Quelli
che chiamiamo abitualmente amici o amicizie sono soltanto
dimestichezze e familiarità annodate per qualche circostanza o
vantaggio, per mezzo di cui le nostre anime si tengono unite.
Nell’amicizia
di cui parlo, esse si mescolano e si confondono l’una nell’altra
con un connubio così totale da cancellare e non ritrovar più la
commessura che le ha unite. Se mi si chiede di dire perché l’amavo,
sento che questo non si può esprimere che rispondendo: “Perché
era lui; perché ero io”.
C’è,
al di là di tutto il mio discorso, e di tutto ciò che posso dirne
in particolare, non so quale forza inesplicabile e fatale, mediatrice
di questa unione.
Ci
cercavamo prima di esserci visti e per quel che sentivamo dire l’uno
dell’altro, il che produceva sulla nostra sensibilità un effetto
maggiore di quel che produca secondo ragione quello che si sente
dire, credo per qualche volontà celeste: ci abbracciavamo attraverso
i nostri nomi. E al nostro primo incontro, che avvenne per caso, in
occasione di una grande festa e riunione cittadina, ci trovammo tanto
uniti, conosciuti e legati l’uno all’altro che da allora niente
fu a noi tanto vicino quanto l’una all’altro.
Le
nostre anime hanno camminato così unite, si sono considerate con
affetto tanto ardente, e con pari affetto si sono scoperte l’una
all’altra fin nel più profondo delle viscere, che non solo io
conoscevo la sua come la mia, ma certo mi sarei più volentieri
affidato a lui che a me stesso…
La
perfetta amicizia di cui parlo io è indivisibile: ciascuno si dà al
proprio amico tanto interamente che non gli resta nulla da spartire
con altri; al contrario, si duole di non essere doppio, triplo o
quadruplo, e di non aver più anime e più volontà per consacrarle
tutte a quell’unico oggetto.
Le
amicizie ordinarie si possono distribuire: si può amare in questo la
bellezza, in quello la dolcezza dei costumi, nell’altro la
liberalità, nell’altro il sentimento di paternità, in un altro
ancora il sentimento di fraternità e così via: ma quell’amicizia
che possiede l’anima e la domina con sovranità assoluta è
impossibile che sia duplice. Se due vi domandassero
contemporaneamente di essere aiutati, da quale correreste? Se vi
domandassero due servizi contrari, che ordine seguireste? Se uno
affidasse al vostro silenzio una cosa che all’altro fosse utile
sapere, come ve la cavereste? L’unica e suprema amicizia esclude
tutti gli altri obblighi. Il segreto che ho giurato di non svelare a
nessun altro posso, senza spergiuro, comunicarlo a chi non è un
altro: è me. E’ un grandissimo miracolo il raddoppiarsi: e non ne
conoscono la grandezza quelli che parlano di triplicarsi. Nullo è
estremo se esiste un suo simile. E chi supporrà che, fra due, io ami
l’uno come l’altro, e che essi si amino fra loro e mi amino
quanto io li amo, moltiplica in confraternita la cosa più unica e
unita che esista, e di cui è già rarissimo trovare al mondo un solo
esempio…
Se
confronto tutto il resto della mia vita, che pure per grazia di Dio,
mi è trascorsa dolce, facile e, salvo la perdita di un tale amico,
esente da gravi dolori, piena di tranquillità di spirito, essendomi
accontentato dei miei agi naturali e originari senza cercarne altri;
se la confronto, dico, tutta quanta ai quattro anni in cui mi è
stato dato di godere della dolce compagnia e familiarità di
quell’uomo, essa non è che fumo, non è che una notte oscura e
noiosa. Da quando lo persi, non faccio che trascinarmi languente; e
perfino i piaceri che mi si offrono, invece di consolarmi, mi
raddoppiano il dolore della sua perdita. Di ogni cosa facevamo a
metà; mi sembra di sottrargli la sua parte.
Michel de Montaigne, Saggi
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