L’Autrice
si è dimostrata in questi ultimi anni una grande scrittrice di
spiritualità. Nata in Marocco nel 1924, è avvocato onorario alla
Corte d’appello di Parigi. Anima dal 1987 incontri di
“evangelizzazione del profondo” nell’ambito dell’associazione
ecumenica Bethasda. Collaborano con lei laici, sacerdoti e suore
della comunità svizzera di Grandchamps, operando contemporaneamente
sul piano psicologico e sul piano spirituale.
Presentiamo una sua
intervista.
– Simone
Pacot, Lei propone un lavoro su di sé in cui si conciliano la
psicologia e la fede. Come Le è venuta l’idea di un percorso del
genere?
Simone Pacot: Ho esercitato in Marocco la professione di avvocato partecipando nello stesso tempo a gruppi di dialogo e di riconciliazione tra musulmani, cristiani ed ebrei. Poi ho fatto parte di un’équipe orientata allo scambio di esperienze di vita e alla non violenza, nell’estremo Sud del Marocco. In tale contesto mi sono trovata a fare i conti con le mie difficoltà relazionali, con quei funzionamenti psicologici che fino ad allora avevo ignorato. Di fronte alle mie crisi interiori e ai miei problemi di vita mi sentivo senza risorse e disperata. Allora ho affrontato una psicoterapia. Tale esperienza ha costituito per me un grande sollievo aprendomi orizzonti insospettati. Rimaneva da stabilire il legame con la mia fede. Nel 1973 ho avuto l’occasione di partecipare in Francia a un seminario organizzato da anglicani sul tema della “guarigione interiore”. Così ho potuto collegare la mia esperienza psicologica alla Parola di Dio. Una ricerca di largo respiro.
– È dunque fondamentale, se si vuol vivere in accordo con le proprie convinzioni cristiane, lavorare sull’asse psicologico?
La psicoterapia non costituisce un passaggio obbligato per nessuno. Per me lo è stata, ma esistono altri mezzi per imparare a conoscersi meglio. Il rischio, se non si sono chiariti i propri funzionamenti psicologici, è di avere una vita spirituale poco o per nulla “situata”, distaccata dall’umanità, dall’incarnazione. Di essere guidati da false idee sulla rinuncia di sé, la colpevolezza, l’immagine di un Dio che condanna o che vuole la nostra sofferenza, il senso del dovere, il fatto di reprimere i propri desideri per obbedire alla Sua volontà… altrettante concezioni erronee che erano le mie prima che iniziassi quel lavoro di riordinamento. Nei nostri incontri aiutiamo le persone a fare il punto sulla loro “identità composita”, o sulla dipendenza male orientata che possono vivere nei confronti di una persona vicina o di un parente. Dipendenza che a volte si ripercuote sulla nostra vita relazionale, sui rapporti di forza, sul nostro ruolo in un gruppo…
– In che modo la ricerca spirituale può costituire il prolungamento di una ricerca psicologica?
È stata la psicologia a consentirmi di accedere alla mia verità interiore. Mi ha aiutata a liberarmi dai miei blocchi, a intraprendere un cammino di accettazione dei miei limiti. Ma non mi sono limitata a questo. Attualmente il 70-80% dei partecipanti ai nostri incontri ha già fatto un’esperienza di psicoterapia o di psicoanalisi. Molti hanno scoperto la loro verità, ma non sanno che farne. Vivono una ricerca spirituale, ma non sanno dove situarla, dovendo fare i conti con problemi esistenziali. Sono in panne. Alcuni, esasperati per la mancata risoluzione dei loro problemi, vivono nella sofferenza. Hanno bisogno di capire come la parola di Dio può entrare in risonanza con la loro vita. Ognuno può ascoltare per sé l’ordine rivolto da Dio ad Abramo: “Lascia il tuo paese, la tua patria e la casa di tuo padre verso il paese che io t’indicherò” (Genesi 12,1).
