di Vito Mancuso
Fra
le cinque figure spirituali che ho scelto per interpretare questo
tema, è la più contraddittoria, perché in lei si possono trovare
pagine di luminoso amore per il mondo e per la vita accanto ad altri
di segno opposto e se dovessi paragonarla a un pittore, penso che
potrei fare il nome di Caravaggio, Rembrant… Però se c’è una
cosa che appare contraddizione non è un segno negativo, al
contrario, nella misura in cui è teorizzata, la contraddizione ha la
capacità di portare il pensiero al cospetto del chiaro-scuro della
vita, che è meraviglia e che è terrore nello stesso tempo e Simone
Weil, teorizza esplicitamente la contraddizione.
Ascolteremo,
infatti, adesso un suo pensiero al riguardo tratto da un testo del
1941 che si intitolava “Qualche riflessione sulla nozione di
valore”: “Quanto alle contraddizioni interne alle dottrine ogni
pensiero filosofico ne contiene, ma ciò non è una imperfezione del
pensiero filosofico, ne è anzi una caratteristica essenziale, senza
la quale non vi è che una falsa apparenza della filosofia, perché
la filosofia non costruisce niente, il progetto è già dato e sono i
nostri pensieri, essa ne fa soltanto l’inventario. Se nel corso
dell’inventario trova contraddizioni, non dipende da lei
sopprimerle, le contraddizioni che la riflessione trova nel pensiero,
quando ne fa l’inventario, sono essenziali al pensiero, si farebbe
un progresso decisivo se si decidesse di esporre direttamente le
contraddizioni essenziali, invece di cercare inutilmente di
evitarle”.
Le
contraddizioni sono essenziali al pensiero. Chi può dire una frase
così? Lo può dire un pensatore, infatti Simone Weil questo era
innanzitutto: una filosofa. Simone Weil sarà una dei maggiori
pensatori del 900. Nata a Parigi il 3 febbraio 1909 e morì a soli 34
anni nel 1943 in Inghilterra. Siamo nel mezzo della II guerra
mondiale, nata in una famiglia ebrea, il padre era un medico Bernard
Wail originario dell’Alsazia, ma giungendo in Francia disse: no ci
dobbiamo chiamare Weil esattamente come è la pronuncia francese.
Questo lo dico perché spesso si sente dire Wail, la pronuncia più
corretta, in fedeltà alla scelta della famiglia, è Simone Weil.
Anche la madre era ebrea Selma, proveniva da una famiglia molto
colta, molto ricca.
La
caratteristica di S. Weil è che a lei capitò di nascere accanto a
un vero e proprio genio, il fratello Andre, tre anni maggiore di lei,
divenne un matematico di fama internazionale, aveva una intelligenza
precoce, brillantissima e probabilmente si deve anche a questo il
fatto che S. Weil ebbe una crisi mentre era nell’adolescenza,
perché si ritenne scarsamente dotata a livello intellettuale, lei
che invece, è una dei geni più luminosi che il 900 contiene. Devo
dire che però si riprese presto, frequentò con successo il miglior
liceo di Parigi, preparò il concorso per l’ammissione alla Normale
a 19 anni, lo vinse, venne ammessa, a 22 conseguì la laurea in
filosofia e l’abilitazione all’insegnamento.
Di
S. Weil ne sto parlando come di una figura spirituale, ma lei non fu
fin dall’inizio della sua vita una persona che coltivava la
dimensione religiosa, al contrario, quando una compagna di classe si
convertì al cattolicesimo, questa fu l’occasione per rompere
l’amicizia con questa compagna. Poi un’altra cosa da ricordare è
che la vera importanza consisteva nel contatto con il movimento
sindacale e gli ambienti politici di sinistra, il contatto con gli
strati più umili della società al punto tale che lei decise di
andare a lavorare in fabbrica nel 1934, rinunciò di fare
l’insegnante, si fece assumere alla Renault e poté resistervi per
solo un anno, perché non era decisamente portata per il lavoro
fisico.
