di Yves Congar
Gli
avvenimenti del maggio-giugno 1968, che hanno bloccato per due mesi
le bozze della presente ristampa in fondo ad un sacco postale, ci
spingono ad aggiungere alcune pagine alla conclusione… Alla
situazione post-conciliare della chiesa, già difficile, quegli
avvenimenti hanno aggiunto le incertezze di un clima rivoluzionario e
di una contestazione universale e permanente. In un clima del genere,
le cose ieri ancora solide e sicure appaiono di colpo superate o
almeno prive di interesse.
Non
è stato il Concilio a creare i nuovi problemi né la nuova
disposizione d’animo. E’ ingiusto e anzi insulso attribuirgli le
difficoltà che proviamo oggi, con un sentimento d’inquietudine e
di pena, perfino nel dominio della fede.
Ma è vero che il Concilio ha aperto
la chiesa ai problemi e che ha pure, prima di altre istanze
pubbliche, percepito la trasformazione del mondo. Esso ha cominciato
a promuovere, a tutti i livelli, delle strutture di
corresponsabilità. Ha pure tolto le barriere che restringevano la
libertà di parola e di ricerca: anche se vi sono certi abusi, ciò
non toglie che si tratti di un grande bene. Tutto è stato posto in
discussione: le forme liturgiche, le formule classiche della presenza
eucaristica, lo stato sacerdotale e il celibato dei preti, la lettura
fin qui ingenua delle testimonianze della Scrittura, altre
affermazioni ingenue ma tradizionali delle realtà soprannaturali. La
riscoperta del mondo, l’interesse per l’uomo e il suo progetto
nel mondo sono diventati dominanti al punto d’essere talvolta
esclusivi: l’orizzontalismo non è un pericolo chimerico! [...]
La
parola d’ordine, per quest’anno 1968 è “contestazione”: una
bella parola, osservava P.-H. Simon….: “Contestare, significa
rifiutare da testimone –testis – cioè con una convinzione
intima, uno slancio vitale, in cui il sentimento e la ragione non
sono dissociati…”
Ma
è pure una parola temibile, poiché rischia di esprimere un
proposito di non accettare più nulla e di costituire la divisa di
un’era di universale e radicale lacerazione.
L’ondata
di contestazione raggiunge evidentemente la chiesa, poiché la chiesa
non è costituita da un popolo diverso da quello che in parte ha
innalzato le barricate e occupato le fabbriche. Le forme spettacolari
e, come tali, materia adatta al giornalismo, assunte da questa ondata
contestatrice, non possono far dimenticare la gravità, diremmo anzi
la serietà del movimento. Discerniamo infatti nella violenza e nella
globalità del rifiuto un immenso bisogno di partecipare alla
creazione di valori in seno a comunità personalizzanti. Ora, questo
interessa necessariamente la chiesa di Cristo e degli Apostoli. Ma
l’interrogativo critico le è rivolto ugualmente. [...]
Vi
sono delle cose che la contestazione non può fare nella chiesa:
1
– distruggere la carità o agire in maniera tale, porre delle
circostanze tali da ferire la carità nel cuore. Accettare di
distruggere l’unità dei cattolici, fino al punto in cui non si
possa più spezzare assieme il pane eucaristico. La questione non
appare poi così semplice se si va al di là di una formula ideale e
vaga, perché non si può parimenti, in nome di questa unità,
reprimere ogni discussione, sterilizzare ogni impegno efficace e
concreto, ogni presa di posizione temporale eventualmente compiuta in
nome del cristianesimo…;
2
– mettere in causa la struttura pastorale gerarchica della chiesa
quale deriva dall’istituzione del Signore;
3
– negare o mettere in discussione in maniera precipitata e
avventata o irresponsabile degli articoli di dottrina per i quali si
deve al contrario essere disposti a dare la propria vita;
4
– classificare una volta per tutte e senza badare al “margine di
fraternità” coloro che la pensano in maniera diversa da noi, nella
categoria dei cattivi, degli irricuperabili; fare su di essi una
croce come per i dannati senza speranza;
5
– non sembra si possano ammettere espressioni di contestazione
nella celebrazione liturgica e, per esempio, nella omelia. Ciò
creerebbe nell’assemblea un clima insopportabile di tensione e
d’irritamento. Qualunque siano le nostre reazioni, gli altri hanno
diritto alla pace e al rispetto delle loro posizioni. Esistono altre
possibilità per dare uno sbocco alla legittima contestazione.
Noi
accettiamo la contestazione se essa implica che tutti possano
effettivamente esprimersi ed essere ascoltati…
Per
parte nostra, crediamo all’importanza e al valore unitivo della
considerazione seguente: quando una questione è molto complessa,
puòlegittimamente prestarsi a parecchie sfaccettature, e dunque
a parecchi giudizi, nessuno dei quali può pretendere di esaurire la
totalità dei dati. Bisogna dunque ammettere la possibilità di
un’altra opzione e di altre conclusioni diverse dalla propria.
Bisogna tener conto del “margine di fraternità”…”
Vera e falsa riforma della Chiesa,Congar
Vera e falsa riforma della Chiesa,Congar
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