di Lorenzo Banducci
Erano
i primi anni ’90 e un bambino, aggirandosi in un negozio di libri accompagnato
da suo padre, si divertiva in quello che era il suo passatempo di allora e che
tanto faceva divertire parenti e amici: riconoscere i politici alla semplice
vista di una loro immagine e pronunciarne il nome a voce alta per mostrare al
mondo intero la bravura in questa qualità.
Inutile
dire che quel bambino in quella libreria ero io e come, già da allora, la mia malattia
cronica nei confronti della politica iniziasse a dare i primi segni.
Di
quell’epoca non ricordo molto. Posso solo dire che veniva, per me ed in senso cronologico, dopo l’interesse per i
dinosauri (che accostati ai politici mi rendevano un renziano rottamatore prima
del tempo) e prima di quello per le “macchinine” e per i fumetti di Topolino e
Paperino. Anche l’episodio che vi sto narrando, infatti mi è stato più volte
raccontato dai miei genitori.
Tornando
alla libreria dunque fra gli scaffali ricolmi di testi notai un volto a me noto
e non potei fare a meno di pronunciare a voce alta: “Andreotti!”. Dopo quella
parola una signora che passava da lì non riuscì a trattenersi e le venne
spontaneo dire: “Ma quello è facile! Lo conoscono tutti!”.
La
narrazione di questo episodio simpatico della mia vita è ciò che più di ogni
altra cosa mi riporta alla mente Giulio Andreotti scomparso lunedì 6 maggio all’età
di 94 anni. Un protagonista indiscusso della nostra storia repubblicana: in
parlamento dal 1948 ad oggi, sette volte Presidente del Consiglio dei Ministri,
un’infinità di volte Ministro. Come non ricordare del “Divo” anche l’onore di
essere stato Presidente Nazionale della FUCI, associazione nella quale aveva
ricevuto una buona fetta della sua formazione.
Giulio
Andreotti resta il simbolo di un passato che appare lontano, di immagini sia in
bianco e nero sia a colori (colori sbiaditi e molto lontani dalla nitidezza
dell’alta definizione), di una politica fatta di passioni e per passione e di
un’Italia sparita. L’Italia dei partiti, delle lotte ideologiche, delle
correnti (che sopravvivono solo nel PD), delle tribune politiche, dei comizi in
piazza. Giulio Andreotti ha rappresentato tutto questo nel bene e nel male.
Un personaggio affascinante per quella
sua capacità di avere sempre la battuta pronta in ogni momento, così da
spiazzare l’interlocutore e lasciarlo senza fiato. Affascinante per quelle sue
frasi ad effetto che rimarranno celebri per sempre. Come tutte le cose che
generano in chi le osserva attrazione fatale e curiosità viscerale Andreotti
sapeva tenere insieme l’anima ironica a quella misteriosa, velata dal dubbio e
che lasciava trasparire sul fondo un qualcosa di oscuro, di incerto, quasi
di pericoloso. Forse è anche per questo che la sua figura è
stata legata stabilmente a tutti gli scandali che hanno falcidiato i primi 45
anni di vita della nostra Repubblica. Dalla
loggia massonica P2, al sequestro Moro, passando per la Mafia e per le amicizie
pericolose in Vaticano e nello Ior. Giulio Andreotti ne è sempre uscito più o
meno pulito e ha sempre dimostrato di avere una grossa fiducia nel sistema
giudiziario e istituzionale italiano a differenza dei suoi eredi. Da un padre
costituente d’altro canto non potevamo aspettarci nulla di diverso: quelle
istituzioni lui stesso aveva contribuito a crearle e sarebbe stato ridicolo
attaccarle, destabilizzarle o far perdere loro autorità.
Oltre
al fascino per la persona di Andreotti e ai suoi legami con un mondo torbido
rispetto al quale molta luce dovrà ancora essere fatta, a noi cittadini
italiani resta ben poco dell’ex Senatore a vita. Pur avendo ricoperto incarichi di primissimo livello per moltissimi
anni non vi sono leggi o conquiste sociali che possiamo attribuire direttamente
all’ex premier, non vi è un’idea di Paese e di futuro della quale possano far
tesoro ancora oggi le giovani generazioni e coloro che ricoprono cariche di
governo.
La
mia generazione, quella dei nati dagli anni ’80 in poi, non ha mai conosciuto
Giulio Andreotti come uomo di stato, ma al massimo ha letto il suo nome sulle
pagine di un libro di storia o sulle cronache giudiziarie di qualche giornale. Ecco allora che il Divo fra scandali e
intrighi, fra battute ad effetto e frasi celebri, è destinato a rimanere, anche
per me, la semplice immagine stampata di un signore curvo e con gli occhiali sulla copertina di un libro che vidi in una libreria da bambino.
Commenti