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La voce della coscienza contro la violenza delle armi: Pio VII e Napoleone


Non possiamo. Non dobbiamo. Non vogliamo”

Papa di compromesso, Pio VII pose fra i suoi obiettivi prioritari il ristabilimento del cattolicesimo in Francia. Il suo spirito di conciliazione si accordava con i disegni stabilizzatori del primo console Napoleone, preoccupato di ricomporre il conflitto fra Chiesa e Stato, perché potesse giovare alla pace civile e al ritorno all'ordine, e di restaurare a proprio profitto, in un nuovo equilibrio, il precedente concordato di Bologna (1516). Le prime aperture di Bonaparte (in un discorso pronunciato di fronte al clero milanese il 5 giugno) furono contemporanee alla battaglia di Marengo (14 giugno 1800) e al ristabilimento della dominazione francese nell'Italia settentrionale. L'anziano cardinale Martiniana, vescovo di Vercelli, svolse in un primo tempo il ruolo di intermediario, poi Pio VII inviò a Parigi due negoziatori: il prelato Giuseppe Spina, arcivescovo di Corinto ed esecutore testamentario di Pio VI, assistito dal teologo servita Carlo Francesco Caselli, consultore del Sant'Uffizio. A Parigi, nella massima segretezza, i legati intrapresero a partire dal 15 novembre una laboriosa trattativa con il ministro delle relazioni estere Talleyrand, già vescovo di Autun, e l'abate Bernier, abile negoziatore della pacificazione della Vandea nel 1795. Di fronte all'incagliarsi delle trattative Cacault, ambasciatore di Francia a Roma, convinse il cardinale Consalvi a recarsi di persona a Parigi: giunto in città il 20 giugno, questi riuscì non senza difficoltà a siglare un accordo il 15 luglio 1801 (26 messidoro dell'anno IX). Il bilancio di questo breve testo che si compone di un preambolo e diciassette articoli, aspramente negoziato per otto mesi, è contrastante: rappresenta al contempo una notevole concessione della Santa Sede ai principi religiosi scaturiti dalla Rivoluzione, il ristabilimento della "concordia" fra Chiesa e Stato e delle principali garanzie per l'esercizio del culto, un vero "colpo di Stato" messo a segno a discapito dell'antica Chiesa gallicana e, a più lungo termine, un formidabile rafforzamento dell'autorità del papato sulle Chiese particolari.
Il cardinale Consalvi dovette abbandonare il principio che, sotto la vecchia monarchia, faceva della "religione cattolica, apostolica e romana" la religione "del Re e del regno". Ora il cattolicesimo non era altro che "la religione della grande maggioranza [maxima pars] dei cittadini francesi": formula prettamente statistica, e non giuridica, che metteva in rapporto la situazione della religione cattolica al numero dei fedeli divenuti ormai "cittadini". Si menziona nondimeno la "professione particolare" fatta dai tre consoli, clausola che salvaguarda in certa misura l'appartenenza individuale del capo del governo francese alla religione cattolica. Tramite questo dispositivo la libertà di coscienza e di culto delle minoranze protestante ed ebrea è garantita da qualsiasi impedimento di natura giuridica, mentre lo Stato, in quanto istituzione secolarizzata, afferma implicitamente la propria neutralità religiosa. Per converso la Chiesa cattolica recupera la sua gerarchia, le sue chiese e le sue rendite: le principali disposizioni del concordato di Bologna sono riconfermate a beneficio del primo console, e la Chiesa costituzionale dell'"abbé" Grégoire viene abbandonata quasi interamente dallo Stato che l'aveva creata. I vescovi saranno nominati dal governo e preconizzati dalla Santa Sede che conferisce loro l'istituzione canonica; lo Stato si assume l'onere del trattamento del clero, ormai stipendiato, e gli restituisce gli edifici religiosi non alienati; il clero è tenuto a prestare giuramento di fedeltà al governo. La Chiesa gallicana era annientata: il papa esigeva dal vecchio episcopato dimissioni collettive prima di procedere alla riorganizzazione delle circoscrizioni ecclesiastiche e alle nuove nomine; riconosceva ugualmente ai loro acquirenti la proprietà dei beni ecclesiastici alienati. Questo sconvolgimento "inaudito" (protestarono i vescovi gallicani) manifestava anche l'onnipotenza della giurisdizione pontificia che si appoggiava al potere pubblico: Pio VII , "vescovo dei vescovi", aveva negoziato di sua autorità le condizioni del ristabilimento del cattolicesimo