Fu
sempre per questo suo senso profondo della giustizia che la portò ad
andare in Spagna come volontaria per la Repubblica durante la guerra
civile. Lì ebbe un incidente, poiché a un certo punto mise un piede
nell’olio bollente di un enorme padella e si deve a questo che poté
tornare a casa viva, perché poco tempo dopo la sua compagnia venne
sterminata da lì a poco. Nel frattempo, e qui veniamo a una
dimensione religiosa, il suo cammino spirituale si era fatto via via
più intenso, fino a una vera e propria esperienza mistica, nel 1938
Simone la descrive con una frase che è diventata celebre “Cristo è
disceso e mi ha presa”.
Ecco
un altro brano: “Nel 1938 ho passato dieci giorni nell’abbazia di
Sollerno, dalla domenica delle Palme al martedì di Pasqua, seguendo
tutte le funzioni. Un giovane inglese cattolico mi fece conoscere
quel poeta inglese del 600 che venivano detti metafisici, più tardi
nel leggerli vi ho scoperto una poesia intitolata “Amore”, l’ho
imparata a memoria e spesso, nei momenti culminanti delle violenti
crisi di emicrania, mi sono esercitata a recitarla, ponendovi la
massima attenzione e aderendo con tutta l’anima alla tenerezza che
essa racchiude. Credevo di recitarla soltanto come una bella poesia,
mentre a mia insaputa quella recitazione, aveva la virtù di una
preghiera, fu proprio mentre la stavo recitando che Cristo è disceso
e mi ha presa”.
Vi
sto parlando di Simone Weil, ve ne sto parlando come luminosa figura
spirituale di amore verso il mondo. Nel brano letto poco fa, si può
davvero considerare la via di Damasco di Simone Weil, lei che era
cresciuta in una famiglia agnostica, lei che aveva rotto l’amicizia
con una compagna che si era convertita al cattolicesimo, bene lei ha
scritto: Cristo è disceso e mi ha presa. È una via di Damasco una
vera e propria folgorazione, ma c’è una differenza decisiva
rispetto a S. Paolo e direi anche rispetto agli altri convertiti
della lunga storia del cristianesimo. La differenza decisiva è che
tutti i convertiti passano dalla folgorazione cristica alla Chiesa,
confluiscono nella Chiesa, Simone Weil sceglie deliberatamente di non
chiedere il battesimo e di non entrare nella Chiesa cattolica.
Perché? Qualcuno ha ipotizzato che negli ultimi giorni della vita
lei chiese e ottenne il battesimo, ma gli studi più seri, le
biografie più documentate hanno sempre negato queste circostanze.
Lei
stessa scrive in una celebre lettera a un Padre Domenicano: “La mia
vocazione è di essere cristiana fuori dalla Chiesa” quindi fuori
dalla Chiesa, perché dice una cosa del genere? La sua risposta è
chiara: “La Chiesa non è cattolica di fatto come lo è di nome”,
cosa vuol dire cattolico? Tutti sanno che cattolico significa
universale, secondo Simone Weil, ciò che manca alla Chiesa cattolica
romana, è proprio l’essere pienamente universale, cioè essere in
grado di abbracciare tutti gli esseri umani di tutti i tempi e di
tutti i luoghi. Simone non accetta, non vuole il battesimo, perché
non accetta la condizione particolare, lei dice a volte perfino
settaria che l’essere cattolici comporta e separando di fatto in
molti aspetti chi aderisce al cattolicesimo dal resto dell’umanità.
Ed è questo il paradosso, proprio una Chiesa che si definisce
cattolica cioè universale, in realtà cattolica non è, ed è per
questo che dice di non entrare nella Chiesa, non chiedo il battesimo.
Questo è veramente l’elemento che deve far pensare con radicale
profondità tutti i cattolici.
Io
sono un cattolico, sono all’interno della Chiesa, ci sono, ci
rimango, ma questa dimensione dell’universalità della cattolicità,
che manca alla Chiesa cattolica così come è realmente costituita, è
come una spina nel fianco e devo dire che io interpreto il mio lavoro
teologico proprio in questa direzione, come spinta, perché la Chiesa
cattolica sia cattolica veramente di fatto e non solo di nome. Questo
è ciò che Simone Weil ha consegnato e continua a consegnare alla
mia vita, ed è ciò che anche a voi che mi ascoltate, io voglio
proporre come fonte di profonda meditazione.
