A 21 anni dalla strage di Capaci viene
celebrata, in ricordo di quel 23 maggio 1992, la Giornata della Legalità con una serie di iniziative interessanti
seguite anche dalla RAI. La chiusura ideale avverrà sabato 25 maggio con la
beatificazione di don Pino Puglisi. E’ da un ricordo del prete di Brancaccio
ucciso dalla mafia che noi vogliamo partire, dimostrandoci aperti ai contributi
di tutti e in particolare degli amici del Sud che vorranno intervenire sulle
nostre pagine nei prossimi giorni.
di Vito Magno
(religioso rogazionista, giornalista, membro
del Centro Nazionale Vocazioni)
da:
Rivista "Ai Nostri Amici"
settembre - ottobre 1993
Di
Don Giuseppe Puglisi, il prete assassinato dalla mafia il 15 settembre ‘93, è
stato scritto molto, ma non è stato detto tutto.
E’
morto a cinquantasei anni, ma a leggere i giornali si potrebbe pensare che li
avesse tutti trascorsi nella parrocchia palermitana al Brancaccio, che guidava
da soli tre anni.
Il grosso della sua attività, invece, don Puglisi lo ha dedicato all’animazione vocazionale, prima come direttore del Centro diocesano vocazioni di Palermo, poi del Centro regionale ed insieme come consigliere del Centro nazionale. E anche quando accettò dal cardinale Pappalardo di diventare parroco al Brancaccio non lasciò la direzione spirituale del seminario.
Il grosso della sua attività, invece, don Puglisi lo ha dedicato all’animazione vocazionale, prima come direttore del Centro diocesano vocazioni di Palermo, poi del Centro regionale ed insieme come consigliere del Centro nazionale. E anche quando accettò dal cardinale Pappalardo di diventare parroco al Brancaccio non lasciò la direzione spirituale del seminario.
Difficile sapere quanti sacerdoti, religiosi e suore siano debitori a lui della maturazione e anche del sostegno della propria vocazione. Facile è invece cogliere il concetto che aveva della pastorale delle vocazioni attraverso i suoi articoli e soprattutto le sue poliedriche iniziative.
Pastorale che riteneva non marginale nella vita di ogni sacerdote e di ogni persona consacrata. Amava dire che «non è la vita facile ad attirare i giovani» e con tale convincimento impostava con rigore sia i programmi per animatori vocazionali, sia la propria diretta e personale azione promozionale.
Don
Puglisi aveva anche un chiodo fisso. Era convinto che nel tempo in cui si sa
tutto, in cui l’informazione è tutto, carente e lacunosa è invece la
formazione. Per cui pensò di istituire corsi per animatori a durata biennale,
convegni annuali, scuole di preghiera, e riuscì persino a convincere molti
parroci a dedicare un mese intero dell’anno alla catechesi ed alla preghiera
per le vocazioni.
Come
consigliere del Centro nazionale vocazioni meravigliava per l’assiduità alle
riunioni e per l’inesauribile disponibilità. Da collega non l’ho mai visto
scaldare la sedia! Del resto nessun impegno per lui era mai esclusivamente
formale; il suo «sì» era, voleva e sapeva essere sostanziale.
Eppure,
a vederlo di persona, pareva bastassero poche parole a definirlo. Coraggioso,
ma schivo; lavoratore instancabile, ma sereno e riposato in volto, come
volevano la sua mitezza ed una umiltà del cuore così a lungo coltivata da
sembrare un dono di natura. Il ritratto di un prete «qualunque», un
«anti-eroe», se ad eroe si vuoi dare il significato retorico di una grandezza
rumorosa dai gesti clamorosi. Commosse non pochi di noi, suoi amici, quando
ritirandosi dalle attività dirette in campo vocazionale, disse di avere
accettato di fare il parroco al Brancaccio solo «per obbedienza e per amore».
In verità «per obbedienza e per amore» aveva abbracciato la vita sacerdotale e aveva accettato le responsabilità affidategli. «Per obbedienza e per amore» faceva ogni cosa gli fosse assegnata. Gli incarichi che ricopriva non erano qualcosa di accessorio e di decorativo; lo impegnavano fino in fondo. Il classico age quod agis (fa quel che fai) era il suo codice deontologico. Non c’era cosa, fosse anche il più piccolo e apparentemente trascurabile dei suoi impegni, che egli non portasse avanti sul serio e sino in fondo. Una volta disse persino che avrebbe voluto morire a sessant’anni, temendo che superata quella soglia non sarebbe stato più in grado di portare avanti pienamente il suo lavoro di sacerdote.
E’ certo un fatto: chi ha voluto eliminarlo aveva misurato a dovere il personaggio, poiché aveva capito che sacerdoti come don Puglisi, che non fanno rumore, ma la cui fibra spirituale è saldissima, riescono ad alzare steccati insormontabili di fronte al male, all’ingiustizia, alla menzogna, alla sopraffazione. L’ostinazione dei miti, e persino la loro sconfitta materiale sono sempre una vittoria.
In verità «per obbedienza e per amore» aveva abbracciato la vita sacerdotale e aveva accettato le responsabilità affidategli. «Per obbedienza e per amore» faceva ogni cosa gli fosse assegnata. Gli incarichi che ricopriva non erano qualcosa di accessorio e di decorativo; lo impegnavano fino in fondo. Il classico age quod agis (fa quel che fai) era il suo codice deontologico. Non c’era cosa, fosse anche il più piccolo e apparentemente trascurabile dei suoi impegni, che egli non portasse avanti sul serio e sino in fondo. Una volta disse persino che avrebbe voluto morire a sessant’anni, temendo che superata quella soglia non sarebbe stato più in grado di portare avanti pienamente il suo lavoro di sacerdote.
E’ certo un fatto: chi ha voluto eliminarlo aveva misurato a dovere il personaggio, poiché aveva capito che sacerdoti come don Puglisi, che non fanno rumore, ma la cui fibra spirituale è saldissima, riescono ad alzare steccati insormontabili di fronte al male, all’ingiustizia, alla menzogna, alla sopraffazione. L’ostinazione dei miti, e persino la loro sconfitta materiale sono sempre una vittoria.
Credo
che non andrebbe dimenticato che a dare questa testimonianza eroica fu un uomo
ed un sacerdote che della pastorale delle vocazioni aveva fatto la frontiera
avanzata del suo ministero, e che proprio attraverso questa pastorale aveva
maturato una fedeltà inossidabile al vangelo. Un poster gli era particolarmente
caro; uno dei primi stampati dal Centro nazionale vocazioni e che teneva
permanentemente esposto nel suo ufficio parrocchiale. Questo poster raffigura
un orologio senza lancette con su scritto: «Per Cristo a tempo pieno!»
Non
c’è dubbio che don Giuseppe Puglisi è il primo «animatore vocazionale» italiano
morto martire. E se «il seme dei martiri è seme di cristiani», il suo sangue
farà sbocciare altri coraggiosi animatori vocazionali.
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