in Francia concludendo un compromesso duraturo con lo Stato scaturito dalla Rivoluzione; la sua opera si distingueva come un atto di restaurazione religiosa e di affermazione ecclesiologica. La determinazione dimostrata da Pio VII e da Consalvi nell'applicazione pratica dei termini dell'accordo siglato il 15 luglio 1801 appare altrettanto sorprendente: consolidava un'intesa fra Roma e la Francia che nel 1804 culminava nella consacrazione di Napoleone I da parte del papa nella chiesa di Notre-Dame a Parigi. Durante i negoziati Pio VII aveva respinto risolutamente le pressioni ostili dell'imperatore d'Austria e del re di Napoli, liquidando senza eccessivi riguardi anche le opinioni del cardinale Maury, rappresentante del pretendente al trono di Francia Luigi XVIII. Di ritorno a Roma il 9 agosto, Consalvi, con l'appoggio del papa ottenne l'assenso della Congregazione generale degli Esteri di Francia, a dispetto delle reticenze dei cardinali Antonelli e Albani di fronte all'ampiezza delle concessioni accordate dal pontefice. Il 15 agosto 1801 Pio VII ratificò l'accordo, lo rese noto al mondo cattolico con l'enciclica Ecclesia Christi e pubblicò lo stesso giorno il breve Tam multa, che esigeva dai titolari delle diocesi francesi le dimissioni dalla propria sede per il bene della Chiesa: su centosette vescovi dell'"Ancien Régime" ancora in vita, cinquantadue le rassegnarono nelle mani del papa, mentre quarantacinque rifiutarono di farlo (secondo le cifre fornite da J. Leflon). Quanto ai vescovi costituzionali (riuniti in concilio nazionale a Parigi), furono tutti costretti alle dimissioni dallo Stato, ma evitarono la ritrattazione adottando una formula-tipo. Il 24 agosto l'anziano cardinale Caprara, uomo di natura eminentemente conciliante che era stato nunzio a Vienna presso l'imperatore Giuseppe II, fu inviato a Parigi come legato "a latere", provvisto di poteri assai estesi, allo scopo di procedere alla riorganizzazione della Chiesa e alla riconciliazione del clero e dei fedeli a conclusione di dieci anni di rivoluzioni: fu un "papa a domicilio" (Pio VII de la Gorce). Il 5 settembre Caprara lasciò Roma (con i futuri cardinali Sala, in qualità di segretario della legazione, e Mazio, come ciambellano) per stabilirsi il 4 ottobre a Parigi, dove negoziò con il nuovo "direttore dei Culti", il consigliere di Stato Portalis, di spirito legista e gallicano, l'insieme delle questioni relative all'applicazione del concordato. Bonaparte ratificò a sua volta l'accordo a Parigi l'8 settembre e Pio VII pubblicò il concordato in Concistoro il 28 dello stesso mese. Il 29 novembre 1801, la bolla Qui Christi Domini rimaneggiò la carta ecclesiastica della Francia, sopprimendo le centotrentacinque diocesi dell'"Ancien Régime" e istituendo un'ampia rete articolata in dieci arcidiocesi e cinquanta diocesi per una Francia che, all'epoca, si estendeva fino alle Alpi e lungo tutta la riva sinistra del Reno. Nell'inverno 1801-1802 Bonaparte effettuò le proprie scelte nominando un episcopato "misto", composto di sedici vescovi dell'"Ancien Régime", dodici vescovi costituzionali, dai quali il papato non riuscì ad ottenere una vera e propria abiura, e trentadue promossi, fra cui l'"abbé" Fesch, zio di Bonaparte, che era stato prete giurato e ora era eletto arcivescovo di Lione e primate della Gallia. Nelle relazioni conflittuali fra Roma e Parigi sembrava fosse stata voltata pagina: dietro pressante richiesta di Pio VII , monsignor Spina riceveva l'incarico di rimpatriare le spoglie di Pio VI; esumata il 25 dicembre 1801, la salma del pontefice lasciava Valence l'11 gennaio e raggiungeva Roma via mare; le solenni esequie si svolsero a S. Pietro il 17 e 18 febbraio 1802; una statua di Canova, posta al centro della cripta dei papi, esaltava per i posteri la figura del "papa martire" della Rivoluzione francese. Lo "spirito" del concordato fu soggetto comunque ad un brusco raffreddamento in seguito alla promulgazione unilaterale, da parte del governo francese, di disposizioni regolamentari particolarmente rigide note con il nome di Articles organiques du culte catholique. I settantasei "articoli organici", opera di Portalis, fissarono limiti rigorosi alla libertà di comunicazione del papa con la Chiesa di Francia (autorizzazione governativa per la pubblicazione degli atti pontificali, indipendenza dell'episcopato nei confronti