"Fate la guerra alle mode indecenti”. La donna cattolica tra apostolato e modernizzazione (1919-1928)
di Anna Praitoni
1. L'associazionismo femminile cattolico e la battaglia contro la moda indecente (1919-1928)
«Qualche
centimetro di stoffa un po' più in alto e un po' più stoffa in
basso e [le ragazze] saranno tanto più gradite a Dio, e siatene
certe, anche agli uomini»1.È uno tra i numerosissimi,
accorati appelli che la gerarchia ecclesiastica rivolge alle ragazze
dell'Azione Cattolica a partire dagli anni Venti. La «moda
indecente», specchio ed indicatore del disordine morale e sociale
del primo dopoguerra, diventa un aspetto pastorale di importanza
primaria per il Magistero papale. Al nuovo modello estetico,
tormentato e mascolino, della «donna-crisi» la Chiesa Cattolica
reagisce proponendo il modello integrale della donna cattolica.
Strumento e canale principale di tale operazione è il ramo giovanile
dell'associazionismo femminile cattolico, la Gioventù Femminile
Cattolica Italiana (Gfci), fondata da Armida Barelli nel 1918. Nella
costruzione di tale modello femminile cattolico moderno la battaglia
contro gli eccessi del costume e, specificamente, contro la «moda
invereconda» costituisce un momento fondamentale e non ancora
abbastanza approfondito. La ferma opposizione della Chiesa
all'evoluzione del costume non può essere letta come un semplice
arretramento moralistico, guidato da un mero intento repressivo e
retrogrado. L'intera operazione è qualcosa di molto più articolato
e complesso che prende vita direttamente dalle parole papali. La
battaglia contro gli eccessi del costume trova, infatti, un elemento
di novità proprio nell'essere affidata dal Papa direttamente al
laicato femminile. In questo senso l'Allocuzione che nel 1919
Benedetto XV rivolge alle convenute al primo congresso dell'Unione
Femminile Cattolica Italiana (Ufci) assume i caratteri di un
manifesto programmatico.
Noi
perciò vorremmo - afferma il Papa - che le numerose ascritte
all'Unione Femminile Cattolica, oggi adunate alla Nostra presenza,
stringessero fra loro una lega per combattere le mode indecenti, non
pur in sé medesime, ma anche in tutte quelle persone e famiglie alle
quali può giungere efficace l'opera loro2.
È
importante sottolineare come, già da questo primo discorso papale
rivolto alle donne, il riconoscimento di nuovi ruoli femminili sia
strettamente legato all'osservanza di rigidi codici comportamentali,
visto che « [...] il buon esempio della donna [...] di fronte al
dilagare di mode indecenti, agevola anzitutto la missione della donna
in mezzo alla società»3.
Quindi,
tutt'altro che chiusura verso certe forme di emancipazione, anche se
la Chiesa le vuole incanalare e controllare attraverso norme severe e
chiare, atte a neutralizzare la carica di pericolosa aggressività
insita nelle rivendicazioni femminili; l'emancipazione cattolica
dovrà condurre le donne ad un apostolato dinamico fuori dalle mura
domestiche, ad una presenza attiva e coraggiosa, priva però di
eccessi e di richieste personali.
Viene
dunque legittimata la nuova missione della donna nella società
insieme ad una osservanza scrupolosa dei dettami contro le
esagerazioni della moda, quasi a garantire, almeno a livello
visibile, che il nuovo tipo di presenza femminile cattolica è
protagonista nel mondo senza creare disordine e discordia.
Già
dal discorso di Benedetto XV le limitazioni del corretto vestire non
sono sorrette da una logica punitiva; la lotta contro la moda viene
quasi ad essere una dimostrazione di grande fiducia che la Chiesa
offre alle donne cattoliche, un «campo di lavoro» in cui esse
potranno agire in completa autonomia e quasi dimostrare, attraverso
scelte concrete e visibili, la loro maturazione ed affidabilità.
