La conoscenza dell‘esistenza di
Dio non è per noi evidente
Una cosa può essere di per sé
evidente in due modi: primo, in se stessa, ma non per noi; secondo,
in se stessa e anche per noi. Infatti una proposizione è di per sé
evidente se il predicato è incluso nella nozione del soggetto, come
per esempio: l‘uomo è un animale, poiché animale fa parte della
nozione stessa di uomo. Se dunque è a tutti nota la natura del
predicato e del soggetto, la proposizione risultante sarà per tutti
evidente, come avviene nei primi princìpi delle dimostrazioni, i cui
termini sono nozioni comuni che nessuno può ignorare, come ente e
non ente, il tutto e la parte, ecc. Se però a qualcuno rimane
sconosciuta la natura del predicato e del soggetto, la proposizione
sarà evidente in se stessa, ma non per quanti ignorano il predicato
e il soggetto della proposizione. E così accade, come nota Boezio
[De Hebdom., proem.], che alcuni concetti sono comuni ed evidenti
solo per i dotti: questo p. es.: «Le realtà immateriali non sono
circoscritte in un luogo». Dico dunque che questa proposizione: Dio
esiste, in se stessa è immediatamente evidente, poiché il predicato
si identifica con il soggetto, dato che Dio, come vedremo in seguito
, è il suo stesso essere; ma siccome noi ignoriamo l‘essenza di
Dio, per noi non è evidente, e necessita di essere dimostrata per
mezzo di quelle cose che sono a noi più note, anche se per loro
natura meno evidenti, cioè mediante gli effetti.
La conoscenza dell‘esistenza di
Dio non è innata
È vero che noi abbiamo naturalmente
una conoscenza generale e confusa dell‘esistenza di Dio, in quanto
cioè Dio è la felicità dell‘uomo: poiché l‘uomo desidera
naturalmente la felicità, e ciò che è naturalmente desiderato
dall‘uomo è anche da lui naturalmente conosciuto. Ma ciò non è
propriamente un conoscere che Dio esiste, come non è conoscere
Pietro il vedere che qualcuno viene, sebbene chi viene sia proprio
Pietro: molti infatti pensano che il bene perfetto dell‘uomo, cioè
la felicità, consista nelle ricchezze, altri nei piaceri, altri in
qualche altra cosa.
Rifiuto della prova ontologica di
Anselmo
Può anche darsi che colui che sente
questa parola Dio non capisca che si vuole significare con essa un
ente di cui non si può pensare nulla di più grande, dal momento che
alcuni hanno creduto che Dio fosse un corpo. Ma dato pure che tutti
col termine Dio intendano significare ciò che si dice, cioè un ente
di cui non si può pensare nulla di più grande, da ciò non segue
tuttavia la persuasione che l‘essere espresso da tale nome esista
nella realtà delle cose, ma soltanto che esiste nella percezione
dell‘intelletto. E non si può arguire che esista nella realtà se
prima non si ammette che nella realtà vi è una cosa di cui non si
può pensare nulla di più grande: il che non è concesso da quanti
dicono che Dio non esiste.
Dio può essere dimostrato per mezzo
degli effetti da noi conosciuti
Vi è una duplice dimostrazione. L‘una
procede dalla [conoscenza della] causa, ed è chiamata propter quid:
e questa muove da ciò che di per sé ha una priorità ontologica.
L‘altra invece parte dagli effetti, ed è chiamata dimostrazione
quia: e questa muove da cose che hanno una priorità solo rispetto a
noi; ogni volta infatti che un effetto ci è più noto della sua
causa, ci serviamo di esso per conoscere la causa. Da qualunque
effetto poi si può dimostrare l‘esistenza della sua causa (purché
gli effetti siano a noi più noti della causa): dipendendo infatti
ogni effetto dalla sua causa, posto l‘effetto è necessario che
preesista la causa. Quindi l‘esistenza di Dio, non essendo evidente
rispetto a noi, può essere dimostrata per mezzo degli effetti da noi
conosciuti.
L'esistenza di Dio non è un
articolo di fede ma è preliminare agli articoli di fede
L‘esistenza di Dio e altre verità
che riguardo a Dio si possono conoscere con la ragione naturale non
sono, al dire di S. Paolo [Rm 1, 19], articoli di fede, ma
preliminari agli articoli di fede: infatti la fede presuppone la
conoscenza naturale, come la grazia presuppone la natura e come [in
generale] la perfezione presuppone il perfettibile. Tuttavia nulla
impedisce che una cosa che di per sé è oggetto di dimostrazione e
di scienza sia accettata come oggetto di fede da chi non arriva a
capirne la dimostrazione.
Da effetti non proporzionati non si
può avere una conoscenza perfetta
Da effetti non proporzionati alla causa
non si può avere di questa una conoscenza perfetta; tuttavia in base
a qualsiasi effetto noi possiamo avere la chiara dimostrazione che la
causa esiste, come si è detto [nel corpo]. E così dagli effetti di
Dio si può dimostrare che Dio esiste, sebbene non si possa avere per
mezzo di essi una conoscenza perfetta della sua essenza.
Prima via per dimostrare l'esistenza
di Dio mediante il moto
La prima e la più evidente è quella
che è desunta dal moto. È certo infatti, e consta dai sensi, che in
questo mondo alcune cose si muovono. Ora, tutto ciò che si muove è
mosso da altro. Nulla infatti si trasmuta che non sia in potenza
rispetto al termine del movimento, mentre ciò che muove, muove in
quanto è in atto. Muovere infatti non significa altro che trarre
qualcosa dalla potenza all‘atto; e nulla può essere ridotto dalla
potenza all‘atto se non da parte di un ente che è già in atto.