del nunzio, obbligo di insegnare nei seminari la Dichiarazione del clero di Francia del 1682), alla libertà del clero e a quella di culto nel suo complesso. Le vibranti proteste di Pio VII rimasero inascoltate. Il concordato propriamente detto, insieme agli Articles organiques du culte catholique e agli Articles organiques des cultes protestants, fu presentato con successo da Portalis, come una legge unica, di fronte al Consiglio di Stato e alle assemblee create dalla Rivoluzione, il Tribunato e il Corpo legislativo (epurati in anticipo dei loro elementi più critici). La legge che per oltre un secolo presiedé all'assetto giuridico del cattolicesimo e del protestantesimo in Francia (i decreti relativi al culto israelita furono emanati nel 1808) fu adottata l'8 aprile 1802 (18 germinale dell'anno X) e solennemente promulgata a Parigi il 18 aprile, giorno di Pasqua: il 14 aprile vide la luce Le Génie du Christianisme di R. de Chateaubriand, che aprì la strada ad una rinnovata apologetica del cattolicesimo in conflitto con lo spirito dell'Illuminismo. Un anno più tardi, il 6 aprile 1803, trentotto vescovi dell'"Ancien Régime" non dimissionari si fecero portavoci di un'estrema, solenne protesta contro le modalità e gli effetti della riorganizzazione concordataria: due di loro, monsignor Thémines, vescovo di Blois, e monsignor de Coucy, vescovo di La Rochelle, crearono una Chiesa anticoncordataria o "Piccola Chiesa", separata da Roma, che soprattutto nella parte occidentale della Francia e nella regione di Lione riuscì ad aggregare diverse migliaia di fedeli. Questo nuovo scisma, insieme ai molteplici attriti che si manifestarono nella fase di attuazione della Chiesa concordataria, non compromise tuttavia il clima straordinariamente caloroso dei rapporti fra Pio VII e Bonaparte, divenuto successivamente console a vita e imperatore dei Francesi. Il 17 gennaio 1803 il papa promosse quattro cardinali francesi (de Boisgelin, de Belloy, Cambacérès e Fesch); l'8 aprile il cardinale Fesch, zio del primo console, fu nominato ambasciatore a Roma (con Chateaubriand in veste di effimero segretario d'ambasciata): infine, il 29 ottobre 1804, Pio VII accettò l'invito di Napoleone di recarsi a Parigi per celebrare la sua incoronazione in Notre-Dame, un gesto che il futuro Luigi XVIII non perdonò al papa.
Partito da Roma il 2 novembre accompagnato da molti cardinali (Antonelli, di Pietro, Braschi, Caselli, Bayane e Fesch) e da un seguito illustre (fra cui l'erudito abate Cancellieri), Pio VII fu acclamato lungo tutto il percorso del suo viaggio attraverso l'Italia e la Francia. Il quadro (molto "ritoccato") di J.-L. David conserva la memoria dell'incoronazione avvenuta il 2 dicembre 1804, con il papa che assiste silenzioso all'autoconsacrazione di Napoleone e poi di Giuseppina (alla quale il primo si univa in matrimonio, per l'occasione, di fronte alla Chiesa) ad opera dell'imperiale sposo. Pio VII prolungò il soggiorno a Parigi fino al 4 aprile: continuò a negoziare senza troppo successo con l'imperatore e i suoi ministri, tenne Concistoro il 1° febbraio e il 22 marzo, visitò chiese, ospedali e musei (Visconti gli fece ammirare nel Louvre le collezioni sottratte a Roma con il trattato di Tolentino); ricevette un'entusiastica accoglienza nel Faubourg St-Antoine, quartiere popolare che era stato culla della Rivoluzione. Nel viaggio di ritorno il papa effettuò una lunga sosta a Lione, dove celebrò gli uffici della Settimana santa (un importante testo del filosofo Ballanche ne perpetua la memoria), poi si diresse di nuovo verso l'Italia. Il lungo periplo di Pio VII , che appare una replica più felice del viaggio di Pio VI a Vienna, segnò, all'indomani della Rivoluzione, l'affermazione di un "carisma pontificale" che seppur privo di conseguenze politiche immediate o di effetti religiosi durevoli sulle popolazioni, trasformò tuttavia in profondità, nell'età democratica delle moltitudini, le relazioni del pontefice romano con le masse cattoliche. Il viaggio di ritorno a Roma si concluse con un'entrata trionfale in città, il 16 maggio 1805, che si prolungò il 26 giugno in una calorosa allocuzione concistoriale. Gli anni 1802-1806, nella scia del successo del concordato francese, compendio e modello di un nuovo tipo di rapporto fra la Chiesa e le nazioni "rivoluzionate" dell'Europa occidentale, segnarono una fase di