La
critica principale che viene rivolta verso l’istituzione
ecclesiale è di essere un’istituzione clericale e tutta al
maschile che non lascia spazio per altre voci. Non c’è bisogno di
elencare il numero di decisioni politiche recenti, da Roma alle sedi
locali, che avrebbero avuto un maggior margine di prudenza se solo
fossero stati consultati anche dei laici.
Gesù
ha detto ai suoi discepoli che erano dei servitori, che avevano il
compito di nutrire gli affamati e condividere i propri averi con i
poveri, che avrebbero dovuto mostrare il loro amore l’un l’altro
mettendo la propria vita a servizio del prossimo. Ora, un certo
numero di persone all’interno della chiesa si sono comportate
esattamente nella maniera opposta, dando vita ad una cultura
clericale che troppo spesso ha dato peso a valori di fedeltà al di
sopra della responsabilità. Nel contesto attuale un progetto di
riforma appare essenziale per ringiovanire la leadership della chiesa
e dare maggior voce all’intera comunità ecclesiale. Come ha
scritto papa Giovanni Paolo II nella “Novo Millennio Ineunte”,
citando san Paolino da Nola: “Vediamo di ascoltare ciò che dicono
tutti i fedeli, perché in ciascuno di essi soffia lo Spirito di Dio”
(n. 45).
Da
dove cominciare? Nessuno intende anticipare cambiamenti circa
l’attuale disciplina che regola il celibato o le decisioni del
magistero in merito all’ordinazione delle donne, ma esistono altri
modi per riformare le strutture della chiesa e permettere alle donne
e agli uomini coniugati di partecipare alle responsabilità del
governo della chiesa.
Una
proposta sarebbe semplicemente quella di ammettere dei laici
all’interno del Collegio dei cardinali. La chiesa potrebbe così
continuare nella tradizione di un sacerdozio tutto maschile, ma
trasformare, però, questa sorta di “club per soli uomini” in una
chiesa che abbia un volto che assomigli di più a quel popolo di Dio,
come viene delineato dal Concilio Vaticano II.
Una
proposta più realistica, però, richiederebbe due fasi: innanzitutto
una riorganizzazione degli uffici diocesani in modo tale che i laici
vengano a rappresentare la metà dei consiglieri del vescovo (già
oggi è in crescendo il numero dei laici che vengono assunti negli
uffici di curia delle diocesi americane). In secondo luogo dar vita
alla creazione di un nuovo organismo, una sorta di Consiglio
internazionale di laici che affianchi nelle funzioni il
Collegio cardinalizio. Con la riduzione progressiva del numero
dei cardinali, ciascuno dei due organismi potrebbe essere costituito
da circa un centinaio di membri ciascuno. I membri laici dovrebbero
essere dei cattolici che amano la chiesa e
che vengono unanimemente riconosciuti come buoni cristiani.
Dovrebbero appartenere a diverse aree di provenienza: professioni nel
campo dell’educazione, della salute, della vita religiosa, del
diritto, delle arti, dell’economia, delle scienze, della politica e
del lavoro. In più la leadership della chiesa non dovrebbe essere
appannaggio di persone anziane, ma dovrebbe includere uomini e donne,
sposati e non, di ogni età. Dopo tutto la sapienza può essere
trovata in una varietà di fonti, come ha riconosciuto anche san
Benedetto quando ha esortato l’abate di un monastero ad ascoltare
il parere del membro più giovane della sua comunità: “Su
suggerimento del Signore, spesso accade che sia la persona più
giovane a conoscere cosa sia meglio”.
Alcuni
membri di questo consiglio potrebbero dirigere dei dicasteri
vaticani, altri recarsi a Roma per consultazioni periodiche. Il loro
numero e provenienza dovrebbe essere proporzionato alla popolazione
cattolica nel mondo, scelti per un periodo di tempo ben determinato
su indicazione di assemblee rappresentative di clero e laici.
La combinazione di collegio e consiglio dovrebbe condividere
tre finalità: amministrare gli uffici vaticani, consigliare
il papa e scegliere il suo successore.
Questi
laici dovrebbero offrire una prospettiva tanto necessaria circa
l’impatto degli insegnamenti e delle pratiche all’interno della
chiesa, includendo, ad esempio, tutti i pronunciamenti in materia di
contraccezione, ruolo delle donne nella chiesa, disciplina nei
confronti degli omosessuali, e anche il fallimento della gerarchia
nel rispondere rapidamente e con rigore agli scandali riguardo agli
abusi sui minori da parte dei membri del clero. Queste persone
potrebbero anche arrivare a comprendere
altre
carenze pastorali, quali la negazione dell’Eucaristia a quanti
manifestano precise posizioni politiche, una troppo modesta agenda di
pace e giustizia, delle liturgie poco esaltanti con omelie
improvvisate e scarsa sensibilità dei celebranti.
Qualcuno
potrebbe obiettare che questa iniziativa potrebbe rappresentare poco
più che un premio finale da attendere alla lunga, perché non si
tratta di un’idea che possa venir condivisa e accettata
dall’attuale gerarchia cattolica. Forse. Tuttavia si può
affermare che la messa a punto di un’iniziativa concreta,
quale un Consiglio di laici, non dovrebbe costituire alcuna minaccia
per l’attuale gerarchia.
Riguardo all'autorità all’interno della chiesa, questa dovrebbe essere
“esercitata nel servizio alla verità e alla carità” (“Ut unum
sint” n. 3). E un consiglio di laici non minerebbe in alcun modo
neppure l’autorità papale. Come ha scritto Giovanni Paolo II
riguardo al papato: “l’autorità propria di questo ministero è
completamente al servizio del disegno misericordioso di Dio e deve
essere vista unicamente in questa prospettiva”. Discernere questo
disegno è un compito che i cattolici
dovrebbero
compiere tutti insieme.
Ora,
seguendo l’esempio indicato da Giovanni Paolo II, noi incoraggiamo
i nostri lettori, preti e laici, a valutare questa proposta e
suggerire eventualmente altre riforme che consentano il
raggiungimento dei medesimi obiettivi. La chiesa è sopravvissuta per
duemila anni perché nei momenti cruciali è stata capace di
scegliere la strada del rinnovamento. Potrebbe darsi che il momento
sia giunto un’altra volta.
"America", 21.2.2011
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