecclesiale ufficiale conferito dallo
stesso sacramento dell’Ordine. Perciò, in quanto elemento
istituzionale della Chiesa, non può esistere se non nella Chiesa, sì
che i singoli membri del Magistero si servano della propria autorità
e dei sacri poteri soltanto per edificare il proprio gregge nella
verità e nella santità [17]. Ciò vale non solo per le Chiese
particolari a cui sono preposti, ma «in quanto membri del collegio
episcopale [...], per istituzione e precetto di Cristo ognuno di essi
è tenuto ad avere per tutta la Chiesa una sollecitudine, che [...]
contribuisce al bene della Chiesa universale» [18].
2.
La teologia, anche quando non è esercitata in forza di una peculiare
missione canonica, non può esplicarsi se non in viva comunione con
la fede della Chiesa. Perciò tutti i battezzati, in quanto da una
parte vivono con impegno la vita della Chiesa e dall’altra parte
godono d’una competenza scientifica, possono esercitare la funzione
di teologi, la quale riceve impulso dalla vita dello Spirito Santo
che è presente nella Chiesa, ed è comunicata con i sacramenti, con
la predicazione della Parola di Dio, e con la comunione di carità.
Tesi
8
Un
carattere particolare assume la differenza fra il Magistero e la
teologia se si considera la libertà loro propria e la funzione
critica che ne segue a riguardo dei fedeli, del mondo, anzi anche nei
loro reciproci riguardi:
1.
Il Magistero, per sua natura ed istituzione, è evidentemente libero
nell’esercizio del proprio compito. Questa libertà comporta una
grande responsabilità. Perciò spesso è difficile benché
necessario, adoperarla in modo tale che non appaia - ai teologi e
agli altri fedeli - arbitraria o troppo estesa. Tra gli stessi
teologi ve ne sono alcuni i quali esaltano più del dovuto la libertà
scientifica, non avvertendo come si dovrebbe che il rispetto verso il
Magistero appartiene esso pure agli elementi scientifici della
scienza teologica. Inoltre (l’odierna sensibilità democratica non
raramente provoca la solidarietà contro gli interventi compiuti dal
Magistero nell’esercizio del suo dovere di proteggere da ogni
detrimento la fede e i costumi. È tuttavia necessario, benché non
facile, trovare sempre un modo di procedere libero e forte, ma al
tempo stesso non arbitrario né tale da distruggere la comunione
nella Chiesa.
2.
Alla libertà del Magistero corrisponde, a suo modo, la libertà dei
teologi derivante da una vera responsabilità scientifica. Libertà
non illimitata, giacché - oltre ai suoi doveri verso la verità -
vale anche per essa che «nell’esercizio di tutte le libertà si
deve osservare il principio morale della responsabilità personale e
sociale» [19]. Il compito dei teologi di interpretare i documenti
presenti e passati del Magistero, inquadrandoli nel contesto di tutta
la verità rivelata e cercando di trovare una migliore comprensione
di essi col sussidio della scienza ermeneutica, comporta una funzione
in certo modo critica, ma positiva, non distruttiva.
Tesi
9
Nell’esercitare
i compiti del Magistero e dei teologi non raramente si riscontra
qualche tensione. Ciò non desta meraviglia, né è da sperare che
tale tensione possa mai essere pienamente risolta su questa terra.
Dovunque c’è vera vita lì c’è pure una tensione. Essa non è
inimicizia né vera opposizione, ma piuttosto una forza vitale ed uno
stimolo a svolgere comunitariamente ed in modo dialogico l’ufficio
proprio di ciascuno.
III.
In che modo, oggi, possono venir regolati i rapporti fra teologi e
Magistero
Tesi
10
Fondamento
e condizione di questo possibile dialogo fra teologi e Magistero è
la comune partecipazione alla fede della Chiesa e il servizio in
edificazione della Chiesa, in cui sono comprese le diverse funzioni
del Magistero e dei teologi. Quest’unità nella comunicazione e
nella partecipazione della verità da una parte precede - come unione
abituale - ogni dialogo concreto, e dall’altra parte la stessa
unità rimane fortificata e vivificata dai diversi rapporti di
dialogo. In tal modo il dialogo costituisce un eccellente aiuto
reciproco: il Magistero può acquistare una maggiore comprensione
delle verità di fede e di morale da predicare e difendere; la
comprensione teologica della fede e di costumi, fortificata dal
Magistero, acquista la certezza.
