La
Chiesa del Concilio, sì, si è assai occupata, oltre che di se
stessa e del rapporto che a Dio la unisce, dell’uomo, dell’uomo
quale oggi in realtà si presenta: l’uomo vivo, l’uomo tutto
occupato di sé, l’uomo che si fa soltanto centro d’ogni
interesse, ma osa dirsi principio e ragione d’ogni realtà. Tutto
l’uomo fenomenico, cioè rivestito degli abiti delle sue
innumerevoli apparenze; si è quasi drizzato davanti al consesso dei
Padri conciliari, essi pure uomini, tutti Pastori e fratelli, attenti
perciò e amorosi: l’uomo tragico dei suoi propri drammi, l’uomo
superuomo di ieri e di oggi e perciò sempre fragile e falso, egoista
e feroce; poi l’uomo infelice di sé, che ride e che piange; l’uomo
versatile pronto a recitare qualsiasi parte, e l’uomo rigido
cultore della sola realtà scientifica, e l’uomo com’è, che
pensa, che ama, che lavora, che sempre attende qualcosa il «filius
accrescens» (Gen. 49, 22); e l’uomo sacro per l’innocenza della
sua infanzia, per il mistero della sua povertà, per la pietà del
suo dolore; l’uomo individualista e l’uomo sociale; l’uomo
«laudator temporis acti» e l’uomo sognatore dell’avvenire;
l’uomo peccatore e l’uomo santo; e così via. L’umanesimo laico
profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un
certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è
fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è)
dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una
lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica
storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del
Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei
bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il
figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo.
Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari
alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo
umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo.
E
che cosa ha considerato questo augusto Senato nella umanità, che
esso, sotto la luce della divinità, si è messo a studiare, ha
considerato ancora l’eterno bifronte suo viso: la miseria e la
grandezza dell’uomo, il suo male profondo, innegabile, da se stesso
inguaribile, ed il suo bene superstite, sempre segnato di arcana
bellezza e di invitta sovranità. Ma bisogna riconoscere che questo
Concilio, postosi a giudizio dell’uomo, si è soffermato ben più a
questa faccia felice dell’uomo, che non a quella infelice. Il suo
atteggiamento è stato molto e volutamente ottimista. Una corrente di
affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano
moderno. Riprovati gli errori, sì; perché ciò esige la carità,
non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo, rispetto ed
amore. Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; invece di
funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso
il mondo contemporaneo: i suoi valori sono stati non solo rispettati,
ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e
benedette.
Vedete,
ad esempio: gli innumerevoli linguaggi delle genti oggi esistenti
sono stati ammessi a esprimere liturgicamente la parola degli uomini
a Dio e la Parola di Dio agli uomini, all’uomo in quanto tale è
stata riconosciuta la vocazione fondamentale ad una pienezza di
diritti e ad una trascendenza di destini; le sue supreme aspirazioni
all’esistenza, alla dignità della persona, alla onesta libertà,
alla cultura, al rinnovamento dell’ordine sociale, alla giustizia,
alla pace, sono state purificate e incoraggiate; e a tutti gli uomini
è stato rivolto l’invito pastorale e missionario alla luce
evangelica. Troppo brevemente noi ora parliamo delle moltissime e
amplissime questioni, relative al benessere umano, delle quali il
Concilio s’è occupato; né esso ha inteso risolvere tutti i
problemi urgenti della vita moderna; alcuni di questi sono stati
riservati all’ulteriore studio che la Chiesa intende farne, molti
di essi sono stati presentati in termini molto ristretti e generali,
suscettibili perciò di successivi approfondimenti e di diverse
applicazioni.
Ma
una cosa giova ora notare: il magistero della Chiesa, pur non volendo
pronunciarsi con sentenze dogmatiche straordinarie, ha profuso il suo
autorevole insegnamento sopra una quantità di questioni, che oggi
impegnano la coscienza e l’attività dell’uomo; è sceso, per
così dire, a dialogo con lui; e, pur sempre conservando la autorità
e la virtù sue proprie, ha assunto la voce facile ed amica della
carità pastorale; ha desiderato farsi ascoltare e comprendere da
tutti; non si è rivolto soltanto all’intelligenza speculativa, ma
ha cercato di esprimersi anche con lo stile della conversazione oggi
ordinaria, alla quale il ricorso alla esperienza vissuta e l’impiego
del sentimento cordiale dànno più attraente vivacità e maggiore
forza persuasiva: ha parlato all’uomo d’oggi, qual è.