2. La giornata nazionale contro la moda
«Il
Papa lo vuole»4: forti di questa certezza le donne
cattoliche escono allo scoperto, anche loro alla ricerca di un
protagonismo post-bellico, per organizzare manifestazioni pubbliche,
conferenze, volantinaggi contro la moda anticristiana.
Protagoniste
delle nuove e rivoluzionarie forme di intervento e di apostolato
attivo sono soprattutto le ragazze della Gfci. Già prima
dell'Allocuzione di Benedetto XV esse danno prova di tutta la loro
grinta: il 10 agosto 1919, a Milano, le socie Gfci ingaggiano una
«gloriosa battaglia campale» che inizia con una Comunione
riparatrice e che trova il momento culminante nell'opera di
volantinaggio con cui Milano viene letteralmente attaccata.
Non
è solo la distribuzione massiccia di volantini che sorprende, (più
di un milione), ma è la modalità con cui le ragazze procedono che è
strutturalmente nuova: «alle otto della mattina del 10 agosto due
ardite raggiungono la Cupola del Duomo e fanno volare sulla città la
prima nube di manifesti; [...] Nel pomeriggio [...] le automobili si
diffondono per Milano e lanciano nugoli di biglietti [...]»5.
La
componente dinamica e la tensione riparatrice della giornata milanese
anticipano e precorrono quella che, pochi mesi dopo, viene celebrata
come la prima manifestazione nazionale contro la moda. Mobilitate dal
consueto piglio militaresco della Barelli6, le gieffine
concepiscono una serie di iniziative volte a contrastare
efficacemente il dilagare della moda indecente. Le proposte,
trasmesse dal Consiglio superiore della Gfci all'Ufficio di
Presidenza Centrale dell'Ufci, vengono vagliate ed articolate in «un
piano di battaglia per la campagna contro la moda» articolato in
quattro punti:
1.
L'accettazione della proposta e regolamento d'una Lega contro la moda
immorale mediante la nomina di una commissione che ad ogni stagione
studi le modificazioni da apportarsi al figurino di Parigi [...].
2.
La pubblicazione della conferenza sulla moda [...] che deve essere
tenuta in tutti i circoli.
3.
La giornata contro la moda immorale da tenersi il 29 giugno festa di
S. Pietro. [...] Nella giornata contro la moda si comprenda:
a.
Una comunzione riparatrice;
b.
Una grande adunanza con conferenze e larghi inviti;
c.
Una grande lanciata di foglietti volanti;
- Un telegramma al Santo Padre.e.Un invito speciale alle presidenti e dirigenti Gfci perché diano l'esempio del vestire elegante ma onesto [...]7.
All'interno
di tale programma la giornata del 29 giugno assume rilevanza del
tutto particolare. Si potrebbe dire che in questa data viene
sperimentata quella mobilitazione di massa delle donne cattoliche che
costituisce uno dei punti programmatici dell'associazione. Ne sono
testimonianza le relazioni manoscritte che i circoli di tutta Italia
spediscono all'Ufficio di Presidenza dell'Ufci. Né poteva essere
altrimenti: il tono di questa manifestazione nazionale contro la moda
è quello della grande liturgia di massa, tipica del periodo,
liturgia volta ad attivare tutti ed ognuno contemporaneamente, da
luoghi e situazioni diverse ad un unico centro, attraverso gesti e
riti rigidamente scanditi.
Nella
giornata contro la moda ogni momento è studiato e programmato dal
direttivo dell'Ufci affinché in ogni parte d'Italia, nello stesso
giorno, ogni donna cattolica italiana si senta e, soprattutto, agisca
e si mostri come parte integrante di un grande esercito. Anche la
scelta della data in cui celebrare la manifestazione è intenzionale:
non solo il mese di giugno è tradizionalmente dedicato al S. Cuore,
devozione fondamentale per la Gfci, ma, particolarmente il giorno 29,
festa di S. Pietro, è «di sua natura [...] la festa del Papa»8.
Si
consolida e si riafferma così una sorta di filo diretto tra il
Pontefice e le donne cattoliche, che sottolinea ancora una volta
come, nell'adempiere il loro dovere contro la moda scorretta, esse
siano depositarie di uno speciale mandato derivato direttamente dal
Vicario di Cristo.