Vi
parlo di Simone Weil come di una testimone privilegiata della
dimensione spirituale del 900, dimensione spirituale che significa
amore per il mondo, non come contrapposto all’amore per Dio, come è
nella tradizione precedente e soprattutto di tipo agostiniano, una
tradizione che sottolinea con profondità il
dualismo-contrapposiazione tra il mondo e Dio, ma amore per il mondo
che è al contempo amore per Dio che è al contempo amore per il
mondo. Questa è la dimensione nuova che la spiritualità del 900 ha
portato e di cui Simone Weil è una dei testimoni privilegiati.
In
particolare il pensare l’universalità della salvezza. Si deve
prendere così sul serio che Dio è Padre di tutti gli uomini da
portare a teorizzare la possibilità della salvezza per tutti gli
uomini di tutti i tempi. Ed è ciò che Simone Weil con profondità,
con rigore, teorizza nei suoi diari, nei suoi scritti che sono di una
bellezza e al contempo di un rigore geometrico veramente singolare.
Quello che a lei sta precisamente a cuore è che Dio è Padre di
tutti gli uomini, quindi non può non avere inserito da subito nella
creazione, la possibilità della salvezza per ogni essere umano.
E
infatti, per lei la redenzione, è presente sulla terra fin
dall’origine, per Simone il Cristo è presente su questa terra
ovunque ci sia un crimine e una sventura. Quindi si deve affermare
che il contenuto del cristianesimo esisteva prima del Gesù storico.
Tale universalità non riguarda soltanto i fedeli delle altre
religioni, questa e poi la cosa veramente spettacolare di lei, ma
riguarda anche gli atei, anche gli agnostici, nella misura in cui le
loro azioni, i loro pensieri sono abitati dalla giustizia, dalla
rettitudine, dall’amore per il bene e per la verità. Ecco come
dire, che il seme che è contenuto fin dall’inizio nella creazione,
il seme salvifico, cioè l’amore per la giustizia e per il bene e
per la verità. Quando un uomo ospita dentro di se questo amore per
la giustizia, per il bene e per la verità e agisce di conseguenza è
salvo, è nel divino e nella dimensione dell’eterno. Questo è ciò
che Simone Weil continuamente ribadisce ed è ciò che a mio avviso
deve portare a una ritrascrizione complessiva della teologia. Occorre
rifondare la teologia alla luce di questo nucleo fondamentale, cioè:
che la salvezza divina è per ogni uomo di ogni tempo. O è
universale, il linguaggio del divino, o non è.
Ascoltiamola:
“I figli di Dio non devono avere quaggiù altra patria che
l’universo intero. Con la totalità delle creature ragionevoli che
ha contenuto e contiene e conterrà, il nostro amore deve avere la
stessa estensione attraverso tutto lo spazio. Ogni qual volta un uomo
ha invocato con cuore puro Osiride, Dioniso, Crisna, Budda, Il Tao
ecc. il Figlio di Dio ha risposto inviandogli lo spirito Santo e lo
Spirito Santo ha agito sulla sua anima, non inducendolo ad
abbandonare la sua tradizione religiosa, ma dandogli luce e nei
migliori dei casi la pienezza della luce all’interno di tale
tradizione. Poiché in occidente la parola Dio, nel suo significato
corrente, disegna una persona, quegli uomini nei quali l’attenzione,
la fede e l’amore si applicano quasi esclusivamente al perfetto
impersonale di Dio, possono credere e dirsi atei, sebbene l’amore
soprannaturale abiti nella loro anima. Costoro sono sicuramente
salvati e si riconosce dal loro atteggiamento verso le cose di
quaggiù, quelli che possiedono allo stato puro l’amore per il
prossimo e l’accettazione dell’ordine del mondo compresa la
sventura, costoro sono tutti sicuramente salvati, anche se vivono e
muoiono in apparenza atei”.
Abbiamo
ascoltato delle parole veramente folgoranti, quelli che possiedono
allo stato puro l’amore per il prossimo e l’accettazione
dell’ordine del mondo, costoro sono tutti sicuramente salvati anche
se vivono come atei. Ecco vedete, questa è una frase potentissima
che ancora a mio avviso è bel lungi dall’essere entrata nel
patrimonio spirituale condiviso, ma questa è esattamente la potenza
del pensiero di questa donna che, oltre che a essere una pensatrice,
è una testimone, anzi si può dire che è pensatrice che ancora
parla agli uomini di oggi, proprio in quanto è una testimone, una
persona che ha sofferto sulla propria pelle, nella vita di ogni
giorno le proprie idee. Non ha teorizzato semplicemente ha messo in
pratica, come si usa dire tradizionalmente con un linguaggio
religioso.
