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Gilbert Keith Chesterton. L'avventura umana e letteraria di un Uomo Vivo


di Fabrizio Saracino

Vi presentiamo oggi la relazione introduttiva di Fabrizio Saracino per un convegno, tenutosi a Perugia e organizzato dalla FUCI locale, su Gilbert Keith Chesterton

Il Gruppo FUCI “Giuseppe Toniolo” in occasione dell’Anno della Fede ha deciso di affrontare un percorso tematico alla riscoperta di alcune importanti figure del laicato cattolico, dedicando in maniera particolare un incontro pubblico sulla figura di Gilbert Keith Chesterton.
Ora alcuni di voi si staranno chiedendo: perché un incontro proprio su Chesterton? Questa mia breve introduzione avrà come scopo quello di cercare di rispondere a questa domanda.


Una delle cose che mi colpì leggendo il mio primo libro di Chesterton, fu una totale incomprensione al fatto che questo scrittore, così talentuoso e divertente da leggere, fosse così poco conosciuto. Chesterton era un gigante, il suo essere mastodontico portava la sua sedia a scricchiolare ogni volta che prendeva posto ad una conferenza, evocando tra i presenti un sentimento misto tra ilarità e terrore al tempo stesso, tanto che arriverà a tessere un elogio della propria poltrona per le sue virtù eroiche. Ma egli non era grande solo fisicamente o figurativamente, fu infatti pittore, poeta, brillante giornalista, filosofo, drammaturgo, acuto critico letterario, saggista, romanziere, giallista, umorista, apologeta e sto sicuramente tralasciando qualcosa.
Da giovane imparò a leggere tardivamente, mostrando un preoccupante ritardo: «O è un genio o è un idiota», disse il medico che lo visitò all'epoca. Dopo aver abbandonato l’università dovette affrontare una forte depressione, superata anche grazie all’aiuto delle sacre scritture, in particolare il libro di Giobbe: alla sua guarigione seguirà un vero e proprio ritorno alla vita.
Il suo temperamento e la sua ironia lo porteranno a confrontarsi con i grandi giganti del mondo letterario del suo tempo, da Herbert George Wells a George Bernard Shaw, fino alla candidatura al premio Nobel nel 1934 (che invece andrà a Luigi Pirandello). La sua vita è un cammino alla riscoperta del cristianesimo: «Furono Huxley, Herbert Spencer e Bradlaugh, che mi ricondussero alla teologia ortodossa; essi seminarono nel mio spirito i primi forti dubbi sul dubbio» scriverà l’autore inglese in uno dei sui libri più celebri: Ortodossia, «non avevo mai letto una sola linea di apologetica cristiana».
Chesterton rappresenta l’immagine più autentica della Merry England, discostandosi completamente dall'imperialismo britannico (è infatti uno dei pochi intellettuali ad avere avuto il coraggio di opporsi pubblicamente alla guerra boera), fece suoi gli insegnamenti di Leone XIII e di San Tommaso d’Aquino formulando, insieme a padre Vincent McNabb e Hilaire Belloc, la teoria distributista le cui fondamenta poggiano su quei principi di dottrina sociale della Chiesa Cattolica contenuti nell'enciclica Rerum Novarum e ulteriormente sviluppati da papa Pio XI nell'enciclica Quadragesimo Anno.
Per introdurre meglio il personaggio vorrei leggervi solo alcune righe della recensione alla biografia di San Francesco d’Assisi, scritta da Chesterton nel 1923, (apparsa sulla rivista fucina “Studium” nel 1926) curata da Giovanni Battista Montini, allora assistente nazionale della FUCI che passerà poi alla storia con il nome di Paolo VI.
“[…] Noto è soprattutto il Chesterton perché tra i convertiti al cattolicismo la sua evoluzione spirituale è singolarissima e tipica insieme; nulla di più moderno della sua educazione spirituale, agnostica e artistica, filiazione dell’epoca positivistica che aveva spinto il suo disinteresse per i problemi massimi dello spirito fino a farne un vezzo d’aristocratica eleganza di pensiero, e che forse per questo stesso atteggiamento ricercato aveva lasciato rivedere in sé l’avidità della forma estetica dell’arte, della bellezza, e s’era rifugiata, uscendo dal tempio del vero, ai piedi dei simulacri del bello; Chesterton si dice greco ed arcadico. Ma insieme nulla di più antico, di più tradizionale del contenuto delle sue riconquiste religiose. […] Egli si paragona ad uno che navigando perde la bussola e crede, sbarcando, d’aver scoperto un continente nuovo e vi pianta la bandiera come terra di conquista ed esplorazione; è sbarcato là donde era partito!”
Non togliendo altro tempo ai relatori, concludo questa mia introduzione citando le parole dello stesso Chesterton, dall’Autobiografia, che forse meglio di tutte lo descrivono:
“Inchinandomi con la mia cieca credulità di sempre di fronte alla mera autorità e alla tradizione dei padri, bevendomi superstiziosamente una storia che all'epoca non fui in grado di verificare in persona, sono fermamente convinto di essere nato il 29 maggio del 1874 a Campden Hill, Kensington; e di essere stato battezzato secondo il rito anglicano nella piccola chiesa di Saint George, che si trova di fronte alla torre dell'acquedotto, immensa a dominare quell'altura. Non attribuisco nessun significato al rapporto tra i due edifici; e nego sdegnosamente che la chiesa possa essere stata scelta perché era necessaria l'intera forza idrica della zona occidentale di Londra per fare di me un cristiano”.

Commenti

Anonimo ha detto…
Grande Fabrizio!!!

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