Il
Sacro Cuore, il Papa e le donne cattoliche, i protagonisti di questa
campagna contro la moda, combattono insieme per un unico fine: questo
è il tipo di impressione che si ricava dalla lettura delle relazioni
e questo è esattamente ciò che le aderenti all'Ufci sentono di
vivere. Tutto ciò consente loro di portare a termine la parte più
tecnicamente moderna del programma previsto per la giornata, vale a
dire il volantinaggio a tappeto delle città.
La
distribuzione dei «foglietti volanti» rappresenta il momento
sicuramente più emozionante ed atteso per le giovani cattoliche. In
esso le gieffine si sentono veramente le apostole coraggiose e
temerarie che la gerarchia chiede loro di essere:
E
le giovani contente di recarsi a compiere un importante atto di
apostolato [...] corsero al luogo loro assegnato [...] Le nostre
giovani hanno in breve ora sparso per la città ben 20.000 foglietti
multicolori incontrando approvazioni ed incoraggiamenti da parte
dell'intera cittadinanza. Soltanto una parte dell'elemento femminile
è rimasto turbato: quello delle «semisvestite» che colpite però
in pieno ben presto hanno abbandonato il pubblico passeggio9.
Le
«diciture» dei volantini, formulate direttamente dal Segretariato
di Milano, sono una testimonianza preziosa per cogliere il senso
dell'effettiva tensione che anima la giornata contro la moda:
«Soltanto le donne che non valgono nulla sentono il bisogno di
vestire immodestamente per attirare l'attenzione degli uomini...»;
«La donna scollacciata è una volgare maestra di immoralità. La
bellezza naturale nulla giova nella donna che non sa essere modesta e
riservata; essa finisce per nauseare gli stessi corteggiatori»;
«Madri, vestite di più le vostre figliuole per custodirne il
pudore»10.
Come
è comprensibile, la distribuzione dei foglietti è evidenziata in
tutte le relazioni, ma viene descritta con maggior vivacità nei
resoconti provenienti dai medi e grandi centri urbani, in quei luoghi
dove più forte e visibile è l'influenza dei processi di
secolarizzazione e, dunque, la maggiore diffusione della moda
«sconveniente».
Le
grandi città sono infatti luoghi tradizionalmente considerati più
peccaminosi, quelli in cui più manifesti sarebbero gli effetti
negativi dell'emancipazione femminile. Le relazioni rispecchiano tale
convinzione: alcuni centri di provincia si dichiarano immuni dagli
influssi della moda sconveniente dai quali sembrano, invece,
sconvolte le grandi città. Così, ad esempio, Matera («nei nostri
centri poco o nulla c'è la corruzione delle grandi città»), Ozieri
(«nella nostra città per grazia di Dio non è ancora penetrata la
moda disonesta»), Cagliari («nella quale regna ancora la serietà
dei costumi»). Sfugge a questa regola, però, Pozzuoli «che risente
come i grandi centri dell'influenza della moda, perché in Pozzuoli
[...] ameno sito di villeggiatura, affluisce gente assai varia da
ogni regione d'Italia e dall'estero»11.
La
moda femminile crea non pochi imbarazzi anche all'interno della
Chiesa stessa, soprattutto nei sacerdoti che devono far rispettare la
decenza senza però offendere e allontanare i fedeli. Il problema è
talmente sentito che anche «L'Osservatore Romano» se ne occupa
ampiamente in un articolo intitolato, appunto, La
Moda e il Tempio12.
In esso si intende chiarire senza «relativismi morali e sociali» la
legge di convenienza da rispettare in Chiesa.
Considerato
il soggettivismo a causa del quale «le donne che accedono al tempio,
tutte giurerebbero di essere vestite decentemente», si insiste sulla
necessità di applicare le prescrizioni ecclesiastiche senza
cavillare13.