Perché
vedete, per Simone Weil, la fede in Dio si esprime praticamente per
mezzo di un retto pensiero sul mondo e della retta azione in esso.
Questo vuol dire credere in Dio, non credere in qualcuno che sta
chissà dove, da qualche parte, ma avere un retto pensiero sul mondo
e agire rettamente all’interno del mondo. Infatti, La Weil diceva
che l’oggetto della sua ricerca non era il soprannaturale, il
soprannaturale per definizione non si può ricercare, è al di là di
noi che siamo solo natura, l’oggetto della sua ricerca era questo
mondo, il soprannaturale era in un certo senso la luce per leggere
adeguatamente i fenomeni di questo mondo e la logica che li lega.
Ne
viene che credere in Dio non significa professare dottrine di cose
lontane, tantomeno partecipare a riti particolari, ma significa avere
una determinata visione del mondo e compiere determinate azioni in
esso. Il principale banco di prova di tutto questo teorizzare è dato
dall’atteggiamento pratico verso gli altri esseri umani. Simone
Weil dice in concreto di avvertire un obbligo verso ogni altro nostro
simile, se l’uomo avverte questo obbligo dentro di se significa che
è chiamato all’eternità. Questa è la dimensione, se tu vedi
un’altro uomo, un’altra donna e senti un obbligo verso di lui,
senti che la tua relazione verso questa persona non è semplicemente
di utilizzo, non è una cosa quella persona che stai incontrando, non
è uno strumento, ma diventa un fine, per usare le parole del radioso
l’imperativo della ragione pratica secondo Kant: “Agisci in
maniera da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella
di ogni altro, sempre come fine e mai semplicemente come mezzo”.
Cosa vuol dire che noi dobbiamo considerare gli altri come dei fini?
Significa esattamente avvertire un obbligo, affinché noi nei
confronti degli altri non abbiamo un atteggiamento semplicemente
strumentale, la persona che avverte questa dimensione, esce dalla
logica normale del mondo, ed entra nella dimensione dell’eterno. Ed
è così che si è uniti a Dio, in questo senso amore per Dio e amore
per il mondo sono precisamente la stessa cosa.
Per
quanto riguarda me personalmente, se continuo a credere è perché
sento con profondità che la fede vissuta così, è ciò che realizza
perfettamente il senso di comunione come con gli altri, con la mia
famiglia, le persone che incontro, non è qualcosa che mi aliena, ma
è qualcosa che mi mette in relazione in maniera profonda, più vera,
autentica e questo è il vero e proprio banco di prova dell’essere
uomini.
La
spiritualità del 900 si caratterizza per avere introdotto una
modalità nuova di pensare il rapporto Dio-mondo, non più quella
dualistica: se ami Dio devi odiare il mondo, ma quella unitaria.
L’amore per Dio si traduce nell’amore per il mondo, ebbene Simone
Weil è una testimone privilegiata di questo. La sua figura è una
grandissima provocazione alla Chiesa cattolica, perché noi quando
parliamo di Simone Weil ci troviamo di fronte a una mistica di
primissimo livello, lei che veniva da una famiglia agnostica, che si
era formata nel miglior liceo di Parigi, che aveva conseguito il
massimo dei voti alla Normale, che aveva prodotto delle pagine di
filosofia, di logica, di matematica di primissimo livello, ebbene,
questa donna così rigorosa dice: Cristo è sceso e mi ha presa.
Questa donna testimonia nei suoi diari e nei suoi scritti tre precisi
momenti mistici.
Ebbene
in che cosa consiste la provocazione alla Chiesa che la figura di
Simone Weil è? Consiste nel fatto che ha avuto un contatto con la
figura di Cristo così intenso e così privilegiato, sceglie di non
entrare nella Chiesa, questa è la questione decisiva. Fin quando la
Chiesa non approfondisce dentro di se, non si fa provocare da questa
dimensione di una spiritualità che per rimanere pura, per rimanere
veramente fedele alla dimensione della verità, decide di non legarsi
a una istituzione. Fino a quando la Chiesa non capisce questa cosa,
corre il rischio di diventare un fenomeno di divisione nell’umanità,
corre il rischio di non essere fedele al suo statuto che è quello di
essere cattolica, cioè universale, cioè la casa di tutti.