un'offensiva di grande portata da parte della Santa Sede. Il 27 novembre 1801 Pio VII mandò il cardinale Caprara a Parigi per negoziare un concordato con il rappresentante della nuova Repubblica italiana, Marefoschi. Nella costituzione della Repubblica, promulgata il 26 gennaio 1802 da Bonaparte in seguito alla consulta di Lione, il cattolicesimo fu la religione del nuovo Stato (art. 1). Il concordato italiano del 16 settembre 1803 (ventuno articoli), che non fece parola delle Legazioni annesse, era più favorevole alla Santa Sede del concordato francese (da cui riprese i dispositivi relativi alla nomina e all'investitura dei vescovi, nonché l'obbligo di prestare giuramento al governo): il cattolicesimo fu confermato nel suo statuto di religione di Stato; i beni della Chiesa non alienati furono restituiti al clero; la legislazione religiosa precedente fu abolita (art. 21). Tuttavia, il vicepresidente della Repubblica italiana Melzi d'Eril, influenzato dalla tradizione giuseppina, ne attenuò la portata abbinandolo, all'atto della sua promulgazione a Milano il 24 gennaio 1804, ad un "decreto relativo all'applicazione del trattato", che ristabilì la preminenza della legge civile sul concordato. Le indignate proteste di Pio VII (4 agosto e 28 settembre 1804) restarono inascoltate, come pure le rimostranze seguite all'introduzione del Codice civile (compreso il divorzio) nel Regno d'Italia, l'8 giugno 1805. Pio VII abbozzò anche un progetto di concordato per contrastare la secolarizzazione dell'Impero germanico. Il trattato di Lunéville (9 febbraio 1801), che riconosceva alla Francia l'annessione della riva sinistra del Reno, prevedeva infatti di risarcire i principi tedeschi espropriati con i beni e i Principati ecclesiastici dell'Impero: questa soluzione - che comportò l'estinguersi delle proprietà della Chiesa in terra tedesca - fu ratificata dalla Dieta di Ratisbona il 25 gennaio 1803 e confermata dall'imperatore Francesco II il 28 aprile. Il papa esternò la sua preoccupazione sia all'imperatore Francesco II (brevi del 27 giugno 1801 e del 29 gennaio 1803) che al primate Dalberg, già principe elettore di Magonza, arcivescovo di Ratisbona e arcicancelliere dell'Impero, adoperandosi affinché venisse avviato un negoziato complessivo che conducesse ad un "concordato dell'Impero" ("Reichskonkordat"). Le trattative, nelle quali Dalberg assunse un ruolo determinante ed ambiguo, coinvolsero i principi tedeschi nella loro totalità e in un primo tempo si svolsero a Vienna nel corso del 1803, fra il nunzio Severoli e il consigliere referendario Franck. In seguito i negoziati furono ripresi non a Parigi, come aveva auspicato Napoleone all'epoca della sua incoronazione, ma a Ratisbona dal nunzio di Monaco, Annibale della Genga (futuro Leone XII), che presentò tardi le sue lettere credenziali alla Dieta, il 26 giugno 1806, ma dovette ritirarsi nell'autunno 1807. Il progetto non riuscì a decollare sia a causa delle aspirazioni contraddittorie dell'Austria e dei principi (Baviera, Württemberg), sia delle ambizioni crescenti di Napoleone, vittorioso sull'Austria ad Austerlitz nel 1805 e sulla Prussia a Jena nel 1806. Il fallimento del "concordato dell'Impero" (il cui progetto fu ripreso senza successo da Consalvi al congresso di Vienna nel 1814-1815) aprì la strada a concordati particolari con gli Stati. La rottura tra la Francia e la Santa Sede si consumò al ritorno di Pio VII a Roma. La nuova "disputa fra sacerdozio e Impero" fu generata da un duplice conflitto, di natura politica e religiosa. L'ambizione di esercitare un dominio politico, militare ed economico sull'Europa indusse Napoleone ad organizzare un "blocco continentale" contro l'Inghilterra, destinato a soffocare l'economia britannica fondata sulle esportazioni. Alla luce di questo progetto la neutralità rivendicata dal governo pontificio era impensabile. Il 15 ottobre 1805 Ancona, il porto principale degli Stati pontifici, fu occupata dalle truppe francesi: Pio VII denunciava sdegnato questo "crudele affronto". Il 15 febbraio 1806 l'armata del generale Gouvion-Saint-Cyr fece il suo ingresso a Napoli, dopo aver attraversato senza autorizzazione gli Stati pontifici: i Borbone si rifugiarono in Sicilia e il Regno di Napoli fu sottoposto al governo di Giuseppe Bonaparte, poi del maresciallo Murat, cognato dell'imperatore; le due enclaves pontificie nel