Strettamente
connesso alla elaborazione e alla celebrazione della giornata del 29
giugno è il Regolamento
per le Giovani Cattoliche Italiane perché possano mantenersi immuni
dalle fatali conseguenze della moda anticristiana,
manoscritto firmato a nome di «Teresina»14.
Insieme alle relazioni, tale manoscritto rappresenta un episodio
estremamente significativo della nuova ottica che guida le donne
cattoliche nella loro battaglia. L'autrice chiama «tutte le socie
dei circoli a raccolta, invitandole ad una campagna, non del momento
ma permanente, contro la moda scandalosa».
Si
passa, quindi, ad enucleare le regole che le socie devono impegnarsi
a seguire per combattere la moda anticristiana. Infine propone i
mezzi di cui è possibile disporre «per facilitare l'adempimento
degli obblighi», vale a dire la commissione che ritocchi ad ogni
stagione il figurino proveniente da Parigi secondo «il senso morale
cristiano».
Tutto
il Regolamento,
ed è questo l'aspetto più interessante, è sostenuto da un forte
senso di coinvolgimento e responsabilizzazione, le donne stesse
formulano i presupposti teorici e le norme pratiche da osservare: «
[...] daremo noi le leggi della moda, noi pronunceremo la sentenza
sulla trasformazione sul modo di vestire». Formata ed educata a dare
ad ogni atto della propria vita un significato soprannaturale e, nel
contempo, ad entrare nei processi di modernizzazione per influenzarli
dall'interno, la militante cattolica deve esprimere la severità del
proprio impegno anche e soprattutto attraverso l'abbigliamento. La
virtù della modestia diventa così un efficace strumento di
apostolato.
In
questa visione e su questi sentimenti si regge tutta la battaglia
contro la moda; con il 29 giugno 1920 le donne cattoliche escono
definitivamente dai percorsi usuali per affermare pubblicamente ed
energicamente la loro presenza e per dar vita ad un nuovo modello di
impegno femminile cattolico che impronterà di sé buona parte del
secolo.
3. Vestirsi di bianco: le codificazioni sartoriali e l'apostolato della purezza
Oltre
alle manifestazioni nazionali, la testimonianza più organica della
massiccia opera di moralizzazione intrapresa dall'Ufci ci viene
offerta dalla stampa d'associazione.
Le
socie devono attenersi sempre ed ovunque alle regole reiteramente
diffuse dai giornali del movimento:
1.
La parte superiore dell'abito non deve lasciar scoperto di più del
collo: non ci deve essere nessuna scollatura.
2.
Le maniche devono coprire almeno metà dell'avambraccio.
3.
La lunghezza dell'abito deve oltrepassare il polpaccio delle gambe.
4.
Non si devono usare abiti o parte di abiti trasparenti, se non muniti
di sottoveste.
5.
Gli abiti non devono eccessivamente stretti né troppo attillati15.
Ogni
gieffina deve, inoltre impegnarsi non solo a «vestire
correttissimamente», ma anche «secondo la sua condizione
sociale»16.
È
evidente che il livellamento delle «differenze» prodotto dalla
nuova moda è fonte di gravi preoccupazioni per la dirigenza
dell'Ufci. Il modello estetico della «donna-crisi», almeno nelle
sue linee essenziali, consente di essere ugualmente adottato dalle
donne di strati sociali molto diversi. Tale democratizzazione
dell'abito è considerata foriera di smarrimenti della coscienza,
soprattutto quando l'ansia di imitazione arriva a generare il «lusso
delle povere»:
il
lusso è una specie di epidemia che si attacca [...] perché c'è il
lusso anche delle povere [...] non vedete l'operaia che mangia solo
la minestra per pagarsi le calze di seta, non vedete la famiglia di
impiegati che vive alla diavola per concedersi il cinematografo la
domenica [...] il lusso, che vuol figurare una gran signoria, ci
porta dritti alla miseria17.
Scopo
dell'Azione cattolica è rendere consapevole ogni ragazza che quella
in cui vive è la migliore delle condizioni possibili perché ogni
situazione sociale, civile e personale è un campo d'apostolato
fecondo e soprattutto specifico, affidato ad una sola persona e a
quella soltanto. In questo modo la socia della Gfci vive tutto ciò
che la vita propone con «tono soprannaturale» e non ha più senso,
una volta assorbita tale convinzione, desiderare qualcosa di diverso
da quella che è la propria condizione oggettiva.