– Offrite ad ognuno alcune chiavi di lettura…
Ma nella maggior parte dei casi queste chiavi le abbiamo già in noi! Siamo già bene illuminati su noi stessi. Solo che dobbiamo rileggere le nostre ferite psicologiche alla luce delle Leggi di Vita che abbiamo potuto infrangere nella nostra storia personale. Esse sono inscritte dal Creatore nel cuore di ogni essere umano; e noi dobbiamo mettere in luce queste leggi di Dio. Ricordo un giovane cristiano che si considerava una nullità perché sua madre glielo aveva ripetuto durante tutta la sua infanzia. Di conseguenza aveva preso strade sbagliate, sottovalutandosi. Ha finalmente capito che dando ragione alla madre aveva ignorato la parola unica di Dio: “Tu sei prezioso ai miei occhi perché sei degno di stima e io ti amo” (Isaia 43,4).
– Insomma, quello che proponete è un cammino di liberazione?
È innanzitutto un cammino pasquale. Come fare per liberarsi se non riconoscendo tutti i “cammini di morte” che abbiamo imboccato in seguito alle nostre antiche “ferite”? La domanda da porsi è questa: Come ho reagito a quanto mi è successo e che cosa dentro a me impedisce alla vita di nascere? La risposta può essere: non sono stato abbastanza amato e dunque non mi sento “amabile”, vivo ancora in atteggiamento “fusionale” con uno dei miei genitori e di conseguenza cerco costantemente l’approvazione degli altri, ho un’idea falsa del dovere e, non volendo creare problemi all’altro, alieno la mia libertà…Queste prese di coscienza dolorose possiamo viverle con il Cristo. Siamo guidati su un cammino di pentimento per uscire dalle nostre idolatrie e ritrovare i percorsi di vita. Con l’aiuto dello Spirito Santo, nostra guida interiore.
– In definitiva, lo scopo di un lavoro come questo è la guarigione interiore?
Il termine di guarigione interiore è certamente suggestivo, ma è un po’ deviante in quanto , assai spesso, non si guarisce del tutto. Possiamo conservare una fragilità o postumi degli eventi traumatici di cui abbiamo sofferto. Non dimentichiamo che il Cristo stesso è risorto con le sue cicatrici. Ma tali eventi non costituiranno più un ostacolo sulla nostra via. Spesso commettiamo l’errore di credere che Dio farà in noi tutto il lavoro e che ci guarirà miracolosamente dalle nostre ferite, dai nostri problemi. Egli invece ci invita a compiere un cammino con lui, a vivere l’alleanza. Certo, le preghiere di richiesta di guarigione sono del tutto legittime e possono dare frutti, ma non dobbiamo dimenticare il ruolo attivo che dobbiamo svolgere. In un genuino movimento spirituale non chiederemo: “Signore, liberami” (dall’uno o dall’altro problema), ma piuttosto: “Signore, illuminami, mostrami i cammini di morte che ho potuto seguire, l’idolatria a cui ho potuto cedere senza rendermene conto. Con la tua grazia, voglio liberarmene”. Partendo da qui ci impegneremo a cambiare strada, a compiere un certo atto, a prendere una certa decisione … sempre rimanendo in ascolto del nostro cuore profondo, là dove parla lo Spirito Santo. Più che di guarigione interiore, preferisco usare il termine di rimessa in ordine fondamentale, di “evangelizzazione” di tutte le componenti del nostro essere, di conversione. Lo scopo di questo cammino è diventare se stessi in Dio, pur con tutte le proprie debolezze. Sappiamo che ci saranno ricadute e che dovremo armarci di pazienza, di fiducia.
– Questa pace interiore, possiamo viverla nello sguardo che posiamo sugli eventi del mondo?
Più che trovare la pace interiore, direi che si tratta di “creare la vita”. Imparare ad accettare i propri limiti, per poter accettare quelli degli altri… Il fatto di rinunciare all’onnipotenza – a questa ricerca incessante del padre o della madre – ci procura una grande pace interiore. Allora possiamo impegnarci in un movimento associativo, politico … a favore della pace. Si tratta solo di far emergere i nostri desideri profondi, le nostre potenzialità, per scoprire la nostra vocazione, come nella parabola dei talenti. Si tratta di diventare figli o figlie di Dio. Servi dello Spirito, creatori di vita, in ogni stagione.
Preghiera scelta da Simone Pacot:
Dice il Signore al suo eletto, a Ciro (…):
Io marcerò davanti a te;
spianerò le asperità del terreno,
spezzerò le porte di bronzo,
romperò le spranghe di ferro.