E
un’altra cosa dovremo rilevare: tutta questa ricchezza dottrinale è
rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo,
in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua
necessità. La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella
dell’umanità, proprio nel momento in cui maggiore splendore e
maggiore vigore hanno assunto, mediante la solennità conciliare, sia
il suo magistero ecclesiastico, sia il suo pastorale governo: l’idea
di ministero ha occupato un posto centrale.
Tutto
questo e tutto quello che potremmo dire sul valore umano del Concilio
ha forse deviato la mente della Chiesa in Concilio verso la direzione
antropocentrica della cultura moderna? Deviato no, rivolto sì.
Ma
chi bene osserva questo prevalente interesse del Concilio per i
valori umani e temporali non può negare che tale interesse è dovuto
al carattere pastorale, che il Concilio ha scelto quasi programma, e
dovrà riconoscere che quello stesso interesse non è mai disgiunto
dall’interesse religioso più autentico, sia per la carità, che
unicamente lo ispira (e dove è la carità, ivi è Dio!), e sia per
il collegamento, dal Concilio sempre affermato e promosso, dei valori
umani e temporali, con quelli propriamente spirituali, religiosi ed
eterni : sull’uomo e sulla terra si piega, ma al regno di Dio si
solleva.
La
mentalità moderna, abituata a giudicare ogni cosa sotto l’aspetto
del valore, cioè della sua utilità, vorrà ammettere che il valore
del Concilio è grande almeno per questo: che tutto è stato rivolto
all’umana utilità; non si dica dunque mai inutile una religione
come la cattolica, la quale, nella sua forma più cosciente e più
efficace, qual è quella conciliare, tutta si dichiara in favore ed
in servizio dell’uomo. La religione cattolica e la vita umana
riaffermano così la loro alleanza, la loro convergenza in una sola
umana realtà: la religione cattolica è per l’umanità; in un
certo senso, essa è la vita dell’umanità. È la vita, per
l’interpretazione, finalmente esatta e sublime, che la nostra
religione dà all’uomo (non è l’uomo, da solo, mistero a se
stesso?); e la dà precisamente in virtù della sua scienza di Dio:
per conoscere l’uomo, l’uomo vero, l’uomo integrale, bisogna
conoscere Dio; ci basti ora, a prova di ciò, ricordare la fiammante
parola di S. Caterina da Siena: «nella tua natura, Deità eterna,
conoscerò la natura mia» (Or. 24). È la vita, perché della vita
descrive la natura ed il destino, le dà il suo vero significato. È
la vita, perché della vita costituisce la legge suprema, e alla vita
infonde la misteriosa energia che la fa, possiamo dire, divina.
Che
se, venerati Fratelli e Figli tutti qui presenti, noi ricordiamo come
nel volto d’ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue
lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di
Cristo (cfr. Matth. 25, 40), il Figlio dell’uomo e se nel
volto di Cristo possiamo e dobbiamo poi ravvisare il volto del Padre
celeste: «chi vede me, disse Gesù, vede anche il Padre» (Io. 14,
9), il nostro umanesimo si fa cristianesimo, e il nostro
cristianesimo si fa teocentrico; tanto che possiamo altresì
enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo. Sarebbe
allora questo Concilio, che all’uomo principalmente ha dedicato la
sua studiosa attenzione, destinato a riproporre al mondo moderno la
scala delle liberatrici e consolatrici ascensioni? non sarebbe, in
definitiva, un semplice, nuovo e solenne insegnamento ad amare l’uomo
per amare Iddio? amare l’uomo, diciamo, non come strumento, ma come
primo termine verso il supremo termine trascendente, principio e
ragione d’ogni amore. E allora questo Concilio tutto si risolve nel
suo conclusivo significato religioso, altro non essendo che un
potente e amichevole invito all’umanità d’oggi a ritrovare, per
via di fraterno amore, quel Dio «dal Quale allontanarsi è cadere,
al Quale rivolgersi è risorgere, nel Quale rimanere è stare saldi,
al Quale ritornare è rinascere, nel Quale abitare è vivere» (S.
August., Solil. 1, 1, 3; P. L. 32, 870).
Così
noi speriamo al termine di questo Concilio ecumenico vaticano secondo
e all’inizio del rinnovamento umano e religioso, ch’esso s’è
prefisso di studiare e di promuovere; così speriamo per noi,
Fratelli e Padri del Concilio medesimo; così speriamo per l’umanità
intera, che qui abbiamo imparato ad amare di più ed a meglio
servire.
ULTIMA
SESSIONE PUBBLICA DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II
ALLOCUZIONE
DEL SANTO PADRE PAOLO VI
Martedì,
7 dicembre 1965
Commenti