Io
ritengo che ciò che il nostro tempo chiede alla Chiesa oggi, è
questa apertura totale dell’anima, questa capacità di abbracciare
tutte le religioni, tutte le dimensioni, tutte le spiritualità e se
mai avverrà non potrà essere in maniera indolore. Deve comportare
una rifondazione della fede, una modalità nuova di pensare alla
fede, è quello che tento di fare. Ho pubblicato un libro che si
intitola “Per amore rifondazione della fede” nel 2005 e verrà
ripubblicato con solo questo titolo: “Rifondazione della fede” ed
è dedicato a Simone Weil, perché in lei vedo questa grandissima
provocazione verso la fede. O si rifonda totalmente la modalità di
pensare il rapporto Dio-mondo e quindi il ruolo della Chiesa, o
questo nostro Occidente sarà destinato ad andarsene per una strada
inevitabilmente diversa rispetto a quello istituzionale della Chiesa
cattolica. La frattura fra gli uomini e la Chiesa sarà destinata a
diventare sempre più grande.
Sentite:
“C’è obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto che è
un essere umano. Quest’obbligo non si fonda su nessuna situazione
di fatto, su alcuna convenzione, quest’obbligo è eterno, risponde
al destino eterno dell’essere umano, quest’obbligo non ha un
fondamento bensì una verifica nell’accordo della coscienza
universale, è espresso da taluni dei più antichi testi che si siano
stati conservati, viene riconosciuto da tutti. Il fatto che un essere
umano possieda un destino eterno, impone un solo obbligo: il
rispetto. L’obbligo è adempiuto soltanto se il rispetto è
effettivamente espresso in modo reale e non fittizio e questo può
avvenire soltanto attraverso i bisogni terrestri dell’uomo. La
coscienza umana su questo punto non è mai mutata. Migliaia di anni
fa gli egiziani credevano che un’anima non potesse giustificarsi
dopo al morte se non poteva dire: non ho fatto patire la fame a
nessuno. E Cristo dice: Ho avuto fame e tu mi hai dato da mangiare”.
Siamo
giunti al termine di questa puntata su Simone Weil, che in
conclusione era certamente una donna con doti intellettuali
certamente superiori, padroneggiava tutti i campi del sapere con
disinvoltura, chi di voi ha letto e leggerà i suoi quaderni 4
ponderosi volumi, si rende conto fin dalle prime pagine che ci si
trova davanti a un genio che si muove sul terreno della fisica con la
stessa scioltezza con cui si muove sul terreno del greco classico,
traduce di prima mano Platone, impara il sanscrito da sola per
leggere direttamente la Bhagavadgita, che per Simone aveva una
importanza straordinaria pari a quella del Vangelo, quindi una donna
di intelligenza superiore.
Possiamo
dire che è una donna che contiene dentro di se le due grandi
passioni del 900, che sono la politica e la scienza. Simone Weil fu
anche una esponente del mondo sindacale, fu una attivista di sinistra
per buona parte della sua vita. Questa donna secondo me è proprio
emblematica per la situazione spirituale dei nostri giorni, perché
partendo da posizioni agnostiche, lei mette in atto un cammino
escetico e mistico tra i più rigorosi, fino a sperimentare dentro di
se la figura di Cristo.
Questa
donna tanto unita a Cristo, sceglie di non entrare nella Chiesa a
causa del disagio dell’intelligenza ad abbracciare la dottrina
cattolica, così come si è configurata, comporta. Diceva spesso
che: “Quando leggo il catechismo mi sembra di avere nulla in
comune con la religione che vi è esposta”. In conclusione io dico
che questo disagio dell’intelligenza che ha avvertito Simone Weil è
comune a mio avviso a molti uomini e donne dei nostri giorni, perché
la funzione propria dell’intelligenza esige libertà, questo è
quello che manca nell’attuale configurazione della Chiesa
cattolica. Occorre fare propria la grande lezione di Simone Weil e
giungere a una rifondazione della fede.
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