Ti consegnerò tesori nascosti
E le ricchezze ben celate,
perché tu sappia che io sono il Signore,
Dio di Israele, che ti chiamo per nome.
(Isaia, 45,1-5)
(Intervista raccolta da Christine Florence per la rivista Prier. Traduzione di Fausto Savoldi)
© 2003 by Teologi@/Internet
Editrice Queriniana, Brescia
Simone Pacot: Ho esercitato in Marocco la professione di avvocato partecipando nello stesso tempo a gruppi di dialogo e di riconciliazione tra musulmani, cristiani ed ebrei. Poi ho fatto parte di un’équipe orientata allo scambio di esperienze di vita e alla non violenza, nell’estremo Sud del Marocco. In tale contesto mi sono trovata a fare i conti con le mie difficoltà relazionali, con quei funzionamenti psicologici che fino ad allora avevo ignorato. Di fronte alle mie crisi interiori e ai miei problemi di vita mi sentivo senza risorse e disperata. Allora ho affrontato una psicoterapia. Tale esperienza ha costituito per me un grande sollievo aprendomi orizzonti insospettati. Rimaneva da stabilire il legame con la mia fede. Nel 1973 ho avuto l’occasione di partecipare in Francia a un seminario organizzato da anglicani sul tema della “guarigione interiore”. Così ho potuto collegare la mia esperienza psicologica alla Parola di Dio. Una ricerca di largo respiro.
– È dunque fondamentale, se si vuol vivere in accordo con le proprie convinzioni cristiane, lavorare sull’asse psicologico?
La psicoterapia non costituisce un passaggio obbligato per nessuno. Per me lo è stata, ma esistono altri mezzi per imparare a conoscersi meglio. Il rischio, se non si sono chiariti i propri funzionamenti psicologici, è di avere una vita spirituale poco o per nulla “situata”, distaccata dall’umanità, dall’incarnazione. Di essere guidati da false idee sulla rinuncia di sé, la colpevolezza, l’immagine di un Dio che condanna o che vuole la nostra sofferenza, il senso del dovere, il fatto di reprimere i propri desideri per obbedire alla Sua volontà… altrettante concezioni erronee che erano le mie prima che iniziassi quel lavoro di riordinamento. Nei nostri incontri aiutiamo le persone a fare il punto sulla loro “identità composita”, o sulla dipendenza male orientata che possono vivere nei confronti di una persona vicina o di un parente. Dipendenza che a volte si ripercuote sulla nostra vita relazionale, sui rapporti di forza, sul nostro ruolo in un gruppo…
– In che modo la ricerca spirituale può costituire il prolungamento di una ricerca psicologica?
È stata la psicologia a consentirmi di accedere alla mia verità interiore. Mi ha aiutata a liberarmi dai miei blocchi, a intraprendere un cammino di accettazione dei miei limiti. Ma non mi sono limitata a questo. Attualmente il 70-80% dei partecipanti ai nostri incontri ha già fatto un’esperienza di psicoterapia o di psicoanalisi. Molti hanno scoperto la loro verità, ma non sanno che farne. Vivono una ricerca spirituale, ma non sanno dove situarla, dovendo fare i conti con problemi esistenziali. Sono in panne. Alcuni, esasperati per la mancata risoluzione dei loro problemi, vivono nella sofferenza. Hanno bisogno di capire come la parola di Dio può entrare in risonanza con la loro vita. Ognuno può ascoltare per sé l’ordine rivolto da Dio ad Abramo: “Lascia il tuo paese, la tua patria e la casa di tuo padre verso il paese che io t’indicherò” (Genesi 12,1).
– Offrite ad ognuno alcune chiavi di lettura…
Ma nella maggior parte dei casi queste chiavi le abbiamo già in noi! Siamo già bene illuminati su noi stessi. Solo che dobbiamo rileggere le nostre ferite psicologiche alla luce delle Leggi di Vita che abbiamo potuto infrangere nella nostra storia personale. Esse sono inscritte dal Creatore nel cuore di ogni essere umano; e noi dobbiamo mettere in luce queste leggi di Dio. Ricordo un giovane cristiano che si considerava una nullità perché sua madre glielo aveva ripetuto durante tutta la sua infanzia. Di conseguenza aveva preso strade sbagliate, sottovalutandosi. Ha finalmente capito che dando ragione alla madre aveva ignorato la parola unica di Dio: “Tu sei prezioso ai miei occhi perché sei degno di stima e io ti amo” (Isaia 43,4).