Tesi
11
Il
dialogo tra Magistero e teologi è limitato solo dal dovere di
conservare e di spiegare la verità di fede. Perciò da una parte a
questo dialogo si schiude il campo vastissimo della verità,
dall’altra parte questa verità dev’essere sempre investigata non
come qualcosa d’incerto o di completamente sconosciuto, bensì come
veramente rivelata ed affidata alla fedele custodia della Chiesa.
Perciò il dialogo ha i suoi confini là dove vengono toccati i
confini della verità di fede.
Questo
fine del dialogo - essere cioè al servizio della verità - non
raramente viene messo in pericolo. In modo particolare la possibilità
di dialogo viene coartata dai seguenti atteggiamenti: là dove il
dialogo viene strumentalizzato per un determinato fine in maniera
«politica», cioè esercitando pressioni e, in ultima analisi,
prescindendo dalla verità, è destinato a naufragare; colui che
occupa «unilateralmente» il terreno del dialogo, ne viola le leggi;
il dialogo tra Magistero e teologi viene soprattutto violato quando,
abbandonato prima del tempo il piano della discussione e del
colloquio, si adoperano subito mezzi coercitivi, minacce e sanzioni;
lo stesso si dica quando la discussione tra teologi e Magistero viene
condotta facendo ricorso ad una pubblicità non sufficientemente
informata, sia dentro sia fuori della Chiesa, con pressioni esterne
che hanno un notevole influsso (mass media).
Tesi
12
Prima
della formale apertura d’un processo dottrinale, l’autorità
competente deve esaurire tutte le ordinarie possibilità di
raggiungere un consenso per via di dialogo per chiarire un’opinione
dubbia (per esempio: colloquio personale, corrispondenza epistolare
con domande e risposte). Se con queste forme di dialogo non si riesce
a raggiungere nessuna vera intesa, il Magistero deve adoperare un
ampio e flessibile apparato di risposta, a cominciare dalle varie
forme di ammonimento, di «sanzioni verbali», ecc. In caso
gravissimo, il Magistero - interrogati teologi di diverse scuole ed
esaurita ogni possibilità di dialogo - è obbligato da parte sua a
difendere la verità lesa e la fede del popolo credente.
Secondo
le regole classiche, il fatto dell’«eresia» non può essere
definitivamente sancito, a meno che il teologo accusato non abbia
dato prova di «pertinacia», sottraendosi, cioè, ad ogni colloquio
destinato a chiarire un’opinione contraria alla fede e praticamente
rifiutando il dialogo. Questo fatto dev’essere accertato solo
adoperando tutte le regole ermeneutiche del dogma e le qualificazioni
teologiche. In tal modo anche nel caso di decisioni inevitabili può
essere rispettata una vera correttezza morale (ethos) rispondente ad
un procedimento di carattere dialogico.
*
Testo delle tesi circa il mutuo rapporto fra Magistero ecclesiastico
e teologia, approvate «in forma specifica» dalla Commissione
Teologica Internazionale.
[1]
Paolo VI, Allocuzione al Congresso Internazionale di Teologia
del Concilio Vaticano II(1° ottobre 1966), in AAS 58
(1966) 890.
[2]
Cf. Paolo VI, l.c.
[3]
Paolo VI, l.c., 891.
[4]
Cost. Dei Verbum, n. 10.
[5] Ivi,
n. 24.
[6]
Cost. Lumen Gentium, n. 12.
[7]
Cost. Dei Verbum, n. 10.
[8]
Cost. Lumen Gentium, n. 12.
[9]
Cost. Lumen Gentium, n. 25.
[10]
Cost. Dei Verbum, n. 10.
[11]
Paolo VI, l.c., 892.
[12]
Decr. Ad Gentes, n. 22.
[13]
Cost. Gaudium et Spes, n. 62.
[14]
Paolo VI, l.c., 892.
[15]
Paolo VI, l.c., 891.
[16]
Cost. Lumen Gentium, n. 21.
[17]
Cf. Cost. Lumen Gentium, n. 27.
[18]
Cost. Lumen Gentium, n. 23.
[19]
Dich. Dignitatis Humanae, n. 7.
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