L’uomo
ha imparato a cavarsela da solo in tutte le questioni importanti,
senza ricorrere all'ipotesi di lavoro: "Dio”. Il fatto è
scontato ormai nelle questioni scientifiche, artistiche e anche
etiche, e nessuno più osa tornarci sopra; ma da un centinaio d’anni
questo vale, e in misura sempre maggiore, anche per le questioni
religiose; si è visto che tutto va avanti – esattamente come prima
– anche senza Dio. Nell’ambito genericamente umano, come in
quello scientifico, “Dio” è respinto sempre più lontano dalla
vita, perde terreno.
La storiografia cattolica e quella
protestante sono concordi nel vedere in questa evoluzione la grande
secessione da Dio, da Cristo: quanto più ci si richiama a Dio e a
Cristo contro questa evoluzione, tanto più questa evoluzione
interpreta se stessa come anticristiana. Il mondo, pervenuto alla
consapevolezza di sé e delle proprie leggi di vita, è a tal punto
sicuro di sé, che ne proviamo un penoso disagio; sviluppi aberranti
e insuccessi non trattengono il mondo dalla necessità di seguire
questa sua strada e il suo sviluppo, che vengono accettati con virile
freddezza, al punto che neppure una guerra come l’attuale vi
costituisce un’eccezione. L’apologetica cristiana è scesa in
campo contro questa sicurezza di sé, in varie guise. Si tenta di
convincere il mondo, diventato adulto, che non potrebbe vivere senza
il tutore “Dio”. Pur avendo capitolato in tutte le questioni
mondane, rimangono sempre le cosiddette “questioni ultime”: la
morte, la colpa, cui “Dio” solo può dare risposta e per le quali
c’è ancora bisogno di Dio, della chiesa e del parroco…. Ma a
questo punto arrivano le filiazioni secolarizzate della teologia
cristiana, la filosofia dell’esistenza e gli psicoterapisti, che
dimostrano al mondo, sicuro e soddisfatto di sé, felice, che in
realtà è infelice e disperato e che non vuole ammettere di trovarsi
in un vicolo cieco da cui non sa uscire e dal quale essi soltanto
potrebbero salvarlo. [...]
L’uomo
semplice, che passa i suoi giorni tra casa e lavoro, senza dubbio con
ogni sorta di deviazioni, non ne viene toccato. Non ha tempo né
voglia di occuparsi della propria disperazione esistenziale e si
prendere in considerazione la sua forse modesta felicità sotto
l’aspetto del “vicolo cieco”, della “preoccupazione” e
della “sventura”.
Io
ritengo gli attacchi dell’apologetica cristiana al mondo diventato
adulto, primo assurdi; secondo: scadenti; terzo: non cristiani.
Assurdi: perché mi sembrava il tentativo di ricondurre alla pubertà
un individuo ormai uomo, cioè di riportarlo a dipendere da cose
dalle quali egli si è reso di fatto indipendente, di ricacciarlo
verso problemi che, di fatto, per lui non sono più tali. Scadenti:
perché si tenta lo sfruttamento delle debolezze di un uomo a un fine
che gli è estraneo e che non ha sottoscritto liberamente. Non
cristiani: perché Cristo viene scambiato per un determinato grado
della religiosità umana, quanto dire con una legge umana.
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