È
interessante notare come, con altrettanto vigore, le dirigenti
condannino la trasandatezza, figlia di quella falsa pietà, di quella
visione distorta della devozione in base alla quale la donna
veramente pia «si mette sciatta e disordinata in modo da far credere
che per piacere a Dio bisogna far paura alla gente»18.
Allora
vengono ammesse una bellezza ed una eleganza che non nascono dal
lusso e che anzi possono diventare, attraverso un'imprescindibile
tensione soprannaturale, validi strumenti d'apostolato: «Una persona
che piace anche agli occhi è più ascoltata [...] tutti i cristiani
hanno il dovere di essere belli [...] Noi che dobbiamo esser apostoli
dobbiamo attrarre [...]»19.
E
così accanto alle rubriche di formazione a orientamento etico, dal
1926 appare, su «Squilli di Risurrezione», una vera e propria
rubrica di moda.
Firmata
da Sorella Marta, è una breve rassegna sulle ultime tendenze
dell'abbigliamento che pur le socie della Gfci devono seguire se,
come dice Sorella Marta: «Un po' di moda ci vorrà anche per la Gfci
che non deve trascurare quanto può giovarle socialmente!»20.
Le
indicazioni sulle novità di stagione sono abbastanza scarne - nulla
a che vedere, ad esempio, con la ricchissima ed esaustiva Rassegna
dell'Eleganza Femminile pubblicata
annualmente dall'«Almanacco della Donna Italiana» - ma è
significativo che un giornale di formazione come «Squilli di
Risurrezione» pubblichi alcuni dettagliati figurini di moda,
disegnati secondo le regole dell'eleganza cristiana. Con lo stesso
intento compare su «Fiamma Viva», la rivista dedicata alle
signorine di buona famiglia, un'analoga ma ben più articolata
rubrica: Madamigella
Moda.
Rispetto
alla rubrica di Sorella Marta, gli articoli di «Fiamma Viva» sono
più ampi, descrittivi e puntuali nelle indicazioni tecniche,
generosi di consigli stilistici. In ogni uscita di Madamigella
Moda vengono
presentati figurini molto più numerosi e soprattutto molto più
curati di quelli che appaiono in «Squilli di Risurrezione». Sono
accompagnati da commenti e descrizioni circostanziati, chiaramente
rivolti ad un pubblico per il quale la scarna rigidità dei diktat di
«Squilli di Risurrezione» non sarebbe stata sufficientemente
convincente.
La
dirigenza dell'Ufci dedica poi, particolare attenzione ai Congressi
dell'associazione: essi, infatti diventano occasioni per esibire
pubblicamente il cammino percorso dalle socie anche in tema di
pudore. Lo stesso abbigliamento richiesto è parte integrante di
tutta la liturgia che guida questi grandi movimenti di aggregazione.
Ad
esempio nel Congresso del 1925 è il colore bianco a trionfare,
simbolo orgoglioso di una presenza femminile che vuol essere pura,
silente, ma incisiva. Bianco il vestito, bianco il velo e bianche le
calze, sembra che il Vaticano sia coperto da questo colore, grazie
alle quattromila pellegrine che giungono da tutta Italia: «È tutto
candido in questo momento: innanzi al Papa bianco, è prostrata una
teoria di vergini candide, su di esse si eleva un labaro anch'esso
bianco [...] Sia l'anima nostra sempre un giglio di purezza
in
modo che l'abito e il velo che in questo momento indossiamo siano il
completamento di un candore interiore»21.