– Insomma, quello che proponete è un cammino di liberazione?
È innanzitutto un cammino pasquale. Come fare per liberarsi se non riconoscendo tutti i “cammini di morte” che abbiamo imboccato in seguito alle nostre antiche “ferite”? La domanda da porsi è questa: Come ho reagito a quanto mi è successo e che cosa dentro a me impedisce alla vita di nascere? La risposta può essere: non sono stato abbastanza amato e dunque non mi sento “amabile”, vivo ancora in atteggiamento “fusionale” con uno dei miei genitori e di conseguenza cerco costantemente l’approvazione degli altri, ho un’idea falsa del dovere e, non volendo creare problemi all’altro, alieno la mia libertà…Queste prese di coscienza dolorose possiamo viverle con il Cristo. Siamo guidati su un cammino di pentimento per uscire dalle nostre idolatrie e ritrovare i percorsi di vita. Con l’aiuto dello Spirito Santo, nostra guida interiore.
– In definitiva, lo scopo di un lavoro come questo è la guarigione interiore?
Il termine di guarigione interiore è certamente suggestivo, ma è un po’ deviante in quanto , assai spesso, non si guarisce del tutto. Possiamo conservare una fragilità o postumi degli eventi traumatici di cui abbiamo sofferto. Non dimentichiamo che il Cristo stesso è risorto con le sue cicatrici. Ma tali eventi non costituiranno più un ostacolo sulla nostra via. Spesso commettiamo l’errore di credere che Dio farà in noi tutto il lavoro e che ci guarirà miracolosamente dalle nostre ferite, dai nostri problemi. Egli invece ci invita a compiere un cammino con lui, a vivere l’alleanza. Certo, le preghiere di richiesta di guarigione sono del tutto legittime e possono dare frutti, ma non dobbiamo dimenticare il ruolo attivo che dobbiamo svolgere. In un genuino movimento spirituale non chiederemo: “Signore, liberami” (dall’uno o dall’altro problema), ma piuttosto: “Signore, illuminami, mostrami i cammini di morte che ho potuto seguire, l’idolatria a cui ho potuto cedere senza rendermene conto. Con la tua grazia, voglio liberarmene”. Partendo da qui ci impegneremo a cambiare strada, a compiere un certo atto, a prendere una certa decisione … sempre rimanendo in ascolto del nostro cuore profondo, là dove parla lo Spirito Santo. Più che di guarigione interiore, preferisco usare il termine di rimessa in ordine fondamentale, di “evangelizzazione” di tutte le componenti del nostro essere, di conversione. Lo scopo di questo cammino è diventare se stessi in Dio, pur con tutte le proprie debolezze. Sappiamo che ci saranno ricadute e che dovremo armarci di pazienza, di fiducia.
– Questa pace interiore, possiamo viverla nello sguardo che posiamo sugli eventi del mondo?
Più che trovare la pace interiore, direi che si tratta di “creare la vita”. Imparare ad accettare i propri limiti, per poter accettare quelli degli altri… Il fatto di rinunciare all’onnipotenza – a questa ricerca incessante del padre o della madre – ci procura una grande pace interiore. Allora possiamo impegnarci in un movimento associativo, politico … a favore della pace. Si tratta solo di far emergere i nostri desideri profondi, le nostre potenzialità, per scoprire la nostra vocazione, come nella parabola dei talenti. Si tratta di diventare figli o figlie di Dio. Servi dello Spirito, creatori di vita, in ogni stagione.
Preghiera scelta da Simone Pacot:
Dice il Signore al suo eletto, a Ciro (…):
Io marcerò davanti a te;
spianerò le asperità del terreno,
spezzerò le porte di bronzo,
romperò le spranghe di ferro.
Ti consegnerò tesori nascosti
E le ricchezze ben celate,
perché tu sappia che io sono il Signore,
Dio di Israele, che ti chiamo per nome.
(Isaia, 45,1-5)
(Intervista raccolta da Christine Florence per la rivista Prier. Traduzione di Fausto Savoldi)
© 2003 by Teologi@/Internet
Editrice Queriniana, Brescia
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