Come il fuoco, che è caldo attualmente, rende caldo in atto il
legno, che era caldo solo potenzialmente, e così lo muove e lo
altera. Ora, non è possibile che una stessa cosa sia simultaneamente
e sotto lo stesso aspetto in atto e in potenza, ma lo può essere
soltanto sotto diversi rapporti: come ciò che è caldo in atto non
può essere insieme caldo in potenza, ma è insieme freddo in
potenza. È dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto una cosa
sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova se stessa. È
quindi necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da altro. Se
dunque l‘ente che muove è anch‘esso soggetto a movimento,
bisogna che sia mosso da un altro, e questo da un terzo e così via.
Ma non si può in questo caso procedere all‘infinito, perché
altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nessun
altro motore, dato che i motori intermedi non muovono se non in
quanto sono mossi dal primo motore, come il bastone non muove se non
in quanto è mosso dalla mano. Quindi è necessario arrivare a un
primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso
è Dio.
Seconda via per dimostrare
l'esistenza di Dio mediante la causa efficente
La seconda via parte dalla nozione di
causa efficiente. Troviamo infatti che nel mondo sensibile vi è un
ordine tra le cause efficienti; ma non si trova, ed è impossibile,
che una cosa sia causa efficiente di se medesima: perché allora
esisterebbe prima di se stessa, cosa inconcepibile. Ora, un processo
all‘infinito nelle cause efficienti è assurdo. Infatti in tutte le
cause efficienti concatenate la prima è causa dell‘intermedia, e
l‘intermedia è causa dell‘ultima, siano molte le intermedie o
una sola; ma eliminata la causa è tolto anche l‘effetto: se dunque
nell‘ordine delle cause efficienti non vi fosse una prima causa,
non vi sarebbe neppure l‘ultima, né l‘intermedia. Ma procedere
all‘infinito nelle cause efficienti equivale a eliminare la prima
causa efficiente: e così non avremo neppure l‘effetto ultimo, né
le cause intermedie, il che è evidentemente falso. Quindi bisogna
ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio.
Terza via per dimostrare l'esistenza
di Dio mediante i concetti di possibile e necessario
La terza via è presa dal possibile [o
contingente] e dal necessario, ed è questa. Tra le cose ne troviamo
alcune che possono essere e non essere: infatti certe cose nascono e
finiscono, il che vuol dire che possono essere e non essere. Ora, è
impossibile che tutto ciò che è di tale natura esista sempre,
poiché ciò che può non essere, prima o poi non è. Se dunque tutte
le cose [esistenti in natura sono tali che] possono non esistere, in
un dato momento nulla ci fu nella realtà. Ma se ciò è vero, anche
ora non esisterebbe nulla, poiché ciò che non esiste non comincia a
esistere se non in forza di qualcosa che esiste. Se dunque non c‘era
ente alcuno, è impossibile che qualcosa cominciasse a esistere, e
così anche ora non ci sarebbe nulla, il che è evidentemente falso.
Quindi non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che nella
realtà vi sia qualcosa di necessario. Ma tutto ciò che è
necessario o ha la causa della sua necessità in un altro essere,
oppure non l‘ha. D‘altra parte negli enti necessari che hanno
altrove la causa della loro necessità non si può procedere
all‘infinito, come neppure nelle cause efficienti, come si è
dimostrato. Quindi bisogna porre l‘esistenza di qualcosa che sia
necessario di per sé, e non tragga da altro la propria necessità,
ma sia piuttosto la causa della necessità delle altre cose. E questo
essere tutti lo chiamano Dio.
Quarta via per dimostrare
l'esistenza di Dio mediante i gradi che si riscontrano negli enti
La quarta via è presa dai gradi che si
riscontrano nelle cose. È evidente infatti che nelle cose troviamo
il bene, il vero, il nobile e altre simili perfezioni in un grado
maggiore o minore. Ma il grado maggiore o minore viene attribuito
alle diverse cose secondo che esse si accostano di più o di meno ad
alcunché di sommo e di assoluto: come più caldo è ciò che
maggiormente si accosta a ciò che è sommamente caldo. Vi è dunque
un qualcosa che è sommamente vero, e sommamente buono, e sommamente
nobile, e di conseguenza sommamente ente: poiché, come dice
Aristotele [Met. 2, 1], ciò che è massimo in quanto vero è tale
anche in quanto ente. Ora, ciò che è massimo in un dato genere è
causa di tutte le realtà appartenenti a quel genere: come il fuoco,
che è caldo al massimo grado, è la causa di ogni calore, sempre
secondo Aristotele [l. cit.]. Quindi vi è qualcosa che per tutti gli
enti è causa dell‘essere, della bontà e di qualsiasi perfezione.
E questo essere lo chiamiamo Dio.
Quinta via per dimostrare
l'esistenza di Dio mediante il governo delle cose
La quinta via è desunta dal governo
delle cose. Vediamo infatti che alcune cose prive di conoscenza, come
i corpi naturali, agiscono per un fine, come appare dal fatto che
agiscono sempre o quasi sempre allo stesso modo per conseguire la
perfezione: per cui è evidente che raggiungono il loro fine non a
caso, ma in seguito a una predisposizione. Ora, ciò che è privo di
intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere
conoscitivo e intelligente, come la freccia dall‘arciere. Vi è
dunque un qualche essere intelligente dal quale tutte le realtà
naturali sono ordinate al fine: e questo essere lo chiamiamo Dio.
Tommaso D'Aquino,Summa theologiae
Commenti