Ed
ancora di più, durante il Congresso del decennio della Gfci
celebrato a Roma dal 14 al 20 luglio 1928, questo trionfo del bianco
raggiungerà toni da apoteosi. Preceduto e preparato da una grande
iniziativa nazionale - la Crociata della Purezza, volta alla
formazione permanente delle virtù angeliche - tale Congresso impone,
per le funzioni e le sfilate, abiti, velo e calze rigorosamente
bianchi. Si offre alle congressiste l'occasione di acquistare l'abito
attraverso «Squilli di Risurrezione», nella preoccupazione di
un'osservanza stretta delle regole e di una auspicata uniformità
anche nelle linee dell'abito. Pur già modestissimi, i modelli
forniti dal giornale devono essere guarniti dalle socie «con un
ricamo o un pizzo» oppure da «una fila di bottoncini in modo da
tenere ben chiuso il collo» e devono essere completati da una
sottoveste accollatissima, lunga quanto l'abito, con le mezze
maniche, atta ad «impedire ogni trasparenza». Non sono ammesse
deroghe, né a causa della stagione che pur viene definita
«caldissima», né a causa di altri impedimenti: coloro che non
hanno avuto tempo e modo di confezionarsi l'abito bianco o di farselo
prestare e si presenteranno al congresso pur in abiti correttissimi
«saranno messe sempre in coda alle sfilate e manifestazioni»22.
E,
finalmente, il pomeriggio del 15 luglio 1928 Papa Pio XI concede
udienza alle congressiste che si sentono testimoni di un apostolato
della purezza così gradito al Pontefice, nelle cui mani consegnano i
frutti del loro lavoro e della loro battaglia.
Alle
ore 15, l'aspetto di piazza S. Pietro, invasa da «grandi gruppi di
giovani bianco vestite e bianco velate», cambia; giunte nel cortile
di S. Damaso, dove si svolgerà l'udienza, le diecimila congressiste
rivestono e trasformano con il loro candore lo spazio circostante:
«Si ha l'impressione di una nevicata in piena estate». L'apparire
del Pontefice scatena un'ovazione da parte delle ragazze che
stravolgono il cerimoniale agitando i loro fazzoletti bianchi: «Lo
spettacolo è di una fantastica bellezza: si ha l'impressione di un
volo di colombe, di una candida nevicata vivente, di un immenso cesto
di fiori bianchi. Il Papa stesso si arresta, sorpreso, commosso,
ammirato dinanzi a quel mare agitato da una sola passione: l'amore
pel Vicario di Cristo!»23.
Alla
fine dell'udienza, al ritorno delle socie, di nuovo «la piazza di S.
Pietro sembra cosparsa di gigli». La purezza espressa nel contegno,
nell'espressione e soprattutto nell'abbigliamento, permette loro di
attraversare «il fango del mondo» senza esserne contaminate. La
purezza, prima di ogni altra cosa, sarà la divisa, l'uniforme in
base alla quale ogni tentativo di insubordinazione, o solo di
discussione ed elaborazione personale, verrà censurato sul nascere,
ma che, nel contempo, permetterà alle donne cattoliche di vivere una
particolare, e altrimenti loro negata, forma di emancipazione.
Note
*
Questo breve articolo è tratto dalla tesi di una laureanda del
nostro Dipartimento.
Prende
in considerazione, attraverso lo studio dei giornali femminili
cattolici e fonti archivistiche dell'Azione Cattolica, la posizione
della Chiesa verso l'evoluzione del costume e della moda femminile
negli anni delle grandi trasformazioni post-belliche. Si tratta solo
di uno spunto ma quanto mai significativo della tematica ben più
generale che riguarda il rapporto tra Chiesa e processi di
modernizzazione degli anni Venti e Trenta. Proprio nella denuncia
delle manifestazioni della nuova e aggressiva femminilità degli anni
Venti, la Chiesa dimostra di saper sfruttare e gestire in proprio
l'emancipazione delle donne attraverso la crescita di un battagliero
laicato femminile sempre più presente nella società.
1.
«Squilli di Risurrezione», 1921.
Il
lavoro si è basato sulle seguenti fonti:
La
stampa del movimento femminile cattolico: «Bollettino
d'organizzazione dell'Unione Femminile Cattolica Italiana»,
1918-1925; «In Alto!», 1920-1928; «Squilli di Risurrezione»,
1921-1928; «Fiamma Viva», 1921.