Regno erano sottratte al papa: Benevento era assegnata a Talleyrand, Pontecorvo a Bernadotte. Il porto di Civitavecchia fu presidiato nel maggio 1806. Napoleone pretese inoltre che fossero espulsi da Roma tutti i rappresentanti delle potenze che gli erano nemiche: "Vostra Santità è il sovrano di Roma, ma io ne sono l'imperatore. Tutti i miei nemici devono essere i vostri". Il 21 marzo Pio VII riaffermò solennemente la propria neutralità: "Noi, Vicario di questo Verbo che non è il Dio delle dispute, ma della concordia non possiamo opporci ai doveri che ci impongono di preservare la pace con tutti, senza distinzione di cattolici ed eretici". Il 10 aprile il cardinale Fesch fu richiamato a Parigi per essere sostituito nella carica di ambasciatore da Alquier, che era stato membro della Convenzione (e regicida). Il 17 giugno 1806 il cardinale Consalvi fu costretto alle dimissioni in seguito alle pressioni francesi. Pio VII , che conservava intatta la sua fiducia nel segretario di Stato, nominò successivamente cardinali prosegretari Filippo Casoni (giugno 1806), Giuseppe Doria Pamphili (febbraio 1808), Giulio Gabrielli (marzo 1808) e infine l'energico e intransigente Bartolomeo Pacca (18 giugno 1808). Il 10 novembre 1806 Napoleone convocò a Berlino il nunzio Arezzo per esigere l'adesione degli Stati pontifici al blocco continentale, sancito da un decreto in data 21 novembre, ma Pio VII rifiutò l'ingiunzione. Un ultimo tentativo di conciliazione fu intrapreso sotto l'egida del cardinale di Bayane, che era stato auditore francese del Tribunale della Rota, inviato a Parigi il 19 settembre 1807 per trattare con il ministro Champagny: ma contemporaneamente Napoleone fece occupare dalle sue truppe le Marche e l'Umbria. Il 9 novembre Pio VII revocò a Bayane i suoi poteri, ma senza arrivare ad una rottura definitiva. Il 21 gennaio l'imperatore ordinò l'occupazione di Roma: le truppe del generale Miollis invasero la città il 2 febbraio 1808. Il papa si considerò prigioniero nel suo palazzo del Quirinale e il 27 marzo si appellò al giudizio del "Re che è al di sopra dei re".
L'imperatore mise in atto, nello stesso tempo, una politica di deliberato asservimento della Chiesa ai suoi interessi temporali e spirituali. Il 19 febbraio istituì in tutti i territori dell'Impero un "san Napoleone", oscuro martire la cui festa venne fissata il 15 agosto, giorno in cui la Chiesa celebrava l'Assunzione. Il 12 aprile il concordato italiano fu esteso al Ducato di Lucca, assegnato a Elisa Bonaparte: Pio VII espresse una vibrante protesta che rimase inascoltata. Il 30 maggio 1806, con l'approvazione del debole cardinale Caprara, fu promulgato un Catechismo imperiale che esigeva dai fedeli "l'amore, il rispetto, l'obbedienza, la fedeltà, il servizio militare [e] i tributi imposti per la conservazione e la difesa dell'Impero". A questa Chiesa "napoleonizzata", in cui docili vescovi erano consacrati al ruolo di "prefetti viola", l'autorità del magistero pontificale era assoggettata agli interessi della dittatura imperiale, e una "teologia della guerra" era posta al servizio della politica francese di aggressione militare e di espansione territoriale in Europa, Pio VII , circondato da un Sacro Collegio intransigente in cui dominavano forti personalità come Consalvi, Pacca e di Pietro, si oppose con un desolato Non possumus. L'11 ottobre 1806 il papa rifiutò di accordare l'investitura canonica ai vescovi designati per occupare le sedi vacanti nel Regno d'Italia, rompendo con questo gesto il concordato. Nell'autunno 1807 vietò a Bayane di accettare la partecipazione dello Stato pontificio alla coalizione contro l'Inghilterra e l'aumento del numero dei cardinali francesi. Infine, a partire dal 1808, rifiutò l'investitura canonica ai vescovi nominati nelle diocesi dell'Impero: l'insieme dell'edificio concordatario era ormai compromesso. Il duplice conflitto spirituale e temporale trovò uno sbocco brutale nella soppressione degli Stati pontifici e nell'imprigionamento del papa. Il 23 marzo 1808, all'indomani dell'occupazione di Roma, il generale Miollis fece espellere quattordici cardinali non nativi dello Stato pontificio, tra cui il prosegretario di Stato Doria Pamphili, di origine genovese. Il 2 aprile le Marche furono annesse al Regno d'Italia. Il cardinale Gabrielli, il 19 maggio, pronunciò una solenne protesta a nome del