Persi la
fede nello stesso modo in cui l’hanno perduta e continuano a
perderla coloro che hanno ricevuto il nostro stesso tipo di
educazione. Nella maggior parte dei casi ciò accade nel modo
seguente: si vive come vivono tutti, e tutti vivono basandosi su
principi che non solo non hanno nulla in comune con la fede
professata, ma che anzi le sono generalmente contrari e opposti; la
religione non entra nella vita, e non accade mai, sia nei rapporti
con gli altri che in privato, di doverci confrontare o fare i conti
con essa. Viene professata e praticata in qualche regione
indeterminata, lontano dalla vita e indipendentemente da essa. Quando
entriamo in contatto con la fede, la consideriamo normalmente come un
fenomeno esteriore, non collegato all’esistenza.
Fondandosi
sulla vita di un uomo e sulle sue azioni è assolutamente impossibile
capire – sia ai giorni nostri che in passato – se costui sia
credente o meno. Se vi è una differenza tra coloro che professano
esplicitamente la fede e quelli che la negano, ebbene, tale
differenza non va certo a favore dei primi. Sia ai giorni nostri che
in passato, l’esplicita accettazione e professione della fede
ortodossa si riscontra generalmente in persone ottuse, crudeli,
immorali, con un alto concetto di se stesse, mentre l’intelligenza,
l’onestà, la bontà, la rettitudine e il sentimento etico si
ritrovano generalmente in persone che si professano non credenti.
Nelle
scuole s’insegna il catechismo e si costringono gli allievi ad
andare in chiesa; agli impiegati vengono richiesti dei certificati di
comunione. Ma una persona del nostro ambiente, che abbia smesso di
studiare e non occupi un posto nell’amministrazione dello stato,
sia oggi sia – e ancor più – in passato, può vivere decine
d’anni senza ricordarsi neppure una volta di vivere in mezzo a
cristiani e di venir considerato egli stesso un seguace della
religione ortodossa.
Quindi,
sia oggi che in passato, la fede religiosa accettata passivamente e
fondata su pressioni esteriori si dissolve a poco a poco sotto
l’influenza delle conoscenze e delle esperienze della vita ad essa
contrarie, e molto frequentemente accade che si viva a lungo
immaginandosi di conservare intatta quella fede che ci è stata
trasmessa sin dall’infanzia, mentre in realtà già da gran tempo
in noi non ne è rimasta più traccia.
Il mio
amico S., uomo intelligente e sincero, mi ha raccontato come smise di
credere. Aveva già ventisei anni e, trovandosi una volta a passar la
notte fuori di casa durante una partita di caccia, la sera, prima di
coricarsi, s’inginocchiò per recitare le preghiere secondo
un’antica abitudine contratta fin dall’infanzia. Il fratello
maggiore, che era a caccia con lui, se ne stava coricato sul fieno a
guardarlo. Quando S. ebbe finito e si fu coricato a sua volta, il
fratello gli chiese: “Così tu lo fai ancora?”.
Non si
dissero altro, ma da quel giorno S. smise di recitare le preghiere e
di recarsi in chiesa, e ormai da trent’anni non prega, non si
comunica e non frequenta la chiesa. E questo non perché conoscesse
le convinzioni del fratello e le avesse accettate, o perché avesse
preso una qualsiasi decisione cosciente, ma soltanto perché le
parole pronunciate dal fratello erano state come la pressione di un
dito contro una muraglia che stava già per crollare sotto il suo
stesso peso; quelle parole gli avevano fatto capire che là dov’egli
credeva che ci fosse ancora la fede ormai da tempo c’era in realtà
soltanto un vuoto, e che quindi le parole che diceva, i segni di
croce e le genuflessioni che faceva durante la preghiera erano
assolutamente privi di senso. Avendone riconosciuta l’assurdità,
non poteva più continuare a ripeterli.
La
stessa cosa è accaduta e accade – così almeno io credo – alla
stragrande maggioranza delle persone. Parlo di quanti hanno ricevuto
la mia educazione e sono sinceri con se stessi e non di coloro per i
quali la fede è soltanto un mezzo per il raggiungimento di qualche
fine temporale. (Costoro sono in realtà i più radicali miscredenti,
giacché se per loro la fede è soltanto un mezzo per il
raggiungimento di fini mondani, è chiaro che non può chiamarsi
fede). Il mondo della scienza e quello della vita hanno ormai
distrutto per loro l’edificio artificiale della fede, e qualora se
ne siano resi conto hanno già sgombrato il posto vuoto, oppure non
se ne sono ancora accorti.
Io persi
la fede trasmessami nell’infanzia più o meno allo stesso modo, ma
con questa differenza: poiché avevo cominciato, appena quindicenne,
a leggere opere di filosofia, la mia rinuncia alla fede religiosa fu
ben presto cosciente. Fin dall’età di sedici anni per convinzione
interiore smisi di pregare, di andare in chiesa e di digiunare. Non
credevo in ciò che mi era stato insegnato nell’infanzia, ma
credevo pur sempre in qualcosa, anche se non avrei assolutamente
saputo dire in cosa. Credevo in Dio, o meglio non lo negavo, ma di
quale Dio si trattasse non avrei saputo dirlo; non negavo il Cristo e
il suo insegnamento, ma in che cosa consistesse questo suo
insegnamento non avrei saputo dirlo.
Oggi,
ricordando quei giorni, vedo chiaramente che l’unica mia vera fede
– ossia quanto, escludendo gli impulsi animali, guidava la mia vita
– era a quell’epoca la fede nell’autoperfezionamento. Ma in
cosa consistesse e quale fosse il suo scopo, non avrei saputo dirlo.
Cercavo di perfezionarmi intellettualmente, imparando tutto quel che
potevo imparare e studiando tutto ciò verso cui la vita mi spingeva;
cercavo di perfezionare la mia volontà ponendomi regole di
comportamento che mi sforzavo di osservare; mi perfezionavo
fisicamente compiendo esercizi di tutti i generi, esercitando la
forza e la destrezza, abituandomi alla resistenza e alla temperanza
con privazioni di ogni sorta. Era questo che io consideravo
autoperfezionamento. All’inizio, naturalmente, si trattava di un
perfezionamento morale, ma ben presto venne sostituito
dall’autoperfezionamento in generale, ossia dal desiderio di
diventare migliore non davanti a me stesso o davanti a Dio, bensì
davanti agli altri. E ben presto questa aspirazione a diventare
migliore al cospetto degli uomini si mutò in quella a diventare più
forte, più famoso, più importante e più ricco di loro.
La
confessione , Tolstoj
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