I
fondi: Archivio dell'Istituto per la storia dell'Azione Cattolica e
del movimento cattolico in Italia «Paolo VI»: fondo Unione
Popolare, c. 23 (1914) e c. 45 (1920); fondo Cavagna Barelli c. 56
(1921-1934) e c. 63 (1913-1943); Archivio dell'Istituto Magistrale
«Vittoria Colonna» di Roma.
I
giornali e le riviste: «Civiltà Cattolica», 1917-1928;
«L'Osservatore Romano», 1918-1926; «Rivista del Clero Italiano»,
1920-1925.
2. Il
Santo Padre e l'Unione Femminile Cattolica Italiana,
in «Bollettino d'organizzazione dell'Unione Femminile Cattolica
Italiana, da ora «Bollettino Ufci», 15.11.1919, p. 1.
3. Ibidem.
4.
«Bollettino Ufci», 1.6.1920, p. 3.
5.
«Bollettino Ufci», 1.10.1919, p. 3.
6.
Sul «Bollettino Ufci» del 15.5.1920, Armida Barelli pubblica
un Ordine
di mobilitazione che
non ammette repliche: «Il Comando Supremo ha parlato: il Papa vuole
si combatta la moda invereconda. E la Gioventà Femminile Cattolica
Italiana dichiara
guerra alla moda
immorale.
La dichiarazione ha luogo a Roma il 16 maggio... Le ostilità si
inizieranno al mese di giugno, il mese del Sacro Cuore, nostro Capo
adorato. Le rappresentanti dei Consigli diocesani e dei Circoli
convenute a Roma discuteranno i mezzi più efficaci per vincere
l'ardua battaglia».
7.
«Bollettino Ufci», 1.6.1928, p. 3.
8.
«Civiltà Cattolica», 1920, p. 172.
9.
Archivio dell'Azione Cattolica, fondo Unione Popolare, doc. 64, c.
45.
10. Ivi, doc.
54, 64, 71.
11. Ivi, doc.
56, 71, 49.
12.
«L'Osservatore Romano», 16.7.1924, p. 2.
13.
Nel 1930 i sacerdoti avranno una norma molto più precisa alla quale
riferirsi: «Le fanciulle e le donne che vestono abiti disonesti,
siano allontanate dalla Santa Comunione e dall'Ufficio di madrine nei
Sacramenti del Battesimo e della Cresima, e, nel caso, s'impedisca
loro anche l'ingresso in Chiesa», dalle Istruzioni
della Sacra Congregazione del Concilio sulla moda femminile agli
Ordinari d'Italia,
Città del Vaticano, 1930, in A. Cava,Ineluttabile.
Moda e Mode,
Milano, 1940, p. 199.
14. Ivi, doc.
42. L'affettuoso diminutivo fa pensare a Teresa Pallavicino,
Teresina, come amava chiamarla la Barelli. Teresa Pallavicino, di
nobile famiglia parmense, viene avvicinata, durante il Congresso
dell'Ufci del 1919, dalla Barelli che le propone di impegnarsi nella
dirigenza della Gfci. Comincia così tra Armida Barelli e la
marchesina Pallavicino una collaborazione ed una amicizia che le
seguirà per tutta la vita. Cfr. M. G. Tanara,Teresa
Pallavicino,
in Dizionario
storico del movimento cattolico in Italia, 1860-1980,
Torino, 1981, III/2, pp. 621-622; A. Barelli, La
Sorella Maggiore,
cit., pp. 88-93.
15.
«Squilli di Risurrezione» (da ora «Squilli»).
16. Ivi, 1.2.1924,
p. 4.
17.
«In Alto!». giugno 1920, p. 2.
18.
«Squilli», 24.2.1922, p. 7.
19.
«In Alto!», luglio 1921, p. 2.
20. Ivi, 15.2.1926,
p. 3.
21. Ivi, 15.10.1925,
p. 5.
22. Ivi, 1.7.1928,
p. 4.
23. Ivi, 15.7.1928,
pp. 10-11.
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