Il monaco affetto dalla
tristezza non conosce il piacere spirituale: la tristezza è un abbattimento
dell'anima e si forma dai pensieri dell'ira. Il desiderio di vendetta, infatti,
è proprio dell'ira, l'insuccesso della vendetta genera la tristezza; la
tristezza è la bocca del leone e facilmente divora colui che si rattrista. La
tristezza è un verme del cuore e mangia la madre che l'ha generato. Soffre la
madre quando partorisce il figlio, ma, una volta sgravata, è libera dal dolore;
la tristezza, invece, mentre è generata, provoca lunghe doglie e,
sopravvivendo, dopo i travagli, non porta minori sofferenze. Il monaco triste
non conosce la letizia spirituale, come colui che ha una forte febbre non
avverte il sapore del miele. Il monaco triste non saprà muovere la mente verso
la contemplazione né sgorga da lui una preghiera pura: la tristezza è un
impedimento per ogni bene. Avere i piedi legati è un impedimento per la corsa,
così la tristezza è un ostacolo per la contemplazione. Il prigioniero dei barbari
è legato con catene e la tristezza lega colui che è prigioniero delle passioni.
In assenza di altre passioni la tristezza non ha forza come non ne ha un legame
se manca chi lega. Colui che è avvinto dalla tristezza è vinto dalle passioni e
come prova della sconfitta viene addotto il legame. Infatti la tristezza deriva
dall'insuccesso del desiderio carnale poiché il desiderio è congiunto a tutte
le passioni. Chi vincerà il desiderio vincerà le passioni e il vincitore delle
passioni non sarà sottomesso dalla tristezza. Il temperante non è rattristato
dalla penuria di cibo, né il saggio quando raggiunge una folle dissolutezza, né
il mansueto che tralascia la vendetta, né l'umile se è privato dell'onore degli
uomini, né il generoso quando incorre in una perdita finanziaria: essi
evitarono con forza, infatti, il desiderio di queste cose: come infatti colui
che è ben corazzato respinge i colpi, così l'uomo privo di passioni non è
ferito dalla tristezza.
Evagrio Pontico, Antirrhetikos. Gli otto spiriti malvagi
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