papa, in seguito alla quale fu arrestato il 16 giugno e obbligato a risiedere nella sua diocesi di Senigallia. Il 6 settembre Pio VII dovette intervenire personalmente per far liberare il cardinale Pacca e insieme a lui si rinchiuse nel Quirinale. Infine, in un decreto firmato a Vienna il 17 maggio 1809, Napoleone ordinò l'annessione di Roma e dell'Umbria all'Impero perché formassero i dipartimenti del Tevere e del Trasimeno: il 10 giugno il vessillo pontificio fu ammainato al Quirinale. Nello stesso giorno Pio VII promulgò e fece affiggere sulle porte delle basiliche più importanti di Roma la bolla Quam memorandum, redatta dai cardinali Pacca e di Pietro: "Per l'autorità di Dio onnipotente, dei santi apostoli Pietro e Paolo, e nostra dichiariamo che tutti coloro che, dopo l'invasione di Roma e del territorio ecclesiastico, dopo la violazione sacrilega del patrimonio di S. Pietro da parte delle truppe francesi, hanno commesso a Roma e nelle Chiese contro le immunità ecclesiastiche, contro i diritti anche temporali della Chiesa e della Santa Sede, gli attentati o alcuni degli attentati che hanno suscitato le nostre giuste rimostranze […] tutti i loro artefici, fautori, consiglieri o aderenti; tutti coloro, infine, che hanno agevolato l'esecuzione di queste violenze o le hanno eseguite essi stessi, sono incorsi nella scomunica maggiore". Se pure l'imperatore non era esplicitamente menzionato, era evocato con molta chiarezza. "È un pazzo furioso che va internato", replicò quest'ultimo a Murat in una lettera inviata dal palazzo di Schönbrunn il 20 giugno. Il generale della gendarmeria Radet eseguì l'ordine imperiale nella notte fra il 5 e il 6 luglio 1809, con un assalto al Quirinale reso possibile da complicità interne. Il papa, in compagnia del solo cardinale Pacca, fu portato in una berlina verso una destinazione ignota. Condotto a Grenoble, fu separato da Pacca, che restò rinchiuso nel forte di Fenestrelle dall'agosto 1809 al gennaio 1813; Pio VII fu poi trasferito a Savona dove giunse il 17 agosto. Il papa rimase internato a Savona per quasi tre anni (agosto 1809-giugno 1812), prima rinchiuso nel municipio, poi nel vescovato della città ligure, sotto la rigida sorveglianza del prefetto Chabrol e del comandante della gendarmeria Lagorse (un dottrinario passato in successione alla Rivoluzione e all'Impero, che per cinque anni fu il carceriere del pontefice), in un isolamento sempre crescente: il papa si considerò prigioniero, rifiutò di uscire, e nella solitudine ritrovò la disciplina di vita del "povero monaco Chiaramonti", coltivando un senso di rassegnazione e una speranza che non escludevano fermezza di principi e tenacia nella difesa dei diritti della Santa Sede. Furono pochi coloro che in Italia, in Francia e in Europa provarono turbamento per la sorte che l'imperatore aveva riservato al papa: le rare iniziative intraprese per instaurare una comunicazione con il pontefice prigioniero provennero dalla società segreta realista dei Cavalieri della Fede (molti membri della quale furono incarcerati dalla polizia imperiale), cui era collegato François-David Aynès, il principale diffusore della bolla di scomunica dell'imperatore. Prigioniero impotente della dittatura imperiale, privo di informazioni e di consigli, Pio VII rappresentò nondimeno un rimprovero vivente alla hybris di Napoleone all'apogeo della propria potenza: "Siete il rifiuto di Dio nel silenzio di tutti gli uomini", scriverà Pio VII Claudel nel dramma L'otage (1911). Gli anni di Savona furono contrassegnati dall'attuazione di una politica religiosa che sembrò mirata unicamente ad annientare o asservire l'autorità pontificia. Il 2 febbraio 1810 Napoleone ordinò il trasferimento a Parigi degli Archivi Vaticani, con conseguenze molto pesanti sul piano documentario. Il 2 aprile l'imperatore, all'apice della gloria, sposò a Parigi l'arciduchessa Maria Luisa, figlia dell'imperatore Francesco II, dopo che il precedente matrimonio con la sterile Giuseppina, il 17 febbraio, era stato dichiarato nullo dalle autorità francesi. Tredici cardinali, tra cui Consalvi, di Pietro, Mattei e Gabrielli, rifiutarono di indossare l'abito rosso durante la cerimonia: i "cardinali neri" furono privati senza indugio delle loro rendite e imprigionati in diverse città francesi. Il 14 maggio il diplomatico austriaco Lebzeltern, inviato a Savona su richiesta di Napoleone per ordine di Metternich, nel corso di un'udienza con il papa cercò di piegarne la resistenza, ma si scontrò con un netto rifiuto: "Quando le opinioni sono fondate sopra la voce della coscienza e sul sentimento dei proprii doveri, diventano irremovibili, e non vi è forza fisica al mondo che possa, alla lunga, lottare con una forza morale di questa natura", è la replica di Pio VII (Un collaborateur de Metternich, pPio VII 153-89). I cardinali Caselli e Spina, il 5 luglio, non ebbero miglior fortuna. Il 14 ottobre 1810 l'ambizioso cardinale Maury, ormai legato all'Impero, era posto da Napoleone a capo dell'arcivescovato di Parigi (dopo il rifiuto del cardinale Fesch): Pio VII , con due brevi da Savona, del 5 novembre e 18 dicembre (che Maury finse di ignorare), gli rifiutò l'investitura canonica vietandogli di governare la diocesi. Il 20 marzo 1811 Napoleone ebbe un figlio, al quale conferì, senza alcun riguardo per il pontefice prigioniero, il titolo di "re di Roma". Da questo momento si adoperò per ottenere da Pio VII (accanto al quale aveva collocato, nella primavera 1811, il debole monsignor Bertazzoli, suo elemosiniere, e il medico Porta) l'istituzione canonica dei vescovi da parte dei metropoliti, con la conseguenza di ridurre ulteriormente le competenze della Sede apostolica e di minacciare l'unità della cattolicità. Nello stesso tempo convocò un concilio nazionale dei vescovi dell'Impero. Il 13 giugno una deputazione di vescovi (Barral, Duvoisin, Mannay) ottenne la tacita approvazione di una nota che, al termine di sei mesi di rifiuti, attribuiva l'investitura canonica al metropolita: ma il papa si ricredette ben presto. Il concilio nazionale dei vescovi dell'Impero (sei cardinali, otto arcivescovi, ottantuno vescovi, di cui quarantuno titolari italiani) si aprì a Notre-Dame di Parigi il 17 giugno 1811: anche se Napoleone vide profilarsi minacce di scisma, i padri conciliari, compreso Fesch, riaffermarono la propria fedeltà alla Sede apostolica e all'unità della Chiesa. Una delegazione composta da quattordici membri (tre arcivescovi, sei vescovi e i cinque "cardinali rossi" Ruffo, Dugnani, Bayane, Roverella e Doria Pamphili) fu inviata a Savona per negoziare, dal 3 al 30 settembre, un decreto in cinque articoli sulle investiture canoniche: ma Bonaparte lo respinse, perché salvaguardava il principio dell'autorità pontificia limitandosi a delegarne i poteri al metropolita.
La situazione era in una fase di stallo assoluto allorché Napoleone, nella primavera 1812, partì alla conquista della Russia alla testa della Grande Armata. Con un ordine datato Dresda, 21 marzo 1812, l'imperatore, avendo avuto sentore del rischio di un'incursione inglese, dispose affinché il principe Camillo Borghese, suo cognato e governatore del Piemonte, trasferisse il papa in Francia. La decisione imperiale fu eseguita con particolare rapidità e brutalità. Pio VII , partito da Savona il 9 giugno a mezzanotte sotto la scorta del comandante Lagorse e con la sola compagnia di Bertazzoli e Porta, fu trasportato nella massima segretezza e senza alcun riguardo per l'età - aveva quasi settant'anni - in una vettura sigillata, a briglia sciolta, attraverso le Alpi in direzione della Francia. Il 19 giugno entrò nel castello di Fontainebleau, nel quale rimase prigioniero sotto stretta sorveglianza per diciannove mesi. Napoleone, nel dicembre 1812, tornò sconfitto dalla disastrosa campagna di Russia. Con la mediazione del cardinale Doria Pamphili, in un primo tempo, assistito dal vescovo di Nantes Duvoisin e da monsignor Bertazzoli, cercò di fiaccare definitivamente la resistenza del papa. Il 19 gennaio, accompagnato da Maria Luisa e dal figlio, incontrò Pio VII a Fontainebleau e per un'intera settimana trattò con lui direttamente e senza testimoni. Ottenne dal pontefice, indebolito dalla vecchiaia, la firma di un progetto di convenzione noto con il nome di "concordato di Fontainebleau" (25 gennaio 1813): il papa cedé su tutta la linea, accettò il trasferimento della sua sede di residenza, l'istituzione dei vescovi da parte del metropolita al termine di sei mesi di vacanza e il riassetto della geografia ecclesiastica di Italia e Germania; in compenso ricevette un'importante dotazione, si vide riconosciuta una rappresentanza diplomatica, recuperò la libertà per sé e per i suoi cardinali. Mentre Napoleone si affrettò a pubblicare e celebrare il nuovo concordato, Pio VII , rinfrancato dall'appoggio dei suoi consiglieri ritrovati (Consalvi, Pacca e di Pietro), il 24 marzo inviò a Napoleone una lettera in cui ritrattava il concordato, che tuttavia l'imperatore decise di ignorare. I cardinali furono di nuovo allontanati e assoggettati all'obbligo di residenza e il papa fu ancora una volta isolato: inutili trattative si protrassero lungo l'intero corso del 1813, mentre l'Impero francese era in declino sia sul fronte politico che militare. Di fronte all'avanzata delle truppe alleate in Francia, Napoleone decise di far ricondurre il suo prigioniero a Savona. Il 23 gennaio 1814 Pio VII lasciò Fontainebleau e, scortato da Lagorse, compì un tortuoso itinerario che toccò Orléans, Limoges, Tolosa, Montpellier, Aix e Nizza, per procrastinare il ritorno ed aggirare la valle del Rodano dove il fermento antibonapartista era al culmine. Il lungo percorso del prigioniero si tramutò in un trionfo: il carisma papale si impose nelle tappe successive del lento procedere attraverso il Midi della Francia. Folle sbandate in seguito al crollo dell'Impero e avide di pace si accalcarono al passaggio dell'anziano pontefice. Il 16 febbraio Pio VII ritrovò la sua prigione di Savona, senza aver compiuto un solo gesto per riconquistare la propria libertà. Alla fine, in marzo, Napoleone ordinò la liberazione del prigioniero e lo fece accompagnare a Bologna, calcolando in tal modo di contrastare i progetti di annessione dell'imperatore austriaco e del re Murat. Pio VII lasciò Savona il 19 marzo, il 25 marzo varcò le linee austriache sul Taro e fece il suo ingresso a Bologna il 31 marzo. Celebrò le cerimonie della Settimana santa ad Imola, sua antica città episcopale, si trattenne a Cesena, sua città natale, dal 20 aprile al 7 maggio, poi il 15 maggio si recò al santuario di Loreto a rendere grazie per la sua liberazione. Questo lungo soggiorno consentì al papa di attendere la conclusione delle operazioni militari e politiche in Francia (gli alleati entrarono a Parigi il 31 marzo, Napoleone abdicò a Fontainebleau il 6 aprile, Luigi XVIII si insediò alle Tuileries il 3 maggio), di avvalersi dell'appoggio dell'emissario britannico in Italia, l'intraprendente Lord Bentinck, di dare risonanza alla sua presenza non solo di pontefice ma anche di sovrano nelle Legazioni e nelle Marche, di misurare il fervore e l'attaccamento delle popolazioni, per le quali incarnò, nei rovesci della guerra, il ritorno alla pace e alla sicurezza dell'antico ordine. Nel primo messaggio rivolto alla cattolicità, pronunciato a Cesena il 4 maggio 1814, Pio VII formulò un'interpretazione in chiave provvidenzialista delle sue tribolazioni e della sua restaurazione, riaffermando anche con forza i suoi diritti di pontefice e di sovrano. "Il trionfo della Misericordia divina è ormai compiuto sopra di Noi strappati con inaudita violenza dalla nostra Sede pacifica, dal seno de' nostri amati Sudditi; e trascinati di una in un'altra Contrada, siamo stati condannati a gemere tra la Forza quasi cinque anni. Noi abbiamo versato nella nostra prigionia lacrime di dolore prima per la Chiesa alla nostra cura commessa perché ne conoscevamo i bisogni senza poterle apprestare un soccorso, poi per i Popoli a Noi soggetti perché il grido delle loro tribolazioni giungeva perfino a Noi senza che fosse in nostro potere di arrecargli un conforto. Temperava però l'affanno acerbissimo del nostro cuore la viva fiducia, che placato finalmente il pietosissimo Iddio giustamente irritato dai nostri peccati alzarebbe l'Onnipotente sua destra per infrangere l'arco nemico, e spezzar le catene che cingevano il Vicario suo sulla Terra. La nostra fiducia non è stata delusa. L'umana alteriggia, che stoltamente pretese di uguagliarsi all'Altissimo, è stata umiliata, e la nostra liberazione, cui anche miravano gli sforzi generosi dell'Augusta Alleanza, è per prodigio inaspettatamente seguita" (A.S.V., Segr. Stato, 1814, rubrica 1).

http://www.treccani.it/enciclopedia/pio-vii_(Enciclopedia-dei-Papi)/

Commenti

bernie ha detto…
nel 2007 iniziava un processo per beatificare PIO VII,difensore della Chiesa più di chiunque altroe che nonostante il NULLA OSTA del papa Benedetto XVI procede a rilento ...... forse perchè il gallicanesimo
è